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Tornano con questo Bone Collector i Grave Digger, gruppo leggendario che non ha certo bisogno di presentazione. Festeggiano così, con il loro ventiduesimo album, i loro quarantacinque anni di attività.
Siamo sinceri: nel bene o nel male, difficilmente stavo aspettando grandi novità dal quartetto teutonico e dopo tutti questi anni non è facile non auto-plagiarsi, e non c’è niente di male (anche se ci sono maniere e limiti).
Forse, proprio per questo, negli ultimi anni mi ero allontanato dalla loro produzione (diciamo che, dopo la passione iniziale da metà anni ’90, a fine 2000 ho iniziato a non entusiasmarmi, complici, forse, nuovi gusti musicali), senza però rinunciare a vederli dal vivo quando ne avevo la possibilità.
Eppure questo nuovo disco non mi è dispiaciuto. Forse perché ha quel certo non so che retro rispetto agli ultimi lavori. Genuino e diretto, presenta le sonorità tipiche della formazione (“Bone Collector” ne è un buon esempio ed è uno dei pezzi migliori del disco), anche se ho sentito una decisa influenza heavy metal questa volta.
La cosa interessante è però quella di sentire nell’intero album diversi passaggi che mi hanno ricordato i Motörhead (anche nella voce, oltre che nei riff), così come una punta di Manowar (“Killing Is My Pleasure”) e delle influenze Lordi ed Accept (la piaciona “Devils Serenade”), il tutto ovviamente suonato in salsa Grave Digger!
Gli anni passano e la voce di Boltendahl, non più un ragazzino ormai, inizia a risentire del tempo che passa. Attenzione: sto solo dicendo che è leggermente diversa (e questa osservazione non deve essere interpretata per forza negativamente) e che quando la band rallenta forse Chris potrebbe iniziare a non sentirsi completamente a suo agio, anche se nella potente “Riders Of Doom” e nella conclusiva (e ben lunga coi i suoi oltre sei minuti) “Whispers Of The Damned” si difende bene.
Con una prima parte sicuramente più accattivante della seconda, questo Bone Collector è un album discreto, che forse trova qualche riempitivo in pezzi classici quali “Made Of Madness”, “Graveyeard Kings” e “Forever Evil & Buried Alive”; difficile poi contenere l’headbanging in “Mirror Of Hate”. Palma della canzone favorita a “The Rich The Poor The Dying”.
La produzione non è male anche se forse troppo compatta, quasi ovattata per i miei gusti. Devo però ammettere che mi è particolarmente piaciuto il suono del basso (“Kingdom Of Skulls”).
Ora, non so se possiamo considerare questo disco come l’inizio di una nuova fase per il gruppo, magari legata all’arrivo di Tobias Kersting alla chitarra (ottimo lavoro; promosso a pieni voti), o se ci troviamo di fronte al loro canto del cigno (speriamo di no perché il mondo del metal ha ancora bisogno di gruppi come questi… ok ok, sono un metallaro ultraquarantenne, portate pazienza!). In ogni caso, una possibilità a questo disco gliela darei.
Un album godibile e potente, principalmente adatto agli aficionados loro e del power metal teutonico. Tutto sommato potrebbe colpire anche le nuove leve.
Sicuramente da ascoltare a tutto volume.
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