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Recensione scritta da Lorenzo “Caotico” Castiglioni
Chiariamo subito il dibattito di primavera 2024: Free Spirit Soar, per quanto la scomparsa del fondatore avvenuta tre anni fa sia un vuoto incolmabile, possiede tutta la sua tipica minuteria artistica ed è per questo da considerarsi un disco 100% Tsamis. Escludendo “Behold A Pale Horse” e “Revelation XIX”, che sono figlie dei tempi dei Lordian Guard e come già successo con Rising Out Of The Ashes del 2002 sono state riproposte a stampo Warlord, le canzoni che compongono questa uscita discografica nascono da frammenti e demo ideati dal maestro greco-statunitense pre 2021. La copertina realizzata da Velio Josto è un rimando all’EP d’esordio Deliver Us nella sua più cupa ed eterea espressione.
Ovviamente trattandosi dei Warlord, cosa non poteva assolutamente mancare? Esatto, l’ennesimo cambio di cantante e questa volta tocca a Giles Lavery (dei Dragonsclaw) prestare l’ugola alla causa della grande doppia vu (ruolo che aveva già ricoperto in sede live al Keep It True e nel tour greco del 2013). Escludendo l’altro membro fondatore Mark Zonder e l’ormai veterano Philip Bynoe, il resto della compagine sono nuovi innesti con alle spalle chi più esperienza, come il tastierista Waldo (Alcatrazz), chi un po’ meno, come il chitarrista Juris (Crystal Viper).
L’album edito dalla tedesca High Roller Records nasce con “Behold A Pale Horse” e muore con “Revelation XIX” e rispetto all’approccio dei Lordian Guard risultano, anche perché qui c’è una batteria vera e non una drum-machine come nel 1995-97, esteticamente più pulite ma meno solenni delle originali. Come mancò qualcosa alla Pallacanestro Varese nel 1992 per salvarsi, anche a “The Rider” manca qualcosa per fare canestro; non che ci sia qualcosa di errato, però melodie e soprattutto il ritornello non mi convincono. Non lascia invece dubbi “Conquerors” con i saliscéndi della coppia Waldo/Juris accuratamente accompagnati dalla metrica di Mr. Zonder; non a caso è stata scelta come singolo di lancio per promuovere il lavoro. Dagli scavi archeologici del demo del 1981 (nelle versioni di quarant’anni fa solo come strumentali) escono “Worms Of The Earth” e “The Bell Tolls” (ai tempi battezzata col nome di “For Whom The Bell Tolls”) dove se la prima nonostante un intro epico quanto Ben Hur di Wyler si appiattisce nello sviluppo, la seconda vince sotto ogni luce il favore degli Dei e va sicuramente incorniciata in soggiorno. “Free Spirit Roar” (come “Conquerors” e “The Bell Tolls”) si staglia nella parte argentea del disco per impeto e buona resa di amalgama tra i musicisti, con un Lavery assolutamente convincente. Se in “Free Spirit Roar” si applaude la voce di Lavery, in “Alarm” non la si promuove in virtù della scelta modernista che capeggia per metà canzone.
William John Tsamis era un visionario, uno con un passo diverso, uno che era capace di creare epic metal nel 1981. Se per alcuni questo lavoro dei Warlord può sembrare un modo per speculare col suo nome, per me è un giusto omaggio alla sua grandezza. Con Free Spirit Soar si compie un’esperienza di 45 minuti ideata da chi non è più tra noi e ben suonata da chi è rimasto in questa vita terrena.
Da aggiungere un voto al punteggio della mia valutazione se si ha come suoneria del cellulare “Child Of The Damned”, mentre è da togliere un voto al mio punteggio se ci si aspettava un capolavoro come And The Cannons Of Destruction Have Begun…