Visualizzazioni post:74
Il quinto full-length degli austriaci Dragony è dedicato al mistero della colonia di Roanoke, uno dei primissimi insediamenti europei in America, i cui abitanti svanirono nel nulla senza che sia mai stato possibile ricostruire la loro fine. La band centroeuropea tratta il tema con i suoi consueti stilemi musicali, ovvero un power abbastanza classico, cristallino (qualcuno direbbe ‘zuccheroso’…), ipermelodico, ma forse senza alcun brano che, come spesso accaduto in passato, colpisca subito l’ascoltatore per la sua verve.
Il disco dei Dragony si apre con una rilettura della “Sinfonia Dal Nuovo Mondo” di Dvorak, che molti conosceranno perché usata a suo tempo dai Rhapsody (al riguardo, ho letto delle critiche veramente deliranti, che dicevano che l’operazione voleva copiare i Rhapsody o era inopportuna… quindi se una band utilizza un brano di classica, questo è ‘bruciato’ per sempre e non può essere usato da nessun altro? Ma per favore…). Quindi “Dreamchasers”, grazie all’apporto vocale di Siegfried “The Dragonslayer” Samer, ha un suono limpido e illuminato, e così prosegue il disco con “Silver Blood”, dal taglio cinematografico e molto alla primi Serenity, quelli meno aggressivi e più magniloquenti. Purtroppo (naturalmente nell’opinione di chi vi scrive) “Perfect Storm” e “Beyond The Rainbow Bridge” non sfuggono alla piaga infestante delle tastiere dance/pop oriented che i Battle Beast hanno lanciato sulla scena power… mi chiedo dove (e chi!) siano gli appassionati di questo sound, ma insomma se questo approccio vi affascina questi due brani sono per voi.
Sullo stesso stile, ma per fortuna senza troppi eccessi, anche “Twilight Of The Gods”, che almeno si fregia di una coppia strofa/bridge molto indovinata (meno bello il ritornello, che suona copiato dagli Hammerfall nonostante le keys sbarazzine sparate in primo piano). Sinfonie potenti, con qualche barocchismo non spiacevole, per “I’ll Met By Moonlight”; ben riuscita anche la suite “Hic Svnt Dracones (Here Be Dragons)”, che punta di nuovo sulla solennità piuttosto che su potenza o velocità. Forse l’unico brano davvero arrembante della scaletta è “The World Serpent”; i 55 minuti di Hic Svnt Dracones, incorniciati dalla pacchianissima copertina, scorrono abbastanza piacevoli ma senza raggiungere i livelli delle prime uscite, quando la Limb Music, per la quale i nostri erano sotto contratto, decise di dare una meritata fiducia agli austriaci.
Non, dunque, un disco da ‘pilota automatico’, che sarebbe un giudizio fin troppo severo, ma una prova nel complesso non brillante, che parte con le migliori intenzioni ma non mantiene tutte le promesse.