SWALLOW THE SUN – Shining

Titolo: Shining
Autore: Swallow The Sun
Nazione: Finlandia
Genere: Death Doom Metal - Rock
Anno: 2024
Etichetta: Century Media

Formazione:

Juha Raivio              Chitarra, Tastiere
Matti Honkonen     Basso
Mikko Kotamäki     Voce
Juuso Raatikainen Batteria
Juho Räihä              Chitarra


Tracce:

1- Innocence Was Long Forgotten 04:20
2- What I Have Become 04:06
3- MelancHoly 03:38
4- Under the Moon and the Sun 06:10
5- Kold 03:48
6- November Dust 06:15
7- Velvet Chains 03:17
8- Tonight Pain Believes 04:15
9- Charcoal Sky 04:49
10- Shining 08:51


Voto del redattore HMW: 6,5/10
Voto dei lettori: 7.3/10
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E venne il giorno.
Arrivò il momento in cui quella sottile linea di demarcazione tra l’essere ancora legati al proprio passato e scavallare la staccionata del pop fu rotta.

Dopo la morte di Aleah Starbridge, compagna del mastermind Juha Raivio, nel 2016 erano ovviamente prevedibili scossoni.
E il lavoro pubblicato a nome Hallatar, ci aveva consegnato un lavoro terapeutico per il nostro, ma anche uno dei momenti più alti che questo genere ha prodotto negli ultimi (almeno) 20 anni.
Un disco incredibile, totalmente nero, pesante e claustrofobico. Ma anche terribilmente e spaventosamente perfetto.

Gli Swallow the Sun sembravano quasi defunti, con lo stesso Juha a rilasciare dichiarazioni che lasciavano più di qualche perplessità sul possibile futuro del gruppo.

Poi arrivò When a Shadow is Forced Into the Light, un disco che mescolava sapientemente le anime della band viste con il triplo, mastodontico (e forse un po’ prolisso) Songs From the North.
E poi ancora Moonflowers, un lavoro che seguiva le orme del precedente e che portava avanti il discorso, dove la virata verso certi arrangiamenti e soluzioni pop si sentivano sempre di più. Un lavoro che, ironicamente, soffriva di una sofferenza più leggera, azzardavo qui un po’ annacquata, salvo poi rendermi conto che il tempo è stato galantuomo e l’ho parzialmente rivalutato (faccio ammenda, pur ritenendolo inferiore al suo predecessore).

Con Shining è stato fatto un altro passo verso il pop.

L’ho dovuto ascoltare diverse volte, apprezzandone i lati positivi e rimarcando quelli negativi prima di potermi trovare a scrivere queste righe.
Poiché il problema fondamentale qui è che il disco è bello, i pezzi sono coinvolgenti, le melodie acchiappano, le ritmiche cavalcano bene i riff. Insomma, sembra tutto a posto no?
Tecnicamente si, però se prenderete il giusto distacco nell’ascolto, per almeno i primi tre pezzi avrete l’impressione che quel limite tra una canzone triste (perché questo dovrebbe essere no? stiamo parlando sempre degli Swallow the Sun giusto?) e una ballata melanconica di un altro gruppo o artista pop/rock si sta assottigliando sempre più.

Chiariamoci, il loro personalissimo modo di scrivere e di arrangiare si sente sempre, il cantato di Mikko Kotamaki è avvolgente come al solito, le chitarre sono li, noto anche una buona dose di assoli non solo a contorno, le tastiere leggiadre e ficcanti completano come da copione lo spettro sonoro dei nostri.
Però manca il male di vivere. Quello pesante, quello claustrofobico, quello fastidioso anche. Che però rende questo genere degno di essere vissuto.

L’ariosità dei ritornelli delle prime tracce è innegabilmente preponderante e, per quanto piacevoli, non posso non pensare a quanto i nostri siano stati in grado di offrirmi in passato.

Bisogna attendere il trittico Kold / November Dust / Velvet Chains per ritrovare un po’ di quelle sensazioni che cerco come un nuotatore sott’acqua.
La prima gioca molto su riff che girano volutamente sui semitoni per suonare oscuri, la seconda è il pezzo più lento del lotto e anche il più delicato nel suo essere doom. Che forse perde un po’ di mordente proprio sul finale, mentre Velvet Chains gioca molto sul pianoforte e sulle tastiere, sulla delicatezza e sulla voce femminile.

Con Charcoal Sky si torna invece a lidi molto metal, ai fasti di un tempo (New Moon nessuno?) per intro e strofa, mentre il ritornello viaggia ancora una volta sulle corde della delicatezza.
Bella e varia la titletrack finale, con diversi cambi di tempo e di atmosfera.

Arrivati alla fine, troppo spesso ho avuto le stesse sensazioni di quando ascoltai l’ultimo lavoro dei Katatonia di Renkse, dove non si può certo sostenere di essere di fronte a un brutto lavoro o nemmeno che i pezzi funzionino male o altro.
Ma è quella sensazione tra l’incompiuto e il sospetto che una certa dose di ruffianeria sia stata usata.

Non so se è perché sto invecchiando e le mie aspettative sono sempre più estreme o altro, però l’anima molto pop (o comunque più radiofonica – cosa che si evidenzia a partire dalla copertina, fino alla durata media dei pezzi sotto i quattro minuti) di questo disco è ineluttabile. O anche perché in diversi momenti ho pensato che le soluzioni di arrangiamento o il riff stesso fosse in qualche modo mutuato da qualche altro riff degli stessi Swallow the Sun, per cui ci aggiungerei anche un po’ sensazione di “déjà vu” a condire il tutto.
Anche se, alla fine, non si può certo dire di trovarsi di fronte a canzoni sbarazzine e spensierate.

Sto sviluppando un rapporto di amore/odio con questo disco, fatico a spiegarmelo.
Probabilmente perché, in fondo, adoro Juha e la sua creatura e mi risulta difficile dire che questo album ti cattura solo in parte o lo fa per i motivi “sbagliati”.
O magari perché alla fine è giusto così e il gruppo e l’artista si è evoluto in questo modo e va bene così.

Mai come in questo caso, mi piacerebbe dirvi che ne penso tra qualche anno.
Magari lo farò…

Nel frattempo un ascolto non me lo farei comunque scappare.

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