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Premessa: negli ultimi anni sono aumentate in modo esagerato le pubblicazioni musicali (in ogni settore). Solo nel genere heavy, che include una miriade di sottogeneri ed un quantità esagerata di gruppi underground, sono decine di migliaia i demo, gli EP, gli album… Impossibile seguire tutto? Certo, soprattutto se ci si allontana dai gruppi TOP e si scende verso l’oscurità. Ci sono artisti validi che passano in secondo piano e potevamo noi forse dimenticarli? NO!
Da qui la necessità di creare una serie di articoli/pubblicazioni oltre la classica recensione, che prevede ascolti e tempi di realizzazione più lunghi. Una sorta di breve presentazione di artisti ed uscite, come una volta si poteva trovare sulle riviste di settore.
Ricordatevi di ascoltare il nostro Dottore. Benvenuti a Pillole D’Acciaio!!!
The Vision Bleak – Weird Tales – Prophecy Productions
Il 2024 vede il ritorno dei THE VISION BLEAK con il loro settimo disco. Un lavoro che è un tributo alla storica rivista americana piena di racconti horror, mistero ed oscura immaginazione (ci scriveva un certo H.P.Lovecraft, Robert E. Howard e altri famosi scrittori tra cui Robert Bloch, Clark Ashton Smith). Il genere proposto da Markus “Schwadorf” Stock è, fin dagli inizi, un misto tra dark rock gotico con un pizzico di black che, nel corso degli anni, si è evoluto fino a questo “Horror Metal”. Molto teatrale, malinconico e l’inquietante per rendere al meglio l’idea dei racconti di Weird Tales; oltre alla voce bassa e corposa ci sono anche molti arrangiamenti dove pianoforte o violini/viole, suonate dall’ospite Aline Deinert (NEUN WELTEN, EMPYRIUM), aumentano l’effetto da film horror. Non mancano anche parti più veloci ed estreme black, come in “Chapter V: The Premature Burial”, dove la trasformazione è improvvisa e svanisce dopo pochi attimi, come una scena del film. Una particolarità, il disco è diviso in capitoli come fosse un libro; da segnalare le ottime “Chapter X: The Witch With Eyes Of Amber” e la conclusiva lenta “Chapter XII: To Drink From Lethe”. Inutile aggiungere che il disegno in copertina è semplicemente perfetto per questo lavoro. Un disco per notti insonni e lunghe passeggiate nella nebbia. (Lele Triton)
Enterprise Earth – Death: An Anthology – MNRK Heavy
Gli Enterprise Earth sono una band deathcore americana, molti singoli e quattro dischi prima di questo “Death: An Anthology”. Un fatto particolare è che, nessuno dei musicisti attuali, fa parte della band dagli inzi: Le influenze che si trovano in questo disco sono molte, chi ha seguito l’ultimo tour dei Suffocation li avrà visti anche dal vivo ed apprezzato questa particolarità: gli Enterprise Earth di oggi sono una band che tenta di scrollarsi di dosso la definizione classica. L’idea di fondo del disco è, come da titolo, parlare della morte: si entra subito nel concept con l’intro strumentale “Abyss”, con linee melodiche heavy classiche. Ma come contrasto ecco subito la botta di “Face Of Fear” con la sua ritmica ossessiva, le voci devastanti, la batteria esagerata; ma c’è di più, intermezzi elettronici di tastiera ed un assolo splendido. I brani scorrono bene, in un miscuglio di soluzioni che rendono i brani fruibili nonstante la grossa mole di pesantezza che li accompagna. Chitarre acustiche in un disco deathcore? Pianoforte e voci armonizzate? Tutto si può fare, ascoltate “Casket Of Rust”, “Spineless” o “Accelerated Demise” e verrete catapultati in un mondo assurdo, che a volte mi ricorda S.Y.L. come anche Meshuggah oppure il death metal moderno. L’ultima “Curse Of Flesh”, che vede come ospite Matthew K. Heafy dei Trivium, è un altro brano bomba, ben costruito e che mette in luce le qualità compositive di questi ragazzi. Un disco che merita ben più di un ascolto, un gruppo che è sempre più da seguire ed inserire tra i grandi del settore. (Lele Triton)
Etichetta – Facebook – Bandcamp
Austere – Beneath The Threshold – Prophecy Productions
Il quarto disco degli australiani Austere è una splendida sorpresa. Dopo la lunga pausa di 13 anni la band atmospheric/depressive black metal era ricomparsa nel 2023 con il disco “Corrosion Of Hearts” e, si poteva prevedere, una nuova attesa prima di ascoltare altra musica. Invece il duo composto da Mitchell Keepin e Tim Yatras è tornato subito con questi sei brani, restando sullo stile del precendente lavoro ma inserendo molte armonie e melodie a completamento delle stratificate, aspre e oniriche trame chitarristiche sapientemente tessute da Keepin con l’aiuto del drumming emotivo di Yatras. Una musicalità che, partendo da melodie struggenti e linee di chitarra lente, porta l’ascoltatore in un sogno dove ansia e tristezza la fanno da padrone. “The Sunset Of Life” è perfetta in questo, ti lascia un senso di calma spezzato dal grido straziante della parte centrale; il dolce suono della chitarra acustica apre “Words Unspoken” e con un lungo crescendo porta ad una trasformazione quasi rabbiosa di “Of Severance”. Un disco dove i due sentimenti, tristezza e rabbia, vengono bilanciati e stabilizzati in modo da non soffocarsi tra loro. Ottima musica da assaporare, con calma; gli Austere sono tornati e son qui per rimanere. (Lele Triton)
Etichetta – Facebook – Bandcamp
The Wizards – The Exit Garden – High Roller Records
Il nuovo disco degli spagnoli The Wizards viene pubblicato nel 2024…o forse dovremmo essere nel 1984? Forse anche prima. La band pubblica dischi dal 2014 ma il sound è quell’hard rock/doom di fine ’70, un tuffo nel passato, ma con pulizia sonora e brani interessanti e mai scontati. Ci sono tantissimi riferimenti alle grandi formazioni del settore, dai Black Sabbath agli Ufo, dagli Iron Maiden ai Deep Purple fino ai The Cult…possono tutte queste influenze produrre qualcosa di buono? La risposta è affermativa! Dalla titletrack “The Exit Garden” con il suo spirito Settantiano unito alla potenza heavy degli anni ’80 (il solo inziale non lascia dubbi) al brano doom/heavy “Holy Mountain Mind” passando per momenti più soft come “Questions” il disco continua a suonare egregiamente senza alcun calo. La voce di Ian Mason è indicatissima per questi brani (senza esser troppo simile a nessuno), le chitarre di Phil “The Pain” e George Dee intrecciano melodie che la sessione ritmica esalta. Meravigliosa la conclusiva “Dawn of Another Life”. Tutto fa pensare a roba datata invece siamo di fronte ad un ottimo disco moderno, attuale, esaltante, tutto da cantare, e con una copertina spettacolare. Non fatevelo sfuggire. (Lele Triton)