SEVENTH CRYSTAL – Entity

Titolo: Entity
Autore: Seventh Crystal
Nazione: Svezia
Genere: hard rock
Anno: 2024
Etichetta: Frontiers Records

Formazione:

Kristian Fyhr: voce
Anton Roos: batteria e percussioni
Olof Gadd: basso e cori
Gustav Linde: chitarra e cori
Emil Dornerus: chitarra e cori


Tracce:

01. Oathbreaker
02. Thirteen to One
03. 404
04. Path of the Absurd
05. Architects of Light
06. Interlude
07. Blinded by the Light
08. Siren Song
09. Versus
10. Mayflower
11. Push Comes to Shove
12. A Place Called Home
13. Song Of The Brave


Voto del redattore HMW: 8/10
Voto dei lettori: 10.0/10
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Gli svedesi Seventh Crystal, fondati dal cantante e compositore Kristian Fyhr (Perpetual Etude, Ginevra), tornano a distanza di un anno con il loro terzo album in studio intitolato Entity, ma senza lo storico tastierista Johan Älvsång che lo scorso autunno ha deciso di andare via. Se il precedente Wonderland ha visto la band cimentarsi principalmente sul genere AOR, qui gli scandinavi irrobustiscono il proprio sound orientandosi più all’hard rock, al metal di matrice nordica e al prog rock. Kristian Fyhr, Anton Roos alla batteria, Olof Gadd al basso, Emil Dornerus e Gustav Linde alle chitarre esplorano ed espandono i loro orizzonti senza mai allontanarsi troppo dallo stile del melodic rock presentato nelle prime due uscite discografiche. Questo è un concept album dove i ragazzi parlano di social media, intelligenza artificiale e di titoli sensazionalistici di autori sconosciuti pubblicati su internet. La disinformazione controlla le masse e crea molteplici verità o fake news in cui la realtà dei fatti rimane sconosciuta. Lo sviluppo della tecnologia riguarda in gran parte la risoluzione di problemi e la soddisfazione dei bisogni umani ma può anche andarci contro e diventare inconsciamente il nostro stesso padrone. Insomma, una specie di “entità diabolica” capace di schiavizzarci e di farci perdere il senso delle cose.

L’opener, “Oathbreaker”, ci introduce con la sua robustezza sonora in questa riflessione e nell’assuefazione informatica che ormai ci attanaglia. Pezzo di robusto hard rock melodico di stampo americano con un ottimo ritornello e alcuni cambi di tempo ambientali in cui al posto della chitarra elettrica fa capolino una chitarra classica. I cori e la vellutata ed energica ugola di Fyhr conferiscono al brano una patina AOR che addolcisce il vigoroso refrain. I synth e la sezione ritmica partono in quarta nella successiva e galoppante, “Thirteen To One”, dove i riff roboanti delle due chitarre e la potente sezione ritmica incalzano la voce acuta e tirata al limite di Fyhr. Anche qui, in apertura, si ode per pochi secondi un’atmosfera leggera che si alterna a momenti più veloci ma sempre armonici e coinvolgenti. Con i bruschi cambi di tempo della semi ballata, “404”, esce tutta la vena malinconica e ottantiana del quintetto di Goteborg che ritorna alle origini dei dischi passati. Il combo pesca dal classico e puro AOR offrendo in quest’occasione un melodicissimo e orientaleggiante sound basato su un ruffiano ed emozionante ritornello. I Seventh Crystal continuano poi, nel proseguo, a navigare nelle acque dell’hard rock melodico con elementi AOR e con un suono più moderno, come nella cinematografica, “Path Of The Absurd”, brano avvolto da un massiccio tocco di sintetizzatori e da una ultramelodica armonia caratterizzata dalle profonde e ammalianti corde vocali del singer vichingo. Il ritmo cala ancora nella melanconica, “Architect Of Light”, dal sapore prog che il vocalist svedese interpreta divinamente ed emotivamente mettendosi in primo piano nelle parti riflessive e atmosferiche della traccia. Il ritornello ricorda in lontananza qualcosa di già sentito in band di alternative rock come gli statunitensi Linkin Park. L’opposto invece si trova nella cadenzata in “Blinded By The Light” dove i ripetitivi synth e le chitarre elettriche cominciano a martellare incisivamente con l’aggiunta successiva dell’incazzata voce di Fyhr, che nel giro di pochi secondi diventa eufonica ma anche molto rauca impreziosendo il gradevole e semplice ritornello del pezzo. Quello che comincia ad apprezzarsi è che le canzoni continuano ad alternare aggressività e mitezza (sembra di sentire i connazionali Dynazty) crescendo di qualità soprattutto quando gli assoli chitarristici, eseguiti con molta tecnica, prendono il sopravvento alternandosi all’utilizzo massivo dei campionatori. Il melanconico singolo “Siren Song” mantiene questo standard, ma in modo più attenuato anche se c’è una parte del pezzo con un repentino e autorevole cambio di tempo in cui le chitarre si infiammano e la voce di Kristian, da melodica, si trasforma in gutturale. Bella è poi la descrizione del brano da parte dei cinque musicisti: “Secondo la mitologia greca, le sirene erano esseri che con il loro canto meraviglioso e seducente, incantavano i marinai per far deviare le loro navi dalla rotta, conducendoli verso la costa rocciosa e un destino sconosciuto. Nella società odierna, con oceani di disinformazione e dicerie, la solitudine e la mancanza di scopi nella vita sono una malattia endemica. Le sirene sono di nuovo tra noi e ricoprono posizioni a tutti i livelli del sistema quotidiano, dalle fabbriche di troll, ai portatori di fake news, ai politici e persino a coloro che una volta pensavamo fossero amici”.

Sante parole e verità assoluta da parte di una band arrivata ad un’ottima maturazione artistica che descrive perfettamente quello che succede oggi in questo disordinato mondo. I Seventh Crystal emanano anche tanta rabbia ma anche speranza come nella metallica e tellurica “Versus” e nella vivace, “Mayflower”, accompagnata da vorticose chitarre elettriche e dalla pulita e splendida voce del cantante scandinavo. Gustav Linde ed Emil Dornerus si scambiano i soliti e pirotecnici assoli chitarristici sullo sfondo di un mieloso e raffinatissimo refrain. La prima cosa che viene in mente è dove collocare il gruppo, ovvero capire quale genere prediligano perché, nelle composizioni, mettono tanta roba al fuoco. Dal rock melodico si passa al prog e al metal ma in modo riuscito con suoni attuali e raramente retrò. La parte finale del platter offre l’inquietante, “Push Comes To Shove”, che sale di tono a mano a mano che passano i secondi fino a raggiungere punte di puro power metal arricchito dalla brusca e melodica ugola del singer. Non mancano le parti riflessive prima che la song esploda in un orecchiabile ritornello dal sapore AOR. La penultima, “A Place Called Home”, contiene sempre un sottile inizio prima che detonino degli spigolosi riff e si scateni la sezione ritmica ma sempre in un contorno melodico e corale. L’ultima e conclusiva, “Song Of The Brave”, sembra chiudere lentamente un disco al contrario molto vivace e variegato. Questo è un momentaneo fuoco di paglia perché, dopo pochi secondi il sottile cantato di Fyhr si scontra con un battente e melodico attacco strumentale indirizzato dall’agguerrito duo chitarristico che addirittura incrocia dei riff maideniani. Il ritornello è poi super orecchiabile e penetra direttamente al cervello senza staccarsene più.

La forza di questo gruppo è pure questa. Non c’è niente da aggiungere perché’ gli svedesi hanno superato le più rosee aspettative mostrando una vasta gamma di espressioni musicali assemblate egregiamente e sapientemente. Anche se a tratti manca un po’ di personalità e di originalità, la strada è ormai tracciata.

 

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