AFTER LAPSE – Pathways

Titolo: Pathways
Autore: After Lapse
Nazione: Spagna
Genere: Power Metal
Anno: 2024
Etichetta: Frontiers Records

Formazione:

Rubén Miranda: voce
Miguel Ángel Rueda: chitarra
Pablo Sancha: tastiera e cori
Ivan Marín: chitarra
Javier Palacios: basso
Roberto Cappa: batteria


Tracce:

01. The Shadow People
02. Clones
03. Dust To Dust
04. Thanks, But No Thanks
05. Dying Star
06. Walking By The Wire
07. Wounds Of The Past
08. Turn Into Light
09. Temperance


Voto del redattore HMW: 7/10
Voto dei lettori: 9.0/10
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Gli spagnoli After Lapse pubblicano il loro secondo album, Pathways, per la nostrana Frontiers Records, dopo aver pubblicato due anni prima il buon Face The Storm e con due novità: l’aggiunta dei chitarristi Miguel Angel Rueda e Ivan Marin. Gli iberici si formano sei anni fa dalle ceneri di un’altra band metal spagnola, i Delyrium proponendo un progressive metal melodico con un pizzico di power che rende più movimentato e duro il loro sound ma che inevitabilmente risulta influenzato da importanti formazioni, come i Dream Theater, i Kamelot e gli Haken per citarne solo alcune.

Oltre ai fondatori Roberto Cappa (Delyrium) alla batteria e Pablo Sancha (Delyrium) alla tastiera, troviamo Rubén Miranda al microfono e Javier Palacios al basso. La forza degli spagnoli sta soprattutto nel far prevalere l’ascolto della loro tecnica a discapito spesso della comprensione del pezzo che merita più ascolti per essere appieno apprezzato. Lo si capisce subito dall’introduttiva e ritmata “The Shadow People”, brano pesante ma molto atmosferico e melodico, dove le massicce chitarre elettriche e la trascinante tastiera prevalgono su tutto, perfino sull’ugola acuta e, a tratti, remissiva del vocalist. Le linee di pianoforte e synth sono piuttosto evidenti e piacevoli nella melodicissima, “Clones”, pezzo malinconico e moderno in cui i repentini cambi di tempo, l’alternarsi di parti ambientali e le voci intervallate dei musicisti coinvolgono umanamente insieme alla pulitissima e sensuale tonalità vocale dell’ottimo Miranda. La brillantezza sonora e strumentale continua in una cascata progressiva di note nella veloce e allo stesso tempo cadenzata, “Dust To Dust”, dove spiccano le armonie vocali di sottofondo in stile AOR e un classico pianoforte in stile jazz che si avvicenda a duri ma anche a leggeri arrangiamenti chitarristici e tastieristici.

L’abilità e il virtuosismo del sestetto continuano pure in “Thanks But No Thanks”, che nell’intro ricorda lo stile tipico degli americani Dream Theater ma che nel proseguo esibisce molta personalità e melodia in cui si ode il contrasto tra la chitarra elettrica, il basso e i soliti potentissimi campionatori. Questi ultimi sono sovrastati solo dalle formidabili e alte corde vocali di Ruben che culminano poi in un orecchiabile ritornello. Con la sperimentale, “Dying Star”, oltre al prog metal i ragazzi, sorprendentemente, presentano del buon e tradizionale power metal, che rompe in un certo senso il tranquillo e maestoso refrain delle prime note per poi raggiungere sonorità più cupe e inquiete. Sicuramente questa è la parte più interessante dell’opera che vede anche l’innesto di una specie di accattivante semi ballata intitolata: “Walking By The Wire”, accompagnata da palpitanti giri di chitarra elettrica in cui si inserisce un ossessivo e ripetitivo coro ma soprattutto spiccano i bassi e alti registri vocali del bravissimo cantante spagnolo. Quello che colpisce di più, in tutto il disco, è il coraggioso e sperimentale lavoro del tastierista Pablo Sancha ed in particolare questo si nota nell’epica e trionfale “Wounds Of The Past”, come anche nell’ultima e strumentale “Temperance”. Nella prima, in special modo, sembra di sentire la colonna sonora di un film a lieto fine in cui la magica tastiera di Pablo crea un’atmosfera fantastica e sognante arricchita dal violento e intermittente trambusto delle chitarre elettriche dell’eccellente duo Rueda/Marin. La lenta e sentimentale, “Turn Into Light”, mette invece ed in parte il freno a mano ai After Lapse, che però con il passare dei secondi accrescono l’intensità del sound fino ad arrivare ad una parte ambientale e riflessiva in cui si ode in sottofondo la placata e sottile voce di Miranda seguita, verso la fine, da un coro femminile e da una leggera batteria. Questi coinvolgenti momenti emotivi sostituiscono o comunque mettono in secondo piano l’assolo di chitarra, che era invece molto presente nell’album di debutto. Peccato perché in quest’ultima traccia i brevissimi assoli sembrano soffocati dal mixaggio ma in generale ciò si ode un po’ in tutto il disco.

In conclusione, Pathways conferma la crescita e la maturità di una band che presenta tantissimi e intricati momenti musicali sfoggiando una grande personalità e una fantastica abilità strumentale. Praticamente quest’album è un trampolino di lancio verso un roseo e moderno futuro artistico che spetta solo all’ascoltatore consacrare supportando questo interessantissimo gruppo prog europeo. Siamo veramente sulla buona strada. Buena suerte!

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