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Gli americani SteelCity ritornano in pista, niente meno che con la nostrana Frontiers Records, capace di scovare e lanciare band sparse in tutto il mondo. Con Reverence, siamo al terzo disco in studio per gli hard rockers statunitensi provenienti dalla laboriosa Youngstown, in Ohio; città soprannominata “dell’acciaio” perché un tempo ricca di fiorenti acciaierie.
Il leader e chitarrista Mike Floros parte all’inizio con un progetto solista, influenzato da sonorità di gruppi come gli Europe, i Winger e i Kiss ma poi la cosa si trasforma in qualcosa di più serio che porta alla nascita della band, composta, oltre che da Mike, anche dal cantante Roy Cathey (Cold Sweat), dal bassista Jason Cornwell, dal batterista Anthony White (Cold Sweat) e dal tastierista Tony Stahl (DeadRisen, Livesay, Mike LePond’s Silent Assassins).
Il sound è un attraente e sfrontato hard rock melodico dalle sfumature blues ma a tratti duro, grezzo e polveroso tipico degli anni ’80 e ’90. Devo dire che il primo ed emotivo singolo “No Angel”, è un pezzo molto cupo e malinconico, ravvivato solo da riff intermittenti, da prolungati assoli di chitarra elettrica e dall’ugola erculea del singer. Il tutto culmina in un ritornello facilmente canticchiabile e ricordabile perché’ sostenuto anche da una marea di cori. L’iniziale e tambureggiante, “I Ain’t Dreamin’ Bout You”, al contrario è un rock and roll più vivace, impolverato e ribelle impreziosito da una moltitudine di cori che accompagnano la voce rude e incazzata del frontman statunitense. Il marchio ottantiano si ode poi nella veloce e più aggressiva, “Hammer’s Fallin”, caratterizzata da una tastiera ambientale capace di creare delle sentimentali atmosfere ottantiane cancellate, a tratti, da una spigolosa e pungente sei corde elettrica. Sembra di sentire il suono di vecchi gruppi californiani di forte impatto come i Warrant o i Tesla per intenderci. L’esuberanza ritmica del basso e della batteria sono sempre in prima linea nonostante l’esuberanza tecnica della chitarra elettrica. Ne è un esempio il rock and blues di “Dizzy”, molta vicina allo stile dei famosi Whitesnake. Idem in “Walk Away” in cui la calda timbrica vocale del bravissimo Roy si abbassa di tonalità diventando più rauca del solito. Inutile dire che alche qui l’assolo chitarristico di Floros merita applausi. Il disco poggia le sue fondamenta principalmente sulla tecnicissima electric guitar di Mike, sulla strepitosa voce di Cathey e sulle seconde voci ottimamente arrangiate in ogni pezzo. Qui non troviamo solo brani nostalgici ma anche song moderne, armoniose e robuste come l’hard rock contemporaneo e frizzante di “B.A.N.K.”, che mostra un combo molto abile tecnicamente (basta ascoltare attentamente l’assolo di chitarra) e proiettato a farsi conoscere ad un pubblico più giovane. Gli inevitabili e programmati assoli continuano anche in “Broken”, brano cadenzato e accattivante grazie a un ottimo refrain melodico che trascina già dalle prime note. Il pezzo forte del platter è comunque la sorprendente, “Midnight Dancer”, pezzo anni ’80, nel complesso semplice ma maestoso e coinvolgente per via dell’ottima interpretazione vocale e dal virtuosismo esecutivo di Mike con la sua devastante chitarra elettrica. Sulla stessa scia troviamo la dinamica e cupa, “Losing Control”, dal sapore bluseggiante e con un ritornello molto orecchiabile e convincente.
Invece la penultima e l’ultima in scaletta cambiano decisamente registro presentando due facce diverse degli SteelCity. La prima, “Blinded”, è una composizione tipicamente hard and heavy dal forte impatto sonoro grazie ai tirati riff, ai prolungati assoli di Floros e alle passionali e acute corde vocali dell’amico Roy; straordinario cantante solista che farebbe comodo a qualunque formazione rock del pianeta. Poi la tastiera di Tony Stahl conferisce compattezza e spessore alla canzone forgiando così una parvenza di sound personalizzato che ancora purtroppo è molto lontano da una vera e propria originalità compositiva ed esecutiva. La seconda e conclusiva, “The Journey”, è una ballata romantica e piacevole di commiato che non fa impazzire nel ritornello e che mostra ancora una volta i tecnicismi di tutti questi abilissimi musicisti. Reverence non fa gridare al miracolo e non è sicuramente l’album del mese o dell’anno ma piace per le sue interessanti melodie e per la sincerità compositiva ed esecutiva di Mike Floros, che con la chitarra elettrica in mano è un artista fenomenale.
Al primo ascolto il guitar hero sembra togliere la scena agli altri artisti ma poi, grazie ad una nitida produzione, ci si accorge come la bravura e la qualità di tutti i componenti sia a livelli altissimi.