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Nuovo disco e nuova formazione per gli svedesi Paralydium che tornano in pista con il secondo lavoro in studio intitolato: Universe Calls. Il bel debutto, Worlds Beyond del 2020, aveva avuto come protagonista dietro al microfono Mikael Sehlin, ma dato che il vocalist è adesso impegnato con gli Amaranthe, troviamo al suo posto l’ex cantante degli Astrakhan Alexander Lycke. Per il resto la formazione rimane invariata con il fondatore John Berg alla chitarra, Jonathan Olsson al basso (Dynazty), Georg Härnsten Egg (Dynazty) alla batteria e Mike Blanc alle tastiere. I Paralydium fanno del prog metal sinfonico tradizionale ma lo fanno molto bene senza mischiare generi e non inventandosi nulla di nuovo. I sintetizzatori e le parti orchestrali sono le fondamenta del loro suono e lo si sente immediatamente nell’apripista strumentale e cinematografico, “Prelude”, biglietto da visita di ciò che verrà dopo.
“In questo album, ci siamo immersi profondamente nelle nostre radici progressive”, ha spiegato la band. “I fan di lunga data riconosceranno le qualità espansive e gli open-world che ricordano il nostro EP, ora caratterizzato da tracce più lunghe e arrangiamenti più ampi. L’album è un mix di Worlds Beyond con un approccio più epico, esplorando anche a fondo il nostro lato progressive con tempi complessi e sezioni immersive”.
Il visionario John Berg parte in quarta poi con la sua sei corde nel singolo, “Sands Of Time”, accompagnato dalla tastiera atmosferica di Blanc e dalle parti intricate di batteria di Egg. Traccia ritmata, sinfonica e deliziata da rapidi assoli chitarristici al fulmicotone che rendono il brano molto coinvolgente e accattivante. Lycke canta divinamente tra la risonanza del basso e gli assoli di chitarra tanto da sembrare Russell Allen in persona ma in generale il loro sound è molto vicino agli americani Symphony X capeggiati proprio dal frontman americano. La forza della band è comunque la capacità di fondere bene gli autorevoli riff chitarristici con i paesaggi melodici e le atmosfere cinematografiche che riescono a creare dai loro strumenti. È il caso della terza in scaletta, “Forging The Past”, dove gli svedesi mostrano con forza la loro verve progressive fatta di tantissimi cambi di tempo, di diversi passaggi armoniosi, di assoli tecnicissimi e mozzafiato che sfociano in un crescendo energetico e in un semplice e melodioso ritornello ben interpretato dall’ugola morbida e passionale del singer. Attorno alla sei corde elettrica di Berg troviamo una spavalda sezione ritmica che è poi in definitiva il cuore pulsante del combo scandinavo. Il duo Berg/Blanc si ripete magnificamente nella ritmata, “The Arcane Exploration Part I”, dove si odono dei discreti e ambientali passaggi acustici dal grande effetto sonoro ed emotivo. Il basso di Olsson è anche qui in primo piano a spingere e supportare una song che con il passare dei minuti si indurisce e diventa più veloce, sostenuta da un enorme e vorticoso muro tastieristico e chitarristico. La voce di Alexander è crescente e a tratti anche lamentosa ma sempre attraente e culminante nell’orecchiabile e melodico ritornello. Idem per la conclusiva e inquietante, “The Arcane Exploration Pt 2”, dove si nota più dinamicità grazie ai travolgenti riff di chitarra, di tastiera e di pianoforte. Se il piano rallenta per pochi minuti il pezzo e rende un’atmosfera riflessiva e malinconica, al contrario i synth e i campionatori accelerano e prendono il sopravvento portando la traccia a un ritmo costante fino a quando non sopraggiunge una fantastica sezione solista che prepara ad un pazzesco crescendo finale. La migliore song è comunque la splendente e possente, “Caught In A Dream”, perché i vichinghi partono da lontano proponendo elementi prog settantiani ricchi di armonie ma con massicci riff di chitarra elettrica supportati dalla solita e mastodontica sezione ritmica. Qui la band porta l’ascoltatore in un viaggio tenebroso e interplanetario fatto di ritmi e riff intricati ma anche di un refrain super melodioso, ignoto e ipnotizzante che ormai sembra essere il marchio di fabbrica dei Paralydium. Se in generale la personalità latita, si può ben dire che qui riescono a trovare qualcosa di proprio e distintivo che fa ben sperare per il futuro. Buona anche la padronanza nella gestione dei brani sapendo bene variare gli stili e i vari assoli tastieristici e chitarristici. Da sottolineare pure l’aspetto sonoro che è molto cinematografico e melodioso rendendo così l’opera più accessibile e facile da ascoltare nonostante i passaggi strumentali siano ovviamente complessi. La set list colpisce in positivo già al primo ascolto è questo è sicuramente un aspetto importante e a favore dei Paralydium. Manca sinceramente quel pezzo epico e memorabile che possa portarli ai livelli degli amati Symphony X o dei maestri Dream Theater ma se continuano così ci sono buone speranze che possano arrivare a questo grande risultato incidendo il loro nome tra i giganti del genere.