SOLSTAFIR – Hin Helga Kvöl (The Holy Suffering)

Titolo: Hin helga kvöl (The Holy Suffering)
Autore: Sólstafir
Nazione: Islanda
Genere: Post Metal
Anno: 2024
Etichetta: Century Media

Formazione:

Aðalbjörn Tryggvason             Chitarra, Voce
Svavar Austmann                    Basso
Sæþór Maríus Sæþórsson       Chitarra
Hallgrímur Jón Hallgrímsson  Batteria


Tracce:
  1. Hún andar                                    05:28
  2. Hin helga kvöl                              05:42
  3. Blakkrakki                                    04:32
  4. Sálumessa                                     07:11
  5. Vor ás                                             05:45
  6. Freygátan                                      04:06
  7. Grýla                                               05:06
  8. Nú mun ljósið deyja                    03:47
  9. Kuml (forspil, sálmur, kveðja) 06:44

Voto del redattore HMW: 7/10
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The Holy Suffering. Hin Helga Kvöl.

Le primissime note (che per qualche strano collegamento cerebrale mi ha ricordato Frozen di Madonna) fanno pensare ad un nuovo delicato album dei Solstafir.
Quel genere di lavori cui i nostri ci hanno abituato, con quella malinconia, quel tocco gelido, ma comunque caldo a sufficienza da sciogliere le nostre barriere.

E’ invece con piacere che, già dalla seconda ed omonima traccia, ritroviamo (finalmente?) un po’ di quella band che aveva stupito tutti e che io avevo amato alla follia con Masterpiece Of Bitterness e Köld (rispettivamente 2005 e 2009).
Sono tornati i cowboy dell’Islanda!

Si perché il percorso evolutivo li aveva portati, dopo i già citati lavori, verso dischi via via sempre più improntati all’atmosfera e ad un suono certo melanconico e toccante, ma sempre più delicato e dove, per ovvi motivi, si andava gradualmente perdendo parte dell’energia che aveva contraddistinto gli inizi di carriera. Berdreyminn ne rappresenta l’apice.

Sono quindi piacevolmente stupito nell’ascoltare, subito dopo l’apertura, due pezzi (non a caso scelti come singoli) che sicuramente fanno la gioia di chi questi signori li ha conosciuti anni fa.

Il bello, ovviamente, è che con l’esperienza e con l’età le cose si fanno in maniera diversa, anche perché le capacità crescono.
Ed ecco che, subito dopo, arriva Sálumessa che, prendendo con le pinze il paragone, sembra quasi la Comfortably Numb dei nostri. Forse a causa dell’arrangiamento iniziale, nonostante sfoci poi nelle consuete sonorità post-rock che i Solstafir hanno sempre portato con sé.

Si torna poi al rock (un po’ più) energico con Vor As e poi ancora a giocare sull’atmosfera e sul sentimento con il pianoforte iniziale della successiva Freygátan, dove di nuovo fanno capolino alcune reminiscenze pinkfloydiane, per virare un’altra volta sul rock (stavolta a giri bassi) con Gyrla e infine con l’urgenza (quasi punk) della penultima Nú Mun Ljósið Deyja.

Pura ed intellettuale atmosfera la conclusiva Kuml, a chiudere una scaletta di fatto molto variegata e fatta anche di contrasti tra un pezzo e l’altro.

Giudicare questo disco è abbastanza semplice, perché, come commentavo qualche giorno fa, “i Solstafir sono sempre i Solstafir” e hanno ormai trovato una formula vincente che gli consente di andare avanti. Che, detta così, può anche sembrare avere un’accezione negativa. Così non è.
Il livello medio delle composizioni di questo disco è comunque molto sopra la media, come lo sono quelle dei dischi precedenti; composizioni che sono in grado di bilanciare atmosfere, momenti catartici, sfuriate quasi black, rock n roll; composizioni non necessariamente facili e non alla portata di tutti. Sempre originali, comunque pieni di buone idee e spunti.

Che però, inevitabilmente, non stupiscono più come erano capaci di fare fino a una decina di anni fa.
Credo faccia parte del gioco.

Rimane comunque un lavoro dei Solstafir e, se li conoscete, sapete esattamente di cosa io stia parlando.
Se ancora sono degli sconosciuti, cominciare da questo lavoro non vi lascerà sicuramente indifferenti.

Solstafir, AD 2024.

 

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