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La Frontiers Records prova a far emergere e a mettere in risalto la voce dell’ottimo cantante indiano Girish Pradhan, conosciuto con i suoi connazionali Girish & The Chronicles e di recente con la band americana del chitarrista George Lynch The End Machine. La label ha poi ingaggiato il produttore e compositore turco Cenk Eroglu (ex-Winger, Crossing Rubicon) per produrre e scrivere le canzoni di quest’album di debutto. Cenk, che suona pure la chitarra e l’organo Hammond, per completare la band recluta i suoi due figli: il ventiseienne Eroglu, Efe, alla chitarra solista e il diciasettenne polistrumentista Reis Ali Ali Eroglu, al basso, alla batteria e alla chitarra.
Girish Pradhan dice sul progetto: “Questo è diverso da qualsiasi altro disco che abbia mai fatto. Diverso. Molti dei miei ascoltatori mi hanno sempre chiesto di fare qualcosa di diverso per cambiare, e sento che questo disco è esattamente ciò di cui hanno bisogno. Ovviamente, è tutto merito di un gruppo fantastico e dedicato, che lavora instancabilmente dietro le quinte, aiutandomi a far emergere un lato diverso di me. Lavoro incredibile da parte del giovane e super talentuoso – Ali, alla chitarra! Tutto sommato, un grande progetto di cui ho avuto modo di far parte”.
Il risultato di questa collaborazione è interessante perché gi artisti coinvolti riescono a proporre una set list molto equilibrata che spazia dal classico hard rock melodico a momenti più duri e incisivi. Penso subito all’iniziale e corale, “Hit And Run”, una vera e propria cavalcata rock dal refrain coinvolgente e super melodico, che vede protagonista l’ugola vellutata e determinata del singer asiatico e i riff intermittenti e melodicissimi della chitarra elettrica. Idem per uno dei pezzi più belli del disco, “Broken”, brano cadenzato dai riff minacciosi e trascinanti che culminano in prolungati assoli e soprattutto in un orecchiabile ritornello sostenuto da una base tastieristica di prim’ordine. Qui le corde vocali di Pradhan sono più aspre e agguerrite del solito per una song capace di mettere in mostra l’enorme abilità musicale dei musicisti coinvolti.
Girish Pradhan descrive la traccia: “ Questa è una delle prime canzoni che ho ricevuto dai ragazzi. La musica stava influenzando il modo in cui scrivevo i miei testi. Anche se, penso che il termine Broken fosse già un titolo provvisorio. Parla di come non dovremmo mai smettere di combattere i nostri demoni. Non importa quanto Broken possiamo essere, dobbiamo sempre cercare la luce”.
Con la title track si comincia a far sul serio perché’ la sezione ritmica dei fratelli Cenk fa partire le danze con un ritmo cadenzato sovrastato solo dalla voce incredibilmente robusta e melodica di Pradhan e da momenti ambientali e rilassanti, che si alternano alla furia sonora sviluppata dalla sei corde elettrica. Il massimo si raggiunge con in sound britannico dei Judas Priest in “Soul Screamer”, canzone massiccia e travolgente per via di una possente sezione ritmica trascinata da riff e assoli impetuosi di chitarra elettrica che non lasciano scampo. Lo stesso discorso vale per la cupa e horror, “Underdog”, in cui il bravo Girish abbassa le sue tonalità vocali cantando in modo più rauco e aggressivo sostenuto da una battente sezione ritmica e da un’ossessiva e ripetitiva electric guitar. La forza di questo nuovo combo è quello di offrire delle melodie armoniche e duttili, riff serrati e assoli taglienti di chitarra smorzati solo dalla tastiera o dalla voce flessibile del frontman asiatico. Un esempio lampante è la semi ballata, “Walk The Line”, gemma di puro hard rock, alla Winger, che smorza i toni metal degli ultimi tre brani descritti in precedenza, presentando un arrangiamento più lento e più cupo del solito. Certo non è tutto oro quello che luccica perché nonostante l’ottima alchimia tra i ragazzi manca ancora, come giusto che sia, quella personalità compositiva che li renda facilmente riconoscibili ad un pubblico esigente come quello metal. I paragoni con altre band più famose sono naturalmente evidenti e fanno parte del gioco soprattutto agli inizi ma il modo in cui gli affilati e veloci riff chitarristici di Reis si uniscono ai rapidi assoli infuocati del fratello Efe sono qualcosa di incredibile e molto bello da ascoltare, come per esempio nella tirata e melodiosa “No Time To Burn”, dove il singer strabilia ancora i timpani dell’ascoltatore con i suoi potentissimi e precisissimi acuti. L’ultima, “Fall Back Now” è nei primi secondi un lento acustico che sembra chiudere mosciamente un disco che fino a questo momento ha retto alla grande con intensità e tecnica strumentale. Per fortuna i ragazzi dopo questo breve e lento inizio riprendono alla grande con un sound robusto e massiccio rimanendo nell’ambito dell’heavy metal, omaggiandoci ancora una volta di un ritornello orecchiabile e ammaliante che con i pungenti acuti di Girish Pradhan chiude in bellezza un buon debutto veramente interessante e convincente. I The Nail sono giovani, bravi e due di loro sono pure figli d’arte con un futuro promettente che può solo farli crescere tecnicamente e creativamente. L’unica cosa è vedere se continueranno con questa formula ibrida di hard rock ottantiano ed heavy metal tradizionale o se proveranno a focalizzarsi su qualcosa di diverso. Noi saremo qui ad aspettarli con pazienza nell’attesa che mettano altri robusti “chiodi” nel prossimo lavoro in studio.