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La musica dei Sinner’s Blood è come la copertina del loro ultimo disco dove un veliero cerca di arrivare a destinazione, in un porto sicuro, ma prima se la deve vedere con una impetuosa tempesta che rischia di farlo affondare nelle gelide acque dell’oceano Atlantico. Non fraintendetemi, il gruppo è tosto e sa il fatto suo offrendo un power/heavy melodico, minaccioso, cupo e a tratti anche progressivo, ma sicuramente non innovativo e non del tutto originale. Oggi nel grande mare delle band metal è difficile rimanere a galla in un business turbolento e concorrenziale dove la maggior parte degli artisti propone sempre la stessa minestra, tranne naturalmente poche eccezioni.
Il duo cileno, composto da Nasson (Chaos Magic), compositore, produttore e chitarrista, e dal cantante James Robledo (ex-Renegade, Thabu), dopo il debutto del 2020 continua ancora il suo percorso con Nicolas Fischer al basso e Guillermo Pereira alla batteria. Dark Horizons, riprende da dove i quattro avevano lasciato, ovvero dal discreto: The Mirror Star che ci aveva fatto apprezzare il massiccio e contemporaneo approccio dei cileni al melodic metal con in prima linea l’eccezionale voce di Robledo che ricorda quella del compianto Ronnie James Dio o quella famosa di Jorn Lande per intenderci. La freschezza del prodotto è dovuta innanzitutto all’utilizzo enorme dei sintetizzatori e della brillante produzione che riesce bene ad esaltare tutti i suoni. Le caratteristiche principali del nuovo disco sono sempre la potenza, il virtuosismo, interessanti melodie e tanta energia positiva che fuoriesce dagli strumenti del quartetto. Tutto questo si sente subito con le due canzoni di apertura: la roboante “Bound” e la ritmata “Enemy”, dove i musicisti colpiscono da subito l’ascoltatore con scariche adrenaliniche di tastiera, synth e vibranti riff di chitarra. Nella prima addirittura si è trasportati dall’orecchiabile ritornello e dai cambi prog metal che mettono in risalto la tecnica e il virtuosismo del combo. Si sentono enormi influenze da parte di band storiche come gli Evergrey o come i Symphony X ma i Sinner’s Blood non hanno paura di peccare copiando dagli altri e arrivando ad offrire dei veloci e articolati arrangiamenti. Basta ascoltare attentamente i due iniziali assoli chitarristici di Nasson per capire la grandezza di questo musicista che abbinato alla bravura di Robledo compone un duo strepitoso. Forse l’unica pecca, se si vuole trovare il pelo nell’uovo e l’utilizzo sfrenato di ritmi contorti provenienti dai freddi campionatori che avvolgono i brani. Il romanticismo e i sentimenti emergono armonicamente in “Not Enough” e in “It Comes In The Dark”, ma sempre mantenendo un sound duro e coinvolgente a livello di refrain. Addirittura, in quest’ultima riescono anche a creare dei momenti ambientali e più tranquilli ripartendo poi con un suono che ricorda l’alternative metal dei commerciali Linkin Park. Insomma, ce n’è per tutte le orecchie come nel caso del gradevole power metal di “Victim Of The Will”, in cui l’ugola del singer è meno roca del solito ma sempre profonda, melodica e capace di trascinare ad un ritornello mieloso e gradevole.
Il sound si indurisce arrivando ad un classico heavy metal con la inquieta e vivace, “Poison”. Idem per “The Firestorm”, un altro pezzo metal dal grande ritornello sostenuto brillantemente da una combattiva e potente sezione ritmica. Questa è poi accompagnata da una costante e ossessiva tastiera che è sovrastata solo dalla fulminante e devastante sei corde elettrica del solito Nasson. Ogni brano ha qualcosa di diverso e questo rende l’ascolto piacevole e poco noioso come nel caso della tellurica title track “Dark Horizons”, impreziosita dalla bassa e rauca linea vocale del trascinante vocalist. Qui i riff spigolosi e ripetitivi mettono le fondamenta su qualcosa di robusto ma sempre melodioso soprattutto nel ritornello che è sostenuto anche da un leggiadro pianoforte. Quest’ultimo porta, per un minuto, ad una pacata e riflessiva atmosfera tipicamente di musica AOR che troviamo in seguito nella semplice ballata acustica, “A Voice Within”, canzone tranquilla e rilassante, fuori dagli schemi precedenti e dove emergono, per pochi minuti, la sensibilità compositiva ed esecutiva della band. Forse la troppa carne al fuoco e la troppa varietà dei generi affrontati, alla lunga potrebbe essere il vero e proprio tallone di Achille di un platter comunque ben riuscito. Probabilmente l’uso di meno elettronica e più suoni classici porterebbe a far esaltare ancora di più le qualità metal di questa fantastica e preparatissima band. L’epica e conclusiva “Redemption Or Fire”, è l’ennesimo inno alla melodia e ai ritmi elettronici ormai diventati il marchio di fabbrica dei cileni. Qui l’armonia la fa ancora da padrona e suscita brividi ed emozioni soprattutto nella perfetta interpretazione vocale di James; uno dei pochi cantanti in circolazione in grado di far veramente venire la pelle d’oca in tutto il corpo.
Unendo la robustezza dell’heavy metal, alla potenza del power metal, all’imprevedibilità del prog e alla pura melodia del genere AOR il geniale Nasson prova ancora ad arrivare a qualcosa di suo e riconoscibile. Ancora non ci siamo del tutto ma la strada è tracciata!