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20/07/2024 : Luppolo In Rock (Day 2) – Parco delle ex Colonie Padane, Cremona
Skeletoon / Rain / Brainstorm / Alestorm / Gamma Ray
Sono qui solo per i Gamma Ray…. ma solo se non fanno tardi……
Io comincio proprio da questa simpatica affermazione stampata sulla maglietta nera del cantante Tomi Fooler degli italianissimi Skeletoon per iniziare il racconto della seconda giornata del Luppolo in Rock. Non ero mai stato a questo Festival, ma ne ho sempre sentito parlare bene e in effetti devo fare i complimenti all’organizzazione perché a parte un allagamento in uno dei servizi igienici adiacente all’ingresso della struttura, tutto è filato liscio come l’olio. Arrivati ormai alla sesta edizione e leggendo la scaletta dei gruppi partecipanti ho dato per scontato, come scritto sulla t-shirt di Tomi, che tutti i presenti fossero qui solo per i famosi Gamma Ray di Kai Hansen ma in realtà mi sono ricreduto perché in realtà chi ha varcato i cancelli nel primo pomeriggio sapeva benissimo cosa andare a vedere e ad ascoltare. I liguri Skeletoon hanno piacevolmente sorpreso dal vivo facendo entusiasmare e gioire i presenti con il loro classico e tecnologico power metal. Gli italici propongono una formula di power metal melodico molto tradizionale pescando dagli Helloween, dagli Edguy e dagli stessi Gamma Ray le fonti delle loro ispirazioni creative ed esecutive; aggiungendo pure delle tematiche fantascientifiche e cinematografiche che li rendono ancora più interessanti. In più per non essere troppo seri aggiungono una componente smaliziata e spensierata tipica di gruppi come i nostri Trick Or Treat o per andare più lontano come gli inglesi Dragonforce. Nonostante conoscessi i loro dischi in studio, ascoltarli sotto il palco è stata la classica prove del nove che ti fa capire quanta bravura e attitudine al rock abbiano questi cinque ragazzi nelle vene. Purtroppo, arrivo qualche minuto dopo l’inizio dello show pensando si cominciasse alle 17 e 30 e invece il gruppo ligure – per non far tardare i Gamma Ray – mi fa lo scherzo di incominciare puntualmente alle 17 con la fulminante “Holding On”, estrapolata dall’ultimo disco in studio: The 1.21 Gigawatts Club del 2021. Le note e la potenza sonora di questa velocissima canzone li sento già, dopo aver superato i controlli, mentre sto varcando il bellissimo Parco delle ex Colonie Padane vicino alle rive dell’immenso Po’. Affrettandomi per avvicinarmi al palco noto subito il cantante con la sua divertente felpa nera e gli occhiali da sole correre su e giù dal palcoscenico insieme ai suoi fedelissimi chitarristi Fabrizio “Fabbro” Taricco e Simone Martinelli, ormai in un bagno di sudore. Il caldo di questo pomeriggio a Cremona è asfissiante e devo mettermi all’ombra per non finire arrostito sotto il soppalco e le ringhiere in ferro che mi separano da questi giovani e talentuosi musicisti, che ci danno sotto dall’inizio alla fine nonostante la rovente condizione termica e il sole in faccia. Dato il poco tempo a disposizione il quintetto punta direttamente al sodo proponendo i propri cavalli di battaglia come la super power e battente “The Truffle Shuffle Army: Bizardly Bizarre”, presa dal penultimo disco: They Never Say Die del 2019 e cantata insieme ad Alessandro Conti dei Trick Or Treat o la recente e ritmata “2204” caratterizzata da un trascinante e melodicissimo ritornello arricchito da una base di sintetizzatori, che la rendono spettacolare.
Tomi canta benissimo e da buon animale da palco qual’ è riesce a trascinare sotto i suoi piedi la maggior parte del pubblico stipato nelle poche zone d’ombra della piccola arena lombarda e addirittura a farlo cantare insieme a lui. Perfino il sottoscritto si sposta dalla sua zona di comfort sganciandosi dai suoi amici Manuela ed Emanuele per scattare qualche foto e godersi da vicino un pezzo così coinvolgente. Con le ultime “Joker’s Turn” e “I Have The Key” i giovani artisti rallentano il sound, ma lo potenziano soprattutto con la prima, in modo più robusto e sempre con al centro un orecchiabile refrain. Quest’ultimo brano, che Tomi dedica agli amici Gianluca Contini e Arianna Camoni, in un tripudio di mani alzate vede poi la partecipazione, a sorpresa, del vecchio chitarrista degli Skeletoon, ovvero Andrea Cappellari adesso nei power-core Nekomata, che si esibisce in prolungati e pirotecnici assoli chitarristici. Lo scatenato frontman fa appena in tempo a presentare i suoi compagni “scheletrici” perché’ i forti acuti vocali e il fortissimo caldo cominciano a fare un effetto negativo sulle sue tiratissime corde vocali. In conclusione, dire che siano stati bravi è riduttivo perché gli Skeletoon hanno talento da vendere e meritano di essere supportati in massa a discapito di tante formazioni straniere che lasciano il tempo che trovano. Mi raccomando! Facendo, comunque un passo indietro ho apprezzato al mio arrivo, in auto con questi due miei carissimi amici siciliani che abitano a Cremona e che ringrazio di cuore per l’ospitalità, lo splendido sito del Parco delle ex Colonie Padane immerso nel verde e situato sulla riva del Po’, che costeggia maestosamente la ridente e storica città cremonese. A parte la bellezza del luogo si ammirano da subito i tanti stand adibiti alla vendita di LP, CD, magliette, monili e gadget di ogni tipo e i punti di ristoro sparsi da tutte le parti che sembrano delle vere e proprie oasi.
Solo dopo l’esibizione dei veterani e connazionali Rain ho modo di girare e approfondire le varie esposizioni. Certo, il cibo e le bevande la fanno da padrone (sono andato avanti ad acqua perché penso che con l’effetto della birra e la tremenda afa avrei saltato mezzo concerto) ma ciò che si gradisce di più e l’assenza di inutili token e la scelta di far pagare gli utenti in contanti o con carta. I prezzi sono buoni e accettabili rispetto a quello che si trova in giro in altre manifestazioni simili. Finalmente un po’ di serietà e professionalità! Ritornando allo show ci si sposta dalla Liguria a Bologna, terra natia degli storici Rain, fondati nel lontano 1980 e dove si sono addirittura alternate tre generazioni di musicisti, partite agli esordi con un sound di puro heavy metal ottantiano. I numerosi rinnovi di line-up e un’importante evoluzione musicale li porta poi a modificare un sound inizialmente figlio degli eighties verso una proposta nettamente più moderna ed al passo con i tempi. I motori si accendono subito con la robusta e martellante “Spacepirates”, puro heavy metal che vede i nostri eroi entrare prepotentemente in scena con quel giusto atteggiamento rock che esplode nella cadenzata e provocante “Bang Bus”, il cui video ai tempi fu anche censurato. Purtroppo, le prime due canzoni sono state penalizzate in parte da un problema tecnico al microfono di Maurizio ‘Mala’ Malaguti e ci vogliono alcuni minuti prima che la situazione sia risolta. Per buona sorte ed esperienza il combo prosegue con cattiveria e concentrazione, come se non fosse successo nulla. Accompagnati, ormai, dalle belle e seducenti ballerine di lap dance, gli italiani riescono in pochi minuti, complice le brucianti e graffianti corde vocali di Maurizio al microfono, a scatenare l’inferno. Come dice il proverbio: “l’occhio vuole la sua parte” e la distrazione di guardare le girls sul palco fa capolino mettendo in secondo piano e per pochi istanti la bravura della band, almeno per quanto riguarda i maschietti presenti. Naturalmente, il combo emiliano sa il fatto suo e suonando uno sporco e crudo rock inserisce furbescamente in primo piano il sesso, come si faceva già nei mitici anni ’80 nella maggior parte delle formazioni californiane dell’epoca. La doppietta “New Sin” e “Down In Hell”, dal più recente A New Tomorrow del 2022, sono i momenti più riusciti dello spettacolo perché offrono un sound più melodico e attuale ma sempre potente. In particolare, la cadenza sonora della seconda mette in chiarezza la bravura dei due chitarristi Alessio e Freddy, sostenuti egregiamente da una instancabile sezione ritmica. Il vocalist riesce a stento a cantare perché’ soffocato e avvinghiato dai corpi erotici delle ragazze che sembrano riprendersi di nuovo la scena. Le sporcaccione coreografie continuano raggiungendo l’apice nella tirata e ossessiva “We Don’t Call The Cops (W.D.C.T.C.)”, dove troviamo le giovani signorine vestite da poliziotte sexy con un manganello in mano leccato in continuazione e strofinato in varie parti del corpo. L’apoteosi è quindi raggiunta e tra applausi e urla di apprezzamento il pubblico si compiace e grida a squarciagola senza rendersi conto dell’atmosfera fumante e bollente raggiunta nel frattempo nello spazio occupato. Che il gruppo ami i W.A.S.P. è un dato di fatto per via delle sonorità sviluppate nel corso degli anni ma la scaletta presentata oggi mostra come i ragazzi privilegiano pezzi più ritmati e massicci ad altri più veloci presenti nel loro vasto catalogo. Ma va bene così! Colpisce poi il bell’inizio di basso di Gabriele Ravaglia nella recente e possente “A New Tomorrow” e la sirena della Polizia nell’intro della casinara e borderline, “Mr. 2 Words”. Al termine, di quest’ora di distorto e robusto groove, rimane la cognizione di aver assistito ad una delle più esperte ed energiche band italiche, che ancora oggi merita un grandissimo supporto e un grande plauso per ciò che ci ha fatto sentire e “vedere” in questo infuocato pomeriggio lombardo.
A questo punto, dopo aver liquidato i due gruppi italiani arriva il momento della prima band tedesca della serata. La pausa di un quarto d’ora, prima che i Brainstorm calchino le scene è sicuramente propedeutica per dissetarsi e mettersi all’ombra perché’ il sole (sono le 19:00) picchia ancora e non vuole mollare la sua presa nell’area del Festival.
I sottovalutati panzer tedeschi hanno più di un’ora per dimostrare di che pasta sono fatti e i chitarristi fondatori: Torsten Ihlenfeld, Milan Loncaric e il drummer Dieter Bernert nel giro di pochi minuti con le iniziali: “Chamber Thirteen” e “Where Ravens Fly”, riescono ad infiammare ed esaltare i primi e titubanti ascoltatori piazzatisi dinanzi. La prima è un pezzo strumentale dall’ atmosfera medievale e da un coro gregoriano che innesca immediatamente la seconda in scaletta, estrapolata dall’album: Wall Of Skulls del 2021. Un power metal in puro stile teutonico, maestoso e melodico che incendia da subito i ragazzi e le ragazze posizionati sotto i loro piedi. Pezzo aggressivo nei primi minuti in cui il quintetto di Heidenheim emana ruggenti riff chitarristici, vicini all’heavy metal tradizionale che poi esplodono in un melodicissimo ritornello. Nell’ultima parte il ritmo cala ma mantenendo sempre uno stile fiero e trionfale tipico delle formazioni provenienti dalla fertile Germania. Se la cadenzata e orientaleggiante, “Worlds Are Comin’ Through” presenta e conferma un gruppo sempre fedele agli stili di un certo tipo di metallo, portandolo avanti con fierezza e cognizione di causa senza cadere in facili compromessi; la successiva “Devil’s Eye” è la vera bomba di melodic power che fa esplodere una folla ormai molto rumorosa e attenta alla performance dei germanici. Are You Ready? Grida il cantante e trascinatore Andy B. Franck sotto i colpi di una dirompente batteria e di una forte linea di basso eseguita selvaggiamente dal nuovo acquisto Jim Ramses. Il sound scatenato poi dalle due chitarre elettriche è così forte e robusto che la gente viene quasi ammutolita, ma pronta a saltare e ad alzare le corna per tutto il brano. Alcuni accennano addirittura a pogare ma la cosa sorprendente è che tutti cantano il ritornello a squarciagola. Il feeling con i tedeschi si è ormai istaurato e la cosa si sente nella successiva e orientaleggiante “Shiva’s Tears” o nella bellissima ballata, “Glory Dissapears”, ricca di momenti ambientali e di un refrain super orecchiabile che entra dritto nei cuori degli italiani presenti. Scrosciano gli applausi e di conseguenza pure i “Grazie Mille” pronunciati in modo stentato dal bravissimo vocalist teutonico. I ritmi quadrati e dal gusto puramente metal proseguono nella martellante e ossessiva, “Highs Without Lows”, dove si mette in luce la devastante doppia cassa di Bernert e l’aspra e rauca timbrica vocale di Andy. La speed metal, “The Pyre “, è un altro punto saliente del concerto perché’ i supporters cominciano a buttarsi in un vero e proprio pogo e la gente sotto il palco è ormai cresciuta numericamente ed è incontenibile sotto i colpi di tanto fuoco amico. Le spigolose chitarre elettriche e la ricerca costante di melodie forti e vigorose sono il fiore all’occhiello di una band che merita sicuramente più popolarità di quella ottenuta fino ad adesso. “Escape The Silence” è un altro pezzo energico della loro lunga discografia fatta di coerenza ed epicità che non cade mai nel banale o, peggio ancora, nello strappare consensi a tutti i costi con melodie accattivanti e facilmente ricordabili. Colpisce in positivo, la grande melodia del ritornello e la matura muraglia sonora elevata dai due guitar hero, che si muovono avanti e indietro nel palcoscenico grondanti di sudore per il forte caldo e che neppure gli enormi ventilatori di scena riescono a fermare. Le finali, “Turn Off The Light”, “All Those Words” e la magnifica ed immancabile, “Ravenous Minds”, sono infine la ciliegina sulla torta di un meraviglioso spettacolo.
I Brainstorm fanno così breccia al popolo del Luppolo dopo un enorme esibizione fatta di attitudine rock and heavy e, soprattutto, grazie alla voce di Andy B. Franck, capace di coniugare egregiamente melodia e incitamento a seconda delle necessità e delle situazioni. Grandissimi!
Finalmente si cena perché l’ennesima pausa, in attesa degli scozzesi Alestorm, ci consente di mangiare un fugace boccone prima del tour de force che porterà alla chiusura con gli attesissimi headliner Gamma Ray. Dalla serietà sassone si passa, nel giro di pochi minuti, alla ilarità scozzese dei corsari Alestorm che, come al solito, piazzano al centro del palco una paperella gonfiabile di colore giallo e dalle enormi dimensioni che a prima vista lascia di stucco e allibiti.
Con loro il divertimento è assicurato perché’ questi bizzarri musicisti amano rallegrare e bene fiumi di alcool facendo far svagare i propri supporters con pezzi potenti, melodici e dallo stile tipicamente folk. Se su disco, ormai suonano sempre le stesse cose, dal vivo sono un’autentica montagna russa senza freni, che fa girare la testa già dalle prime note di “Keelhauled”, spassosissimo up-tempo folk, con delle melodie di violino che si stampano in testa già dopo mezzo ascolto. Sono proprio queste atmosfere festaiole la carta vincente di un equipaggio capace di farci entrare tranquillamente nel loro sgangherato galeone e intraprendere con loro un vero e proprio viaggio avventuroso alla caccia di tesori e di nuove conquiste. Il tempo di alzare le vele e aver preso in mano il timone la ciurma comincia a suonare partendo dai rullanti della batteria di Pete Alcorn seguito dall’ubriaca voce di Christopher Bowes accompagnata sempre dalla sua mitica e inseparabile Keytar. La platea è letteralmente in delirio con i tantissimi fan italiani e stranieri che urlano, sventolano bandiere, saltano e lanciano birra in aria senza pietà. È davvero difficile non farsi trascinare almeno un po’ dalla loro singolare ed epica musica piratesca. Cristopher, per l’occasione con il tipico kilt scozzese, e i suoi scalmanati seguaci incitano ancora di più un pubblico già incandescente di suo e volenteroso di partecipare a questa nuova traversata sulle acque italiche. Tra una birra e l’altra gli Alestorm arrivano alla famosa e melodicissima, “Mexico”, con in vista il chitarrista Máté “Bobo” Bodor che suona spavaldamente sopra un piedistallo con la sei corde elettrica di colore verde pisello e un cappellino in testa messo al contrario. I vecchi fan ma anche quelli nuovi accostatisi da pochi minuti alla band (tra quest’ultimi inserisco pure i miei due amici) applaudono e cantano parola per parola. Tra una canzone e l’altra spunta poi a sorpresa la bella e brava musicista tedesca Patricia Büchler, in arte Patty Gurdy che accompagna la band con la sua voce e con la sua ghironda, uno strano strumento medievale a manovella che aggiunge un ulteriore tocco folcloristico alla musica degli scozzesi. È il caso, per esempio, della spumeggiante e cadenzata, “Zombies Ate My Pirate Ship”, dove il combo trascina la folla grazie ad un armonioso e maestoso refrain. Qui la rossa Patty canta pure divinamente guidata dalla magica tastiera di Elliot Vernon, che alla fine della traccia sostiene la canzone mentre i nostri pirati cantano all’unisono il ritornello conclusivo.
La set list è veramente lunga e coinvolgente. Sembra di non avere un attimo di respiro o, peggio ancora, appare che i pezzi siano tutti uguali. Attenzione non è questa una critica ma una veritiera constatazione verso una band che ha trovato la sua formula vincente e che giustamente non l’abbandona più. Brani come la velocissima e chiassosa, “Uzbekistan” e “Nancy, The Tavern Wench”, alzano l’attenzione grazie anche, nella prima, all’aggiunta di una voce gutturale e di interessanti cambi di tempo. Nella seconda il ritmo lento e militaresco è un vero e proprio inno cantato nella stiva di una lurida barca dopo una feroce e sanguinante battaglia. Il loro mix di power e goliardico folk metal trasforma per più di un’ora e mezza il Parco delle ex Colonie Padane in una vera e propria miniera d’oro dove tutti gli strani individui, travestiti da pirati e papere, accorsi attingono a man bassa senza guardare in faccia a nessuno. Con “Party” i cinque fuorilegge perdono definitivamente la rotta puntando su un pop rock da discoteca pieno zeppo di sintetizzatori e con un ritornello capace di far resuscitare anche i morti. Bowes e soci mettono così a ferro e fuoco un Festival che fino a quel momento aveva vissuto di momenti tradizionali e classici ma sempre molto interessanti e potenti. Adesso tutto viene spazzato via dalla carica innovativa e avvincente che riescono a sprigionare brillantemente dal vivo. Ne è un ulteriore conferma la commerciale e sigla da cartoni animati intitolata volgarmente: “Shit Boat”. Dato che ormai l’eccitata folla li incita a più non posso, arriva il doppio regalo o la doppia bevuta offerta gratuitamente al banco dagli Alestorm. Ovvero, la power/trash e ubriacante “Drink” e la roboante “Rum”, che riescono nell’intento di far pogare e ballare tutti e perfino alcuni bambini sulle spalle dei propri ed estasiati padri. È ormai tardi e dopo aver ormeggiato il galeone e buttata l’ancora mentre cantano la volgare filastrocca, ““Fucked With An Anchor”, i ricercati e sbronzi bucanieri si dirigono nella loro lurida e sicura locanda per continuare a bere e magari riposare. Il domani è incerto e pericoloso ma anche questa volta è andata benissimo. I mari italiani sono stati facilmente conquistati e il bottino, guardando al sold out della serata, è veramente soddisfacente e appagante sotto tutti i punti di vista.
Christian Rubino
Lele Triton
Tutte le foto sono di Christian Rubino
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