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Tornano le Thundermother, band femminile svedese dedita ad un sano ed energico hard / heavy rock.
Questo Dirty & Divine rappresenta il terzo lavoro per la band capitanata dalla chitarrista Filippa Nässil, unico membro rimasto rispetto alla precedente produzione, e che registra il ritorno al basso di Majsan Lindberg ad integrare i nuovi membri Joan Massing alla batteria, con la quale forma una sezione ritmica granitica ed essenziale, e la vulcanica Linnéa Vikström alla voce, responsabile di una ottima prestazione, dotata di una grande potenza anche se devo dire me la sono goduta particolarmente nelle parti più basse e meno “urlate” (che comunque devono esserci).
Se da un lato potrebbe divenire il quartetto scandinavo come le nipotine di Kiss e AC/DC (solo per citare alcune delle influenze chiaramente presenti nella esplosiva “Can’t Put Out The Fire” o “Can You Feel It”) con sonorità classiche, spesso quasi telefonate (mi si permetta il termine), dall’altro la band presenta quelle caratteristiche tipiche del nuovo hard rock nordico, ma non solo (le vedrei bene in tour con le redivive Crucified Barbara), con una produzione potente e suoni decisamente moderni.
Fra i pezzi che mi hanno maggiormente colpito sicuramente “Feeling Alright” (la mia preferita!) che ricorda i The Darkness con una forte influenza di quel power pop-rock americano degli anni ’90, così come la ribelle e in odore di punk “Take The Power” che, devo ammettere, mi ha ricordato i primi anni dei miei Fuoriuso. Ed ancora “Dead Or Alive”, sensuale, nel suo riff iniziale.
Il disco suona tutto bene e l’unico difetto che posso trovare è quello di durare troppo poco, anche se in quei trenta e rotti minuti le Thundermother danno tutto il loro meglio, rivelando un potenziale che sicuramente troverà i suoi momenti più alti in sede live. Potenza e semplicità come nella opener “So Close”, cori aggressivi con ritornelli che ti si piazzano direttamente in testa (“Speaking Of The Devil”, “I Left My License In The Future” e ancora “Bright Eyes”) riff che invitano a scatenarsi come nella conclusiva “American Adrenaline”- e in odore di Golden Earring – che altro vorremmo da un disco che merita di essere ascoltato a volume imbarazzante, che ci da la carica.
Si potrebbe obiettare che ci sono così tante influenze che l’album risulterebbe un grande e divertente rock and roll puzzle (avrei potuto trasformare questa recensione in un elenco di queste referenze menzionando Boston, ZZTop, Lynyrd Skynyrd, e altre diecine di band); a tutto ciò però, a cuor sereno rispondo: ma chi se ne frega!
Io ve lo consiglio: me lo sono goduto e lo considero sicuramente promosso a pieni voti.
Cuz’ I’m feeling alright!