STARCHASER – Into The Great Unknown

Titolo: Into The Great Unknown
Autore: Starchaser
Nazione: Svezia
Genere: Heavy Metal
Anno: 2024
Etichetta: Frontiers Records

Formazione:

Kenneth Jonsson: chitarra

Ulrich Carlsson: voce

Örjan Josefsson: basso

Kay Backlund: tastiera

Johan Koleberg: batteria


Tracce:

01. Stella Exodus

02. Into The Great Unknown

03. Battalion Of Heroes

04. Who Am I

05. One By One

06. Shooting Star

07. Under The Same Sky

08. The Nightmare King

09. The Broken Empire

10. War Is A Bad Place For A Good Man

11. In A Time Of Steel

12. Far From Home


Voto del redattore HMW: 7,5/10
Voto dei lettori: 9.8/10
Please wait...

Visualizzazioni post:274

Il chitarrista Kenneth Jonsson (Tad Morose) due anni fa sembra partire con un album solista, ma poi stranamente e all’improvviso fonda una nuova band, chiamata Starchaser, insieme ai seguenti musicisti: il cantante Ulrich Carlsson (Shaggy, ex M.ILL.ION), il bassista Örjan Josefsson (Cibola Junction), il batterista Johan Koleberg (WolfTherion) e il tastierista Kay Backlund (Lions ShareNils Patrik JohanssonImpera). Il risultato è l’omonimo album del 2022 che cerca di proporre un metal melodico più coraggioso rispetto agli standard nordici. Oggi il sound proposto in questo secondo disco in studio: Into The Great Unknown è sempre un buon progressive melodic metal mischiato con le migliori sfumature e armonie del power metal.

Jonsson esprime anche il suo entusiasmo per questa uscita, dicendo: “Siamo entusiasti di scatenare l’ultimo album degli Starchaser alle masse metal. Il nostro debutto ha acceso la scena con recensioni strepitose e la risposta dei fan e della critica è stata oltremodo epica. Per questo nuovo disco, abbiamo realizzato melodie più feroci e un suono più fragoroso”.

L’ispirazione è comunque ottantiana con un largo uso di tastiere dando anche un tocco di symphonic metal, come nell’iniziale “Into The Great Unknown”, brano veloce ed energico che con il passare dei minuti diventa più pesante, aggressivo e abrasivo. Questa è la caratteristica che contraddistingue tutto l’album anche se alcune parti di pianoforte e di tastiera illudono per qualche secondo e fanno pensare a qualcosa di più leggero. La melodia comunque non manca ed è ben veicolata dal singer Ulrich Carlsson che mantiene piacevolmente il suo tono pulito e allo stesso tempo rude ma sempre melodico anche nelle successive e cadenzate, “Battalion Of Heroes” e “Who Am I”, pezzi dal ritornello super orecchiabile e trascinante grazie all’unione tra melodicità ed armonia. Entrambe poi contengono un massiccio uso di campionatori e di robusti riff chitarristici. In particolare, l’ultima ha una possente apertura di symphonic metal che si attutisce nel ritornello di stampo AOR fortemente influenzato dai mitici eighties. Il proseguo, “One By One”, ha un ritmo più lento ma non per questo meno potente e melodico. Qui la decadente ed orientaleggiante chitarra elettrica di Jonsson sale in cattedra per via di riff schiaccianti culminanti in un refrain epico e maestoso. Spiccano le linee vocali in una song dove l’AOR abbraccia il metal melodico sembrando di sentire le influenze di band europee navigate e in forte crescita come gli Amaranthe e i Dynazty. Con la sdolcinata e allo stesso tempo picchiante, “Shooting Star”, Kenneth mette in mostra tutto il suo virtuosismo tecnico supportato da una martellante sezione ritmica e dagli onnipresenti sintetizzatori. Lo scandinavo però non esagera perché si mette sempre al servizio dei compagni e soprattutto dei brani limitando le sue incursioni strumentali. L’atmosfera sinfonica e il refrain radiofonico di “Under The Same Sky”, ne fanno una delle tracce più belle e avvincenti del platter grazie anche alle ottime corde vocali di Carlsson. La produzione è comunque perfetta mettendo in risalto la chitarra elettrica ma senza far sfigurare i tocchi accattivanti della tastiera e le precisissime linee di basso e di batteria. Le vorticose tastiere di Kay Backlund innescano la miccia anche nella contorta, “The Nightmare King”, che si apre con il suono di un carillon per poi esplodere in un tono forte e inquietante che alterna parti rapide a parti più ambientali.

In “The Broken Empire”, la band punta sul metal melodico americano dei Savatage con taglienti e distorti riff chitarristici guidati dalla determinata ugola del camaleontico Ulrich e dagli assoli tastieristici, che si fondono con quelli roboanti della sei corde elettrica. Nella terzultima e drammatica, “Man War Is A Bad Place For A Good”, prevale invece un sound di rock and bluesy caratterizzato dalle rauche corde vocali del vocalist scandinavo e da un prolungato e intenso assolo chitarristico del fenomenale Jonsson. Nonostante in quest’ultima parte del disco la qualità delle canzoni sia più bassa rispetto alle prime sette della set list si apprezza ancora la grande durezza del suono uniformata con l’armonia, come nel caso della penultima “In A Time Of Steel”, song coinvolgente per via di un ritornello melodico e glorioso che rimane per molto impresso in mente. L’ultima “Far From Home”, è solo un pezzo strumentale, dove Kenneth si esibisce con la sua malinconica electric guitar accompagnato in sottofondo dall’amico Backlund. Qui l’artista da la sensazione che il suo equipaggio sia ancora in rotta sullo spazio per completare la missione spaziale partita inaspettatamente due anni fa.

Passi da allora ne sono stati fatti raggiungendo una performance migliore rispetto all’esordio e con una formula invariata che merita comunque più ascolti per comprendere appieno la musica densa e rabbiosa di Jonsson in un contesto moderno ma che prende la sua forza dal metal tradizionale.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.