Visualizzazioni post:133
Avete presente quando delle volte vi capita di entrare in un museo e vedere un quadro che non sapete nemmeno cosa stia raffigurando e di trovarvi a pensare “ah bello“, ma realisticamente non sapete nemmeno perché. Magari poi è pure arte moderna e non un quadro del ‘700-‘800 in cui, almeno il soggetto, è chiaro e lampante.
Perché in qualche modo vi parla.
Delle volte succede anche con qualche cosa di più stupido, una canzone sentita in radio dell’artista di turno che, per qualche arcano motivo vi piace. Nonostante la si sia sentita per la prima volta e magari è pure qualcosa che normalmente non ascoltate o nemmeno ascoltereste.
E poi c’è lui.
C’è un ragazzo canadese, al secolo William Melsness, che sotto lo pseudonimo di Ghost (scritto con carattere giapponese), nel 2016 se ne esce con il suo progetto solista Unreqvited, col debutto Disquiet.
Incrociai la mia strada con la produzione del nostro solo nel 2018, con il secondo lavoro, Stars Wept to the Sea ed in particolare con la canzone d’apertura, Sora (anche qui con caratteri giapponesi). Ebbene, mi bastarono pochi secondi per innamorarmi perdutamente di quelle note, di quell’album, della copertina e di tutto quello che hanno prodotto.
Una produzione importante, ma non esagerata (come capita ad altri progetti, capaci di sfornare un numero di dischi senza alcun senso e che pagano, inevitabilmente, in qualità), arrivati al 2025 al settimo lavoro sulla lunga distanza in 9 anni. Più una manciata tra EP e Split.
Facile per me raccontarvi di come ogni album uscito sotto questo nome sia stato per qualche motivo, anche piccolo o insignificante, una sorpresa.
Potrei parlarvi della loro evoluzione, di come il primo già citato Disquiet sia molto diverso dall’ultimo Beautiful Ghosts del 2021, di come il suono, pur rimanendo personale ma nemmeno così particolare, si riesca a distinguere da altri artisti simili, di come il nostro sia partito da una produzione quasi totalmente strumentale a come il cantato, sia scream che pulito, sia progressivamente entrato nella “grammatica” di Ghost. Oppure di tutte le soluzioni di arrangiamento, alle volte piattamente black metal, alle volte quasi prog, alle volte iper melodiche, riescano a catturare sempre l’attenzione di chi ascolta.
Ma fondamentalmente chissene frega.
Poiché l’ascolto e l’apprezzamento di questo disco è ad un altro livello.
Il racconto che posso farvi è che dopo una consistente e sognante intro, ci si trova di fronte ad un pezzo puramente black metal, stranamente black metal.
Il titolo Antimatter probabilmente rende bene l’oscurità del tema e quindi oscuro anche il mood della canzone (come anche il nero che prende tutto lo spazio possibile nella copertina, cosa inusuale). Sembra quasi il classico pesce fuor d’acqua, come se avessero pescato questa traccia da un lavoro degli Iskald, mantenendo il tratto molto melodico che contraddistingue gli Unreqvited, dove subito si rende evidente il fatto che ci sia una volontà di portare la musica a nuovi lidi, introducendo una presenza costante e anche centrale della voce e del cantato.
Cosa che è iniziata diversi dischi fa e che progressivamente si è fatta strada, arrivando ora ad esplodere.
Passato questo momento iniziale, arriva il singolo che è già disponibile come lyric video, dal titolo Starforger, seguito poi dall’altro singolo Void Essence / Frozen Tears.
Da qui in avanti riconosciamo invece il lavoro del nostro, che torna nei terreni che ha esplorato fino ad oggi e che meglio si confanno a questa realtà. Ciò che spicca però è il cambio di rotta che è stato deciso, frutto probabilmente di una decisione precisa e decisa.
Ghost ha infatti volutamente portato la sua creatura ad elevarsi dalla sola forma “studio” alla realtà live. Affiancarsi una formazione stabile fa sicuramente cambiare il modo in cui uno compone e non solo.
Con questi due pezzi, che sono anche i migliori del lotto, si vedono questi cambiamenti, concettuali e anche di approccio.
Oltre alla sede dal vivo, è chiara una certa immediatezza delle strutture e, soprattutto, per il cantato pulito e centrale che mai prima d’ora avevano avuto tale evidenza. Si perde quindi un po’ di quella vena estrosa e che aveva però reso unico il lavoro del nostro, riconoscibile in mezzo al mare magnum di tutto ciò che è riconducibile a blackgaze e simili (altri esempi li avevo raccontati qui e qui con esiti totalmente opposti).
La seconda parte del disco è più eterea che inizia con un pezzo molto sognante e in crescendo come Into the Starlit Beyond, prosegue con l’intermezzo tastieroso di Celestial Sleep e si chiude con Departure: Everlasting Dream che racchiude le melodie del disco che si sta concludendo, come a chiudere il cerchio.
Giunti alla fine, secondo chi scrive, questo genere e nello specifico questo signore, rientrano in quella categoria di artisti e di produzioni che riescono a toccare corde particolari, indipendentemente dal livello tecnico, dagli arrangiamenti ricercati o dalla loro semplicità.
Personalmente, la musica è emozione e gli Unreqvited, sin dal loro primo vagito, hanno saputo catturare queste emozioni e tradurle in qualcosa che “parla”.
Magari, con questo ultimo lavoro si rischia di risultare un po’ più sdolcinato / banale (cheesy direbbero gli anglofoni), ma non esagererei. Inutile negare che si perdano un po’ delle trame melodiche e compositive che hanno reso questo progetto quello che è, ma vedremo quale evoluzione avrà e solo negli anni successivi capiremo se questa virata sia strutturale oppure un momento sporadico.
Senza dubbio un ritorno gradito, tutto sommato che stupisce, sicuramente toccante.
PS : la versione limitata del disco contiene una cover di “Cornfiel Chase” di Hans Zimmer, contenuto nel film “Interstellar” che, purtroppo, non era presente in quella a noi disponibile. Pertanto ingiudicabile.