GRENDEL’S SŸSTER – Katabasis Into The Abaton

Titolo: Katabasis Into The Abaton
Autore: GRENDEL’S SŸSTER
Nazione: Germania
Genere: Doom/Folk Metal
Anno: 2024
Etichetta: Cruz del Sur Music

Formazione:

Caro – Voce
Tobi – Chitarre
Simon – Basso
Till – Batteria


Tracce:
  1. Boar’s Tusk Helmet
  2. The Plight of a Sorcerer
  3. Rose Arbor
  4. Night Owl’s Beak
  5. Golden Key (Won’t Fit)
  6. The Fire That Lights Itself
  7. In Praise of Mugwort
  8. Cosmogony

Voto del redattore HMW: 7,5/10
Voto dei lettori: 8.0/10
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Confesso di aver esitato non poco, quando ho pensato cosa inserire alla voce ‘Genere’ nel mascherino di questa recensione: di fatto, non ho alcuna idea di cosa suonino i Grendel’s Sÿster! La nota stampa suggerisce addirittura “epic metal, epic doom, acid folk, folk, folk rock, Krautrock, renaissance fair-styled music and ’70s rock”, il che significa tutto e nulla: chi scrive ha trovato come unico possibile referente sonoro The Lord weird Slough Feg! Insomma, questa band tedesca intriga fin dal monicker, dall’improbabile titolo dell’album che segna il suo debutto, e dalla straniante copertina.

L’effetto di disorientamento cresce, ovviamente, quando si preme il tasto play. La commistione di generi di “Boar’s Tusk Helmet” è effettivamente interessante: doom, folk, heavy, cenni di psichedelia, forse anche epic si mescolano in proporzioni variabili generando un buon esempio di quello che si definisce, ormai da qualche anno, ‘retro-metal’. Condizione imprescindibile è, però, che accettiate la voce sgraziata, a tratti proprio stridula, di Caro, altrimenti non andrete avanti due minuti nell’ascolto! Andamento ‘a marcetta’ per “The Plight Of A Sorcerer”: chi ama queste sonorità la troverà intrigante nei suoi ritmi molto netti, ad altri potrebbe risultare stucchevole… cori insistenti e un’aura sacrale per “Night Owl’s Beak”, prima di un break con la sognante ballad acustica “Golden Key (won’t fit), dove si ascolta anche un flauto da fiaba. I suoni più ‘classicamente’ doom li abbiamo nell’ipnotica “The Fire That Lights Itself”; con la ritmata “Cosmogony” si chiude un disco decisamente singolare, con diversi limiti ma anche una dose di follia sonora che di certo non guasta!

I Grendel’s Sÿster non assomigliano a quasi nulla che sia attualmente sulla scena, e questo mi sembra un bene; sono però certamente per pochissimi, con le loro imperfezioni (volute e studiate a tavolino? Si potrebbe pensarlo…) e l’evidente volontà di stupire l’ascoltatore e portarlo dove non si aspetta. Basta, questo, per fare un grande disco? Sicuramente merita un voto alto di incoraggiamento: il futuro poi ci dirà.

Curiosità conclusiva: la versione CD contiene anche tutto il disco cantato nella lingua madre della band. Quello è veramente solo per pochi: la voce di Caro risulta veramente inquietante…

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