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I texani Scorpion Child tornano alla ribalta dopo alcuni anni di silenzio discografico successivi alla pubblicazione del secondo disco Acid Roulette nel 2016 e dopo uno scioglimento – non particolarmente grave possiamo dire alla luce degli ultimi avvenimenti – avvenuto nel 2019 ma annullatosi nel periodo Post-Covid. Ripartiti alla grande, gli statunitensi si sono imbarcati in tour tra i propri vasti confini così come nei più ristretti ma sempre prestigiosi confini del vecchio continente, ritornandone ispirati e finalmente pronti a riproporsi con un album di inediti al pubblico.
I Saw the End as it Passed Through Me si presenta come un momento di svolta nella carriera di questa formazione ormai attiva da quasi un ventennio benché non molto prolifica ed il motivo si può riscontrare prettamente in relazione al suono e all’impostazione stilistica che governano l’andamento delle otto tracce qui confezionate. Rispetto ai precedenti capitoli discografici, l’orientamento all’Hard Rock di stampo classico, governato da riff “zeppeliniani” e maggiore ariosità dell’atmosfera generale, viene a mancare, sostituito da un approccio più cupo e duro, ma anche condizionato dall’inserimento di frangenti melodici dettati soprattutto dalle chitarre, con arpeggi e incisi che arricchiscono l’insieme.
L’apertura affidata a “Be the Snake” può essere presa ad immediato esempio a supporto di quanto dichiarato proprio in virtù dell’alternanza tra fasi più dirette e pesanti ad altre “vuote” e delicate che immancabilmente conducono ad un ritornello da scandire a polmoni pieni. Il singolo “Outliers” è uno dei brani migliori dove si può avvertire la drammaticità che sovrasta sia tematicamente che musicalmente le composizioni, frutto di esperienze personali del cantante Aryn Jonathan Black, grazie ad uno sviluppo che crea un senso di attesa ben convogliato nel ritornello radiofonico e che non mancherà di trovare responso anche in fase live.
Tra le varie “See The Shine”, “Godskin” e la ballata conclusiva “Hanging Sun”, tutte piacevoli all’ascolto anche se meno esplosive e forse un po’ troppo compassate, si trova “Wired Corpse” la quale si sorregge sul riff più elettrico e particolare del lotto in grado di aggiungere un pizzico di varietà ad un disco di buona fattura e a tratti molto coinvolgente che però tende ad offrire una certa omogeneità sonora.
Sotto il punto di vista esecutivo, ogni musicista coinvolto apporta un valore ben determinato e distinguibile a partire dalla voce matura e drammatica di Black passando per la sei corde di Savage chiamata ad erigere un muro sonoro per mettere nelle giuste condizioni il collega Aronstone di esibirsi in alcuni pregevoli soli ricchi di pathos ed effetti. Dietro le pelli Henderson si esibisce in una prestazione di alto livello arricchita da spunti estrosi che non appesantiscono e non coprono l’effetto finale in fase di ascolto, ben coadiuvato dalle linee di basso di Condit.
Il ritorno degli Scorpion Child si può annoverare come un cambio di passo rispetto al passato e che consente loro di aprire nuovi orizzonti a loro stessi e ai fan del quintetto senza per questo snaturare un’offerta rock di valore e coinvolgente.