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Nonostante siano attivi da oltre vent’anni, non mi sembra di aver mai incrociato la strada degli spagnoli Orion Child, che con il concept fantascientifico intitolato Aesthesis arrivano al traguardo del quarto disco. I nostri si classificano come ‘melodic death/power metal’, ma come proverò a spiegare questa definizione mi sembra poco indovinata…
Il disco si compone di nove brani e una intro. “Skhuldom” ha un impianto particolare: onestamente (soprattutto all’inizio, perché poi l’influsso diminuisce) ci sento più black che death, ma il ritornello e l’assolo di tastiera sono power cristallino! Tuttavia la carica c’è tutta e il growling del chitarrista Jones offre intensità nei momenti cruciali. Ha un afflato cinematografico “When The Tide Arises”, che fa inevitabilmente pensare ai Symphony X; altra cristallina melodia in “My Redemption”, ma arrivati a questo punto della tracklist devo dire di aver generato una strana impressione: mi sembra che le due anime del sound non quadrino bene insieme! A me che sono più abituato al power, sembra che le parti estreme (che sono comunque in minoranza) siano ‘buttate lì’ in modo un po’ fine a se stesso. Si avverte in questo brano proprio uno stacco nel break black (scusate il bisticcio di parole), che resta come isolato dal resto… la stessa impressione si ha con “Numbers Are Law”, che ospita Ronnie Romero: fino al 3° minuto circa, il brano è una normalissima canzone power, poi c’è questo passaggio black, e poi si torna pari pari al power di prima… c’era davvero bisogno di questo cambiamento di toni e atmosfera?
Un brano come “Forever” complica ancora di più le cose, inclinando nuovamente verso toni progressive e inserendo ulteriori cambi di marcia; si va avanti così fino alla fine, con “Prisoners Of The Past”, che ricorda degli Evergrey ‘contaminati’ in un modo che continua, ahimè, a non convincermi. Sia chiaro, vanno bene le fusioni e le sperimentazioni, ma qui il gioco non sembra che sia riuscito… il sound è come spaccato in due, e l’effetto finale non mi appare soddisfacente.
Peccato, perché gli spunti c’erano, ma finiscono per non farsi notare troppo in un disco poco coeso e dagli esiti inevitabilmente incerti.