Eccoci qui, un pochino in ritardo dalla data ufficiale di pubblicazione, giustificato dal fatto che per certi artisti ho bisogno di capire, godere e contestualizzare il lavoro. Lo stesso Townsend ha dichiarato che quello che era nato come disco “spensierato” (musica scritta in meno di 2 settimane) è stato poi influenzato dalle prove che la vita gli ha sottoposto, trasformandolo in qualcosa di più complesso, e profondo (diversi mesi per i testi).
Ogni volta che esce un nuovo disco di Devin Townsend provo una sensazione strana, un misto di gioia, timore e curiosità. E anche con questo PowerNerd non sono stato esente da questa dicotomia interna. Tutto sommato mi ritengo soddisfatto del lavoro del nostro canadese preferito, che dovrebbe essere letto come una necessità intrinseca dell’artista per superare una fase delicata della sua vita; un lavoro dal mio punto di vista più interessante del precedente Lightwork (comunque un ottimo album). Tenendo poi in conto che, secondo quanto dichiarato, sono già pronti due nuovi album da pubblicare, direi che possiamo goderci questo PowerNerd e lasciarci trasportare dalle sue atmosfere, in attesa di vedere cosa ci offrirà Devin nel futuro prossimo.
PowerNerd si avvale di una produzione top e dei suoni che ormai contraddistinguono le release di Townsend, quel wall of sounds (caratterizzato da tastiere e cori molto presenti) che é ormai chiaramente una sua marca distintiva.
Dopo decenni e decenni di attività bisogna riconoscere che, ogni tanto, ci sono cose che possono sembrare “già sentite”. Non mi pare nulla di strano e da condannare, pensando agli auto plagi di nomi più famosi del music business. Inoltre trovare inspirazione anche in propri lavori antecedenti può aiutare a legare le varie fasi artistiche di un musicista. Penso che si tratti anche del fatto che chi ormai segue e apprezza questo poliedrico artista sia diventanto familiare con il suo modus operandi. Un po’ come con il cantato pulito di Mikael Stanne: affascina e ci prende ma sappiamo dove andrà, melodicamente parlando, a parare.
In ogni caso, questo fenomenale polistrumentista anche questa volta non ci delude, fornendo un lavoro che riassume il suo percorso musicale, un disco ben bilanciato fra pezzi più tirati (la title track, dal sapore fortemente Motörhead ma nella quale sento anche gli Skid Row più aggressivi, ed in parte la mistica “Jainism” divisa da atmosfere oniriche, cori e parti vocali decisamente aggressive, così come la dinamica “Goodbye” con un coro che vi conquisterà ), altri decisamente maestosi (“Falling Apart”, “Glacier” e “Gratitude”, quest’ultimo di gran lunga il mio preferito, un pezzo eccezionale, emozionante, coinvolgente e che mi pari rappresenti un urlo disperato, tanto di ringraziamento quanto di liberazione) e infine quelli sentimentali, più intimi (“Dreams Of Light”, “Ubelia” e “Younger Lover”).
E che dire, poi, della super catchy “Knuckledragger”? Tolte le parti più moderne ed elettroniche, sotto io ci sento un pezzo hard rock / hair metal. Un pezzo che ti si piazza in testa subito, e ti da una grande carica: un pezzo da gustare con l’autoradio a volume insolente!
Senza ovviamente tralasciare la piacevole sorpresa della conclusiva “Ruby Quaquer” dove dall’iniziale acustico in sapore country, si sprigiona nella seconda parte quella potenza, quella violenza, che caratterizza il nostro amato Devin.
La capacità di creare melodie accattivanti, anche con pezzi più aggressivi, non è da tutti ma anche questa volta Devin centra l’obiettivo in pieno.
Ineccepibile anche la sua prova vocale. Sono pochi i cantanti che hanno una timbrica particolare e unica, e che riescono a trasmettere forti emozioni (nel mio caso Jon Oliva e il già citato Stanne, oltre al compianto Meat Loaf) passando da registri intimi a vere e proprie badilate sonore.
Insomma, un altro successo per il nostro Heavy Devy: fatelo vostro!