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Ritorno con un nuovo disco ed una nuova formazione per gli Ivanhoe, band che ha segnato la storia del power/prog metal degli anni novanta. Sono dischi fondamentali per questo genere sia “Visions ad Reality” che “Symbols Of Time” ma bisogna andare indietro fino al 1995 per trovarli, ed i cambi di formazione da allora sono stati molti con Soulas che resta ad indicare la strada ai nuovi arrivati. Ormai dal 2013 la voce è quella di Alex Koch, e questo porta una continuità che è importante mentre l’inserimento di chitarra e batteria danno idee e soluzioni differenti alla formazione. Gli Ivanhoe ci fanno sapere che il processo di scrittura delle canzoni si è rivelato un viaggio a ritroso verso le radici del gruppo, rivisitando tutti i precedenti album: sarà davvero così? Andiamo ad ascoltare cercando di non essere distratti dalla memoria dei “bei tempi andati”.
Si parte con il crescendo dell’intro “Daybreak”, una quarantina di secondi che introducono “Healed By The Sun”. Il brano scorre bene, strofa cadenzata e ritornello molto melodico. Sullo stesso livello la successiva “Headnut” che parte alla grande con un ritmo indiavolato ma poi tende a perdersi e diventare un po’ troppo lineare. Forse questo è il problema dei primi brani di questo lavoro degli Ivanhoe; sprazzi di genialità che vengono poi annebbiati da un genere musicale che chiede e porta a suonare certe cose. Anche “Moments In Time” ha un bel giro di basso iniziale e soprattutto una strofa con ritmica ed arrangiamento progressivo che sfocia in un ritornello orecchiabile.
Il disco prosegue con brani non lunghi per il genere, siamo sempre intorno ai quattro minuti o poco più, ed è un bene perchè si arriva subito alla parte centrale del ritornello piena di melodia senza perdersi tra stacchi e ripetizioni; nonostante questo si fatica a trovare qualcosa che, dall’inizio alla fine, faccia tremare le gambe. Una certa macchinosità generale nella costruzione della musica è quello che si percepisce e non bastano le aperture centrali per definire ottima una composizione.
Ed all’improvviso qualcosa cambia, come se la band avesse deciso di partire con un registro diverso. Quanto detto prima viene spazzato via da una serie di brani di livello superiore. Si parte con la delicatissima “Picture In My Mind” dove piano e voce confezionano linee morbide da brividi. Parte ” One Ticket To Paradise” e qui sentiamo finalmente i “nostri” amati Ivanhoe: un brano immediato, melodico, tecnico ma non troppo, un misto tra power e prog moderno (sotto trovate anche il video ufficiale, nda). E dalle successive si resta su questo livello (allora era vero del viaggio a ritroso nel passato compositivo della band): “War Of Ages” e “10C” sono tutte e due mediamente più lunghe e portano ai sei minuti di “Broken Illusions”, tempi più dilatati ma sembra che volino questi pezzi. Se in questo disco ci fossero solo i 6/7 pezzi giusti sarebbe giudicato diversamente. Il disco si conclude con “Awaiting Judgement Day”, ri-registrazione di un brano presente su Polarized del 1997.
Come concludere questa recensione? Gli Ivanhoe sono una grande band, che ha attraversato gli anni e continua a produrre ottimi dischi. A tal proposito è innegabile che produzione e suono pulito su questi lavori sia un punto di forza, tutto ben fatto ed al posto giusto. Di certo l’impressione generale è quella che traspare durante questa recensione, un buon lavoro che manca di qualcosa. Un disco che fa vedere una formazione viva ed in forma, ma che fatica a trovare il punto di svolta. Un disco consigliato e una speranza per il futuro: che ritornino presto sapendo che questo è un lavoro di raccordo che preannuncia nuova musica.