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Wide Open Sky è il terzo album in studio per i brasiliani Landfall che ritornano con l’etichetta Frontiers cercando di ripetere in positivo la riuscita dei due dischi precedenti. La formazione rimane invariata con Marcelo Gelbcke (Icon Of Sin) alla chitarra, Luis Rocha al basso, Felipe Souzza alla batteria e il cantante cantautore Gui Oliver (ex-Auras). Quest’ultimo ha anche scritto canzoni per Jimi Jamison, Bobby Kimball, Issa e Fergie Frederiksen. I sudamericani continuano a spaziare nel loro sound proponendo un tradizionale AOR mischiato ad un hard rock ottantiano che va dai Journey, ai Dokken, per finire agli Extreme. Questa influenza appare già evidente nel ritmato apripista: “Tree Of Life”, pezzo infuso anche di una emozionante atmosfera cinematografica grazie a intermittenti e ipnotizzanti giri di chitarra, una voce fantastica e un melodicissimo refrain da far venire i brividi in tutto il corpo.
Un suono di sirena introduce poi la successiva ed oscura “SOS”, traccia rock più pesante con un sottilissimo lavoro di tastiera in sottofondo che accompagna l’aggressività della chitarra elettrica e la galoppante sezione ritmica. I combattivi riff di chitarra in stile metal e gli assoli di chitarra di Gelbcke, con Oliver che narra quasi i testi dietro al microfono, sono la ciliegina sulla torta e impreziosiscono notevolmente l’intera raccolta. Se lo stesso discorso si può fare continuando in scaletta con l’armoniosa e ottantiana “When The Curtain Falls” caratterizzata da ritmi elevati e fluidi cambiamenti di tempo, il registro invece cambia bruscamente in “Running In Circles” e in “No Tomorrow”, perché qui i Landfall diventano nei suoni più radiofonici offrendo un classico rock melodico di stampo americano che spicca nell’accattivante e melodicissimo ritornello. Non per questo trascurano il loro lato più heavy che al contrario immettono, nella prima song, nei prolungati assoli chitarristici del virtuoso e straordinario Gelbcke. La forza della band è proprio quella di mischiare l’hard rock all’AOR riuscendoci in pieno. Nella seconda abbiamo un vero e proprio omaggio agli anni ’80 ma in particolare allo scomparso attore Carl Weathers che ha interpretato Apollo Creed (lo sfidante di Rocky nei primi due film e poi il suo allenatore nel terzo film); in quanto “No Tomorrow”, è ispirata alla mitica “Eye Of The Tiger” dei Survivor inserita nella leggendaria colonna sonora di Rocky III. Le melodiose e pulite corde vocali di Gui Oliver sono così coinvolgenti e passionali da trasportare l’ascoltatore verso infiniti orizzonti pacifici e rilassanti. Il filone ultra-melodico continua nella romantica ballata, “A Letter To You”, immancabile lento con dei cori e un refrain sdolcinato e ruffiano che piace al primo ascolto. Il pezzo inizia con un duetto di pianoforte e di chitarra elettrica per poi crescere armonicamente fino al delicato assolo chitarristico dell’ottimo Marcelo. Con “Coming Home”, gli artisti pestano il pedale sull’acceleratore con un ritmo massiccio e veloce che sprizza energia e positività da tutte le note per via di elementi funky che si innestano perfettamente con le parti metal della composizione.
In “Intoxicated” i campionatori iniziali guidano la traccia verso un malinconico e inquietante sound hard rock, per poi cambiare direzione ed esplodere in brontolanti tocchi di chitarra sovrastati solo dalla melodica ugola del singer carioca e del buon ritornello. La sorpresa arriva nel finale con due brani venati di puro metal prog. “Hourglass” è una canzone molto lunga e prevalentemente heavy che tende all’epicità ma non ci riesce perché questo non è il campo sonoro dei Landfall che sono molto più convincenti e competitivi quando si tuffano in eufonie di rock e metal melodico nonostante suonino eccellentemente con diversi cambi di tempo. I riff chitarristici sono duri come la possente batteria e in grado di trascinare l’ascoltatore nel mondo stilisticamente variegato e tecnicissimo dei quattro musicisti. Sicuramente “Higher Than The Moon” è tra le due quella più riuscita perché l’enorme uso delle tastiere, dei cori e in generale di un suono pop/rock progressive ne fanno una canzone interessante e ambientale. Gui Oliver è un vero talento al microfono, ma sovente è penalizzato da una produzione che non esalta le sue capacità vocali e che al contrario sono sopraffatte, in alcuni momenti, dagli strumenti. La conclusiva “Wide Open Sky” possiede invece allegria e strafottenza per via di fumanti e roboanti riff guidati dall’acuta voce del frontman brasiliano, ma la canzone mantiene sempre quella compostezza sonora tipica dell’AOR statunitense fatto di melodie prevalentemente ammalianti.
In conclusione, il disco è molto carino e ben suonato. Forse con una produzione diversa sarebbe piaciuto ancora di più perché sono poche le tracce che particolarmente si evidenziano in un groviglio di AOR, hard rock melodico e prog che fanno dei Landfall una band non facile da catalogare ma comunque molto interessante.