JINJER – Duél

Titolo: Duél
Autore: Jinjer
Nazione: Ucraina
Genere: Alternative Metal
Anno: 2025
Etichetta: Napalm Records

Formazione:

Tatiana Shmayluk: voce
Roman Ibramkhalilov: chitarra
Eugene Abdukhanov: basso
Vlad Ulasevich: batteria


Tracce:

01. Tantrum
02. Hedonist
03. Rogue
04. Tumbleweed
05. Green Serpent
06. Kafka
07. Dark Bile
08. Fast Draw
09. Someone’s Daughter
10. A Tongue So Sly
11. Duél


Voto del redattore HMW: 7,5/10
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Colpi di pistola, bombe, mine, missili e tanto sangue.  Fiumi di sangue innocente in un vortice di violenza, odio e rabbia. Se la copertina del nuovo e quinto lavoro in studio degli Ucraini e il facinoroso inizio con la micidiale “Tantrum” fanno immaginare un quadro apocalittico e di guerra a senso unico, il resto di Duél è però variegato perché offre momenti più tranquilli di speranza e forza per superare l’inferno terreno. Nell’apertura del disco si ode il potenziale della straordinaria abilità vocale della cantante Tatiana Shmayluk che unisce i suoi brutali ringhi e la sua voce pulita a intrecciati riff chitarristici, a potenti rullanti di batteria e al pulsante basso di Eugene Abdukhanov. Nell’album non ci sono solo l’ugola e l’infuriato sound del gruppo, ma si sentono anche armonie nitide e momenti atmosferici che frenano un po’ l’aggressività dei quattro ragazzi per un moderno e alternativo metal alquanto diverso da altre formazioni dello stesso rango. Rispetto a Wallflowers del 2021 l’opera è più bellicosa e difficile da digerire immediatamente nonostante questi giovani artisti abbiano creato un sound molto personale e a tratti originale. Basti ascoltare il nuovo e macchinoso singolo “Kafka”, pezzo pesante, lento e velenoso con le urla finali della bella e brava singer. Gli iniziali e contorti arpeggi di chitarra, intrecciati attorno a un duro arrangiamento di batteria, sono poi avvolti anche dalla camaleontica voce melodica e sensuale di Tatiana capace all’improvviso di trasformarsi in rauchi ululati.

Shmayluk descrive la canzone: “Essere un artista a volte è bello ma il più delle volte è brutale… poiché la nostra arte viene sezionata parola per parola e fatta a pezzi nota per nota. Ci si aspetta che siamo sempre puntuali… e quando non lo siamo, siamo oggetto di scandalo. Un vero artista è vulnerabile ma la folla è spesso tormentata da avvoltoi che beccano ogni singola mossa che fai. È una china scivolosa dato che per noi la musica significa tutto e sentiamo velocemente come le lodi si trasformano in accuse… Siamo tutti re e regine per un giorno ma il più delle volte sembra di essere in un romanzo di Kafka per tutta la vita. È emozionante ma surreale e assurdo allo stesso tempo.”

La cadenzata, “Hedonist”, si concentra su una sinfonia melodia e sulla sottile voce della cantante attorniata da un ritmo svogliato ma sonoramente aggressivo che diventa brutale quando Tatiana indurisce la sua indemoniata timbrica. I suoni estremi continuano in “Rogue”, brano cadenzato e violentissimo a livello strumentale e vocale. Canzone che non da tregua dall’inizio alla fine dimostrandosi una delle più devastanti e avvincenti composizioni dell’opera. La produzione affidata a Max Morton, che ha coprodotto, mixato e masterizzato l’album, è perfetta e chiara quanto basta per far sentire come il combo ucraino cerchi di uscire prepotentemente dai soliti schemi con qualcosa di più creativo, come nel caso della crudele e quasi orientaleggiante, “Tumbleweed”, caratterizzata da un melodico refrain e da un massiccio e tirato groove che non lascia prigionieri. Idem per la demoniaca, “Fast Draw”, un veloce e selvaggio death guidato dalla tellurica doppia cassa di Vlad Ulasevich che con l’accompagnamento di ossessivi e ripetuti giri di chitarra elettrica offrono all’atterrito ascoltatore un raggiante e all’avanguardia metal moderno. Lo stesso si può dire di “A Tongue So Sly”, altra annientante traccia che a differenza della precedente aggiunge qualche breve sprazzo di armonia usurpato in gran parte dalle feroci corde vocali della Shmayluk, che alterna brillantemente il suo bestiale growl a tonalità dolci e soavi. La padronanza tecnica di questi musicisti è spaventosa e lo si sente fino all’ultima e conclusiva title track, dove un ciclone sonoro devasta i timpani soprattutto con micidiali riff chitarristici e una schiacciante sezione ritmica guidata dalle urla disumane di Tatiana, che anche qui avvicenda la sua urlante performance con momenti vocali più riflessivi e nitidi. Ci sono pure, nell’album, passaggi più ariosi e quasi sinfonici che illudono per qualche secondo pensando che il quartetto stia cambiando e rallentando il proprio suono di fabbrica. Ma non è così; è solo un bluff perché “Green Serpent”, pur essendo una tregua sonora grazie alle sensuali corde vocali della frontwoman mantiene sempre una collera e una ribellione interiore manifestata da un’abile e coerente sei corde elettrica che accelera e decelera nel finale lasciando il posto addirittura ad una innocua chitarra classica. Idem per la sentimentale ed eufonica, “Someone’s Daughter”, che frena di nuovo e in parte la collera degli Jinjer, ma che si trasforma nella parte finale con tormentate e aspre note sonore. La ritmicità e la personalità dei ragazzi dell’Est è innegabile ed è ancora confermata in questa adirata e a tratti melanconica raccolta che sorprende per la ricerca di elementi complessi ed elaborati e non immediatamente rilevanti. Sembra che la band stia ancora cercando coraggiosamente qualcosa di diverso per crescere e non essere troppo ripetitiva. Una specie di evoluzione e di progresso dopo quattro anni dall’ultimo e acclamato disco.

“Questo album in uscita è stato il processo di scrittura di canzoni più lunghe che abbiamo mai avuto e ci sono voluti quasi due anni per completarlo. Abbiamo lavorato duramente con ogni minuto libero in cui non eravamo in tour, registrando demo più e più volte e cercando sempre il suono perfetto per chitarre, basso e batteria. È stata anche la prima volta che Tatiana ha fatto pre-produzioni vocali, quindi è sicuro dire che nessuna delle nostre uscite è stata così ben pensata e calcolata come questa. Polverizza i confini del genere progressive metal moderno ma rimane comunque sofisticata, emozionante ed allo stesso tempo estrema. Abbiamo accettato la sfida di espandere i nostri orizzonti musicali ancora più di prima per consolidare Duél come il prossimo passo nella crescita musicale dei Jinger e, si spera, nell’evoluzione della musica metal in generale”. Afferma Eugene Abdukhanov.

In effetti negli ultimi anni, i Jinjer hanno raggiunto traguardi notevoli perché sono maturati a livello artistico ed umano raggiungendo una grandissima professionalità e continuando ad avere un impatto importante sulla scena musicale internazionale. Il presente del metal alternativo è nelle loro mani e se continuassero così anche il futuro dovrebbe essere dalla loro parte. Il resto tocca a voi ascoltandoli e sostenendoli come meritano. Certo, se poi finisse quella maledetta ed assurda guerra nella loro amata patria, allora questo sarebbe un vero e proprio anno da incorniciare senza dimenticare mai il sangue innocente versato per il Dio denaro.

 

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