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Gli spagnoli After Lapse pubblicano il loro secondo album, Pathways, per la nostrana Frontiers Records, dopo aver pubblicato due anni prima il buon Face The Storm e con due novità: l’aggiunta dei chitarristi Miguel Angel Rueda e Ivan Marin. Gli iberici si formano sei anni fa dalle ceneri di un’altra band metal spagnola, i Delyrium proponendo un progressive metal melodico con un pizzico di power che rende più movimentato e duro il loro sound ma che inevitabilmente risulta influenzato da importanti formazioni, come i Dream Theater, i Kamelot e gli Haken per citarne solo alcune.
Oltre ai fondatori Roberto Cappa (Delyrium) alla batteria e Pablo Sancha (Delyrium) alla tastiera, troviamo Rubén Miranda al microfono e Javier Palacios al basso. La forza degli spagnoli sta soprattutto nel far prevalere l’ascolto della loro tecnica a discapito spesso della comprensione del pezzo che merita più ascolti per essere appieno apprezzato. Lo si capisce subito dall’introduttiva e ritmata “The Shadow People”, brano pesante ma molto atmosferico e melodico, dove le massicce chitarre elettriche e la trascinante tastiera prevalgono su tutto, perfino sull’ugola acuta e, a tratti, remissiva del vocalist. Le linee di pianoforte e synth sono piuttosto evidenti e piacevoli nella melodicissima, “Clones”, pezzo malinconico e moderno in cui i repentini cambi di tempo, l’alternarsi di parti ambientali e le voci intervallate dei musicisti coinvolgono umanamente insieme alla pulitissima e sensuale tonalità vocale dell’ottimo Miranda. La brillantezza sonora e strumentale continua in una cascata progressiva di note nella veloce e allo stesso tempo cadenzata, “Dust To Dust”, dove spiccano le armonie vocali di sottofondo in stile AOR e un classico pianoforte in stile jazz che si avvicenda a duri ma anche a leggeri arrangiamenti chitarristici e tastieristici.
L’abilità e il virtuosismo del sestetto continuano pure in “Thanks But No Thanks”, che nell’intro ricorda lo stile tipico degli americani Dream Theater ma che nel proseguo esibisce molta personalità e melodia in cui si ode il contrasto tra la chitarra elettrica, il basso e i soliti potentissimi campionatori. Questi ultimi sono sovrastati solo dalle formidabili e alte corde vocali di Ruben che culminano poi in un orecchiabile ritornello. Con la sperimentale, “Dying Star”, oltre al prog metal i ragazzi, sorprendentemente, presentano del buon e tradizionale power metal, che rompe in un certo senso il tranquillo e maestoso refrain delle prime note per poi raggiungere sonorità più cupe e inquiete. Sicuramente questa è la parte più interessante dell’opera che vede anche l’innesto di una specie di accattivante semi ballata intitolata: “Walking By The Wire”, accompagnata da palpitanti giri di chitarra elettrica in cui si inserisce un ossessivo e ripetitivo coro ma soprattutto spiccano i bassi e alti registri vocali del bravissimo cantante spagnolo. Quello che colpisce di più, in tutto il disco, è il coraggioso e sperimentale lavoro del tastierista Pablo Sancha ed in particolare questo si nota nell’epica e trionfale “Wounds Of The Past”, come anche nell’ultima e strumentale “Temperance”. Nella prima, in special modo, sembra di sentire la colonna sonora di un film a lieto fine in cui la magica tastiera di Pablo crea un’atmosfera fantastica e sognante arricchita dal violento e intermittente trambusto delle chitarre elettriche dell’eccellente duo Rueda/Marin. La lenta e sentimentale, “Turn Into Light”, mette invece ed in parte il freno a mano ai After Lapse, che però con il passare dei secondi accrescono l’intensità del sound fino ad arrivare ad una parte ambientale e riflessiva in cui si ode in sottofondo la placata e sottile voce di Miranda seguita, verso la fine, da un coro femminile e da una leggera batteria. Questi coinvolgenti momenti emotivi sostituiscono o comunque mettono in secondo piano l’assolo di chitarra, che era invece molto presente nell’album di debutto. Peccato perché in quest’ultima traccia i brevissimi assoli sembrano soffocati dal mixaggio ma in generale ciò si ode un po’ in tutto il disco.
In conclusione, Pathways conferma la crescita e la maturità di una band che presenta tantissimi e intricati momenti musicali sfoggiando una grande personalità e una fantastica abilità strumentale. Praticamente quest’album è un trampolino di lancio verso un roseo e moderno futuro artistico che spetta solo all’ascoltatore consacrare supportando questo interessantissimo gruppo prog europeo. Siamo veramente sulla buona strada. Buena suerte!