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Una ventata di aria … nera. Molto nera. Come la pece.
Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni (qui e qui), il black metal è ormai diventato molto di più di ciò che era ai suoi albori.
Oggi è possibile ascoltare questo genere, ritrovando i canoni principali e, soprattutto, il freddo calore della fiamma nera, pur rilevando suoni, stilemi e riff che prendono a piene mani da calderoni che col black hanno anche poco a che fare. E credo che questa sia una cosa molto positiva, perché questo che, letteralmente, si chiamerebbe “crossover“, ha come risultato finale quello di evolvere e di portare altrove la musica dei gruppi.
In questo gli Akhlys sono un esempio interessante, poiché la ventata d’aria nera che arriva dai loro lavori è anche una ventata di aria fresca e di novità in questo genere.
Conosciuti col precedente Melinoë, questo trio americano (prima quartetto) mi aveva stupito sin da subito per l’impatto incredibile che sono stati in grado di dare alla loro musica.
Raramente ho sentito un fluire così perfetto di una musica così nera e maligna.
Con questo House of the Black Geminus i nostri tornano dopo 4 anni esatti e lo fanno ripartendo dove avevano lasciato.
Le dissonanze della prima parte della canzone d’apertura The Mask of Night-Speaking, che funge da intro, sono il perfetto biglietto da visita per chi si approccia a questo disco.
Nere atmosfere, ambiente cupo, ombre e penombre che lasciano soltanto intravedere l’orrore, fino a esplodere dopo 4 minuti in una sfuriata che lascia veramente poco spazio alla speranza. E sono anche molto pochi i momenti di respiro che vengono lasciati, per sfociare poi nella melodia “malata” che ci accompagna verso la fine del pezzo.
Che pugno in faccia…
Un inizio quasi tribale/industrial apre invece le danze per la successiva Maze of Phobetor (che trovate qui sotto), che è soltanto il preambolo all’ennesima sfuriata senza compromessi che arriva, questa volta, quasi subito. E ti tiene in apnea per quasi tutta la sua durata.
Già a questo punto dell’album (soprattutto se si è già avvezzi al loro lavoro) si capisce quale sia il loro modus operandi.
Pur essendo un disco black, con molta tendenza alla dissonanza e ad un certo disordine controllato, è chiaro quanto questi ragazzi siano maestri nel creare delle melodie preponderanti e portanti per tutti i pezzi. Melodie che si mettono al servizio della fiamma nera e della nebbia che avvolge le anime dei tre del Colorado e si fondono per creare questi bellissimi dipinti di black metal.
Il terzo pezzo Through the Abyssal Door è un “lentone” che abbassa un po’ i giri motore, pur con stilettate ben assestate e l’intento di spostare l’attenzione sul terreno dei sentimenti piuttosto che della furia. Quasi a volerci portare a rallentare i nostri battiti cardiaci, per arrivare a sussurrarci i fetori dell’inferno nell’orecchio tramite Black Geminus. Questa canzone ambient, totalmente strumentale e debitrice degli inizi carriera dei nostri, funge da intermezzo e come se fosse l’introduzione agli ultimi due colpi del disco.
Che sono ancora due tracce estreme, tiratissime e impattanti e che riflettono in toto ciò che sono gli incubi più oscuri che albergano nelle menti dei nostri.
Questo disco è semplicemente pazzesco, per quanto riesca a catapultarti nell’oscuro sin dal primo minuto di ascolto, come sia capace di aggrapparsi a te e a trascinarti nell’abisso, senza lasciarti respirare se non per brevissimi momenti, per poi risputarti fuori maciullato e travolto da cotanta violenza.
Un lavoro che è in grado di non stancare, nemmeno per un attimo, accogliendo anche la traccia ambient come quello scorcio di calma, come essere nell’occhio del ciclone; un lavoro completo e strutturato, pieno di idee e di soluzioni, melodicamente intrigante e terribilmente riuscito.
Il black metal si sta evolvendo e questi signori ne stanno dando un esempio perfetto di come il terrore dovrebbe suonare.
Angoscioso e imperdibile.