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Quasi esattamente tre anni fa, ero su queste pagine a cercare di tradurre in parole il flusso di idee musicali e di parole che i Funeral ci offrivano con Praesentialis in Aeternum.
Era un lavoro che, anche dal punto di vista visivo, dei colori, trasmetteva una sensazione di freddo pessimismo e che, come pochi altri (forse solo gli Shape of Despair hanno saputo fare meglio), coinvolgeva l’ascoltatore in un vortice di sensazioni e sentimenti molto personali. Intime e disperate.
Gospel of Bones, sin dall’aspetto grafico, risulta in qualche modo più caldo.
I nostri, passati attraverso l’ennesimo pesante cambio di formazione (persi entrambi i chitarristi e Sindre Nedland alla voce, probabilmente anche per i noti problemi di salute di quest’ultimo), l’anima del gruppo, Anders Eek, recluta nuovi membri e si rilancia nella scrittura dei nuovi pezzi (invero cominciata già dal 2020).
A distanza quindi di soli tre anni (pochi per i tempi dei nostri) abbiamo finalmente tra le mani questo lavoro che, sin dalle prime note, ci restituisce ciò che i Funeral sono : la rappresentazione musicale di ciò che la perdita, il lutto e il dolore sono nella vita dell’unico fondatore del gruppo (il già citato Anders).
Una band di una raffinatezza compositiva francamente disarmante, che pochi nel metal sono in grado di raggiungere. L’amalgama degli strumenti è perfetta, gli arrangiamenti sono colti e avvolgenti, le orchestrazioni sono sempre al servizio della canzone e mai il contrario. Sono un gruppo capace di racchiudere in una sola canzone, con strutture complesse ma non troppo complicate o cervellotiche, più emozioni e sentimenti, partendo da un classico riff metal (chuga chuga… per rendere l’idea) per accostarlo ad un delicatissimo e melodico ritornello (These Rusty Nails o Yesteryear).
In buona sostanza, chi leggerà questa recensione e conosce già la produzione dei nostri, saprà cosa aspettarsi.
Con una nota che potrebbe essere dolente…
Infatti, se fino a questo momento ho speso soltanto parole al miele per una formazione che ritengo ai massimi livelli per diversi motivi e che a parere di chi scrive non ha mai avuto passi falsi in carriera, sono costretto a porre l’attenzione sulla scelta del cantante.
Da un lato ammiro l’intraprendenza e la “radicalità” della stessa, però prendere un cantante lirico professionista per ricoprire un ruolo centrale potrebbe alla lunga risultare indigesta.
Pur non volendo entrare nel merito della preparazione tecnica di Eirik Krokfjord (che sicuramente è competente), troppo spesso nei ripetuti ascolti del disco mi sono trovato confuso e spiazzato, quasi stessi sentendo un disco dei Therion e non dei Funeral. Oppure il fatto che, sul medio periodo, una voce lirica importante e invadente finisce con l’affaticare l’ascolto più di quanto mi sarei aspettato.
I predecessori avevano qualcosa che poteva far pensare che l’accostamento di una voce lirica fosse fattibile, però fatico a vedere l’applicazione totale come è stata fatta in questo contesto.
Non a caso quando si è cercato di avere un cantato più “normale”, delicato e meno ingombrante (come in To Break all Hearts of Men) si è coinvolto un cantante ospite, come Espen Ingierd (già nei Beyond Dawn).
In conclusione, un disco che rappresenta i Funeral in tutto il suo splendore e che, con la scelta del nuovo cantante, colorano e scaldano il dolente animo di chi compone e di chi ascolta. In contrasto col gelido e silenzioso freddo che ingrigiva e ammantava tutto nel precedente Presentialis…
Una scelta che potrebbe risultare controversa e che solo il tempo ci dirà se è stata vincente.
Per ora mi limito a dire che sono un po’ spiazzato e tramortito e che la valutazione ne risente, nonostante a livello musicale e strumentale si sia di fronte all’ennesimo lavoro solido e bellissimo di questa formazione.