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Il 16 luglio 1054, il Cardinale Umberto, emissario di Papa Leone IX inviato a Costantinopoli per cercare di ricomporre una frattura che nel corso degli ultimi secoli si stava sempre più ingrandendo tra la chiesa di Roma e quella di Bisanzio, consegnò una bolla papale contenente la scomunica contro il Patriarca Michele Cerulario e tutti i suoi accoliti.
Questi venivano bollati come simoniaci, eretici e veniva inteso come scomunica dell’intera Chiesa bizantina.
Da li in avanti, al di là degli aspetti storici, tecnici e tutte le implicazioni della dottrina, segnarono la scissione della chiesa cristiana in Cattolica e Ortodossa. Il famoso Scisma d’Oriente.
Qualche secolo più tardi, all’interno uno sparuto gruppo di “religiosi” polacchi, deciso a portare in pellegrinaggio la loro dottrina black metal, si consuma un eguale e insanabile frattura.
Così, dal 2018 in avanti, non esiste più un solo Batushka (padre, fondatore), ma la dottrina si spezza in due tra Bartłomiej e Krzysztof, ognuno con la sua versione.
Gli scismi, come quello della chiesa Cattolica e Ortodossa, sono argomenti complessi e che affondano le radici e le ragioni in eventi e dettagli che spesso non sono nemmeno documentati.
In questo caso è anche ben più complesso sapere cosa sia realmente successo, di certo ci sono solo le carte ufficiali del tribunale, che, dopo qualche anno danno ragione al secondo. E il primo deve solo cambiare “titolo“.
Ci troviamo quindi ad ascoltare la nuova Liturgia del Patriarkh(a) Bartłomiej e dei suoi seguaci.
Di fatto gli unici ad aver portato avanti la fiamma che faceva ardere la loro dottrina.
Di scisma tratta anche questo lavoro dei fu Batushka, oggi Patriarkh, che oggi abbiamo tra le mani.
Nella mia ignoranza, pensavo che il profeta Elia del titolo fosse quello di cui si parlava nel Vecchio Testamento (e di cui ricordavo il nome e poco altro), ma qui la storia narra di un’altra figura storica, dei primi decenni del secolo scorso. Un profeta di origine bielorussa, Eliasz Klimowicz, nato nel 1864 e morto tra il 1939 e il 1941 (data incerta), che tra gli anni ’20 e ’30 del 1900 ebbe un conflitto con il clero ortodosso, dal quale veniva accusato di diffondere eresie e false interpretazioni delle sacre scritture.
D’altro canto, il profeta Elia sosteneva (ovviamente) il contrario e che il suo fosse un modo per mantenere intatte le tradizioni e il culto corretto, sino a giungere a ritenersi come Gesù tornato sulla terra per condurre i fedeli verso la Nuova Gerusalemme, che lui identificava nel villaggio di Wierszalin, da lui stesso fondato, che dichiarò (udite udite) centro del mondo, “dove i giusti avrebbero trovato rifugio dopo la fine del mondo annunciata dal Profeta Ilya“.
Questo il contesto è, a spanne unificate, il terreno su cui si muove la narrazione in musica di questo nuovo disco dei Patriarkh.
Ebbene, giungiamo alla musica.
Se, come dicevo poc’anzi, il nostro caro Bartłomiej ha preso a cuore il gruppo, visto anche molto potenziale commerciale e anche (diciamo) la causa, devo dire che ammiro il commitment e l’impegno profuso per portare avanti il progetto. Senza “se” e senza “ma”, senza guardare in faccia nessuno e avendo dalla propria anche qualche ragione (artistica) e musicisti di altissimo livello.
Sorvolato sul (mezzo) passo falso del disco del 2019 e fresco di recente ristampa Hospodi che, personalmente, ritengo non eccelso, ma nemmeno la ciofeca che è stata dipinta in molti casi, i successivi sforzi discografici li ho trovati interessanti, se non molto interessanti.
Ok, il nostro ha trovato una formula che funziona e ha deciso di cavalcare l’onda, ma definire negativi i tre EP del 2020-2021-2022 (in realtà due EP e un singolo) lo trovo ingiusto.
A mio parere, il migliore è quello di mezzo, dal titolo Carju Niebiesnyj (Re del paradiso la traduzione), piacevole e centrato musicalmente.
Arrivati al 2025 con questo nuovo disco “intero”, devo dire che il sentimento è un po’ dolce-amaro.
Si perché, anche in questo caso, si fa fatica a dare un giudizio negativo al lavoro, ma è altrettanto difficile che possa essere ritenuto estremamente positivo.
Se passiamo sopra l’aspetto estetico e sui live, per i quali oggettivamente, c’è tutto per proporre uno spettacolo notevole, l’altro lavoro estremamente interessante è quello della ricerca per le tematiche e lo studio che ne consegue. Cercare di mettere in musica episodi (controversi) come questo è un compito decisamente complesso e che necessita un notevole lavoro filologico.
Oltre a questo è anche evidente, specie in quest’ultima pubblicazione, che i nostri cerchino di condensare rituali e canti della chiesa ortodossa in un formato che, certo, gli si addice per sonorità e mood, ma che è altrettanto complesso e non sempre agevole.
Ne esce un disco un po’ spento, molto seduto su tempi lenti e cadenzati. Leggerino, quasi innocuo, dove mancano le sfuriate e che si sofferma sui momenti liturgici e solenni, senza mai centrare davvero il bersaglio. Tocca aspettare l’ultima traccia per allungare le orecchie e trovare finalmente un pezzo che ti faccia davvero alzare il livello di attenzione e che risulti davvero un po’ “magico”.
Ho ancora nelle orecchie (e negli occhi, quando li vidi nella loro prima incarnazione al fu Colony di Brescia) il primo, bellissimo, disco Litourgya, capace di sprigionare un mix perfetto di tutto quello che i Batushka / Patriarkh hanno sempre fatto : un black metal furioso, cupo, anche rurale, contadino quasi, ma con una naturalezza e un risultato semplicemente grandioso.
Oggi questo si è decisamente perso e ritrovo sì gli aspetti più bucolici e rurali, ma viene decisamente a mancare il lato più coinvolgente e cupo, l’esplosione di mistica che furono in grado di creare.
Cosa che era riuscita, almeno parzialmente all’unico membro originale con Panihida del 2019.
In questo florilegio di nomi, liturgie, scismi, episodi storici e dottrine che vengono interpretate a seconda, chi paga è la musica. E quindi anche chi ascolta e compra dischi.
Dopo l’esordio, che sia un Patriarca o un Padre, i polacchi non sono più stati in grado di ricreare quella magia che erano stati capaci di portare alla luce.
Non male, ma nemmeno la rinascita che mi aspettavo.