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Darkend – anagramma di “Rekda’dn” dal sanscrito antico – significa “Nebbia dell’Altrove” e identifica qualcosa di oscuro che viene esposto alla “Luce della Coscienza”. E’ Partendo da questa oscura quanto poetica ed esoterica premessa che mi accingo a scrivere della nuova fatica, la quinta in poco meno di vent’anni di carriera, dei nostrani Darkend, artisti devoti al verbo del Black metal dei quali si fanno maestri di cerimonia in virtù della loro propensione ad una visione del genere che pesca sia dal mondo del black metal più atmosferico ed arcano sia da quello più orientato alla melodia e alla creazione di una fruizione accattivante e mai di scarso livello.
Il risultato degli sforzi compiuti in un periodo spaziale che coinvolge il biennio 2022-2023 e che ha visto peraltro la dipartita di Nothingness, chitarrista compositore a lungo membro della band, ci consegna un’opera composta da cinque tracce di lunghezza media elevata e che fungono da “viatico” per fornirci gli elementi che caratterizzano la visione qui rappresentata dell’”Essere” umano, contraddistinto dalla ferale condizione che lo porta a divenire una entità marcescente e decadente, ma che può comunque ritrovare la propria luce anche nell’oscurità che esso si crea.
Per come vengono realizzate la scrittura e la tematicità dei testi “Viaticum” si potrebbe anche intendere una metafora di una antica maledizione che porta il nome di peste e che tutto distrusse riducendo il mondo dell’epoca quasi alla sua conclusione.
Dal punto di vista prettamente musicale, l’album propone i classici elementi del black metal adeguatamente resi personali e adattati alle intenzioni dei sei musicisti, arricchendo le fasi più spinte in tremolo e doppia cassa con sezioni più scariche di dinamica ma sempre coerenti nel loro fluire, evitando in tal senso la possibilità di forzature causate da una vena artistica attiva ma troppo contorta. Proprio la facilità di ascolto – per gli standard del genere quantomeno – aiuta l’ascoltatore a calarsi in maniera immediata all’interno del mondo dei Darkend sin dalla catacombale e spiritica “In My Moltitude” , memorabile per la sua abilità di cambiare repentinamente e alternare una prima parte rapida e asfissiante con una melodica dettata da linee di chitarra che si commistionano creando un momento pregevole di sospensione prima che vi sia il ritorno deflagrante a velocità più sostenute.
Episodi come “An Ancient Plague Has Silently Worn Out Our Garment As Its Throne” – a dir poco altisonante come titolo – e la lunga “In Our Moltitude” ben rappresentano la grande capacità di sviluppare brani lunghi ed elaborati ma chiari e costantemente definiti in ogni loro parte, siano queste più ripetitive e costanti o anche più cangianti e fluide, come ad esempio la lunga sezione centrale della citata “In Our Moltitude” condita peraltro da uno splendido assolo.
“Viaticum” non fatica ad ergersi come uno dei momenti migliori per il black nostrano per quanto riguarda l’anno che sta volgendo al termine e si può issare come nuovo vessillo di un percorso artistico – quello dei Darkend – che sembra ben lontano dal suo imbrunire