IL TEATRO DEGLI ORRORI – Mai Dire Mai Tour


Visualizzazioni post:364

IL TEATRO DEGLI ORRORI –
Mai Dire Mai Tour –
12 marzo 2025, Roma – Atlantico

Report di Matteo Nasi e Olaf Larsen II

Foto di Olaf Larsen II

Io e Olaf Larsen II torniamo per raccontarvi di esperienze non metal, ma di materie affini per la durezza dei suoni e per la sfida sensoriale.

Roma, Teatro degli Orrori. Un oceano (Atlantico) della folla più pronta, partecipante, erudita che abbia mai visto. Metà del concerto lo abbiamo fatto noi, ce lo ha detto Pierpaolo Capovilla dal suo microfono, con onesta commozione visti i tanti anni di separazione dai palchi che, vita nonostante, non hanno che esaltato la vicinanza e la stima pubblica.

Dieci anni di oblio e separazione per rinascere in un momento duro, sí anche per soldi, sono onesti nel dirlo in anticipo. In questa lunghissima pausa i quattro degli orrori hanno distillato i migliori sentori di un passato mai sopito, tutto s’è acceso come miccia e propagato come fuoco.

E’ inutile cercare di descrivere più di tanto con toni tecnici la serata. E’ necessario scrivere con lo stesso turbinio, intensità, profondità e de-struttura che questo poker d’assi del noise italiano ci regala.

Intanto, maledico a raffica la richiesta andata a vuoto di un pass fotografico, nonostante i tentativi del nostro eroico Capo Redattore. I volti, le situazioni e le luci erano semplicemente da saccheggiare. Orrido telefonino, salva quello che puoi…

Ci sono molti temi, quelli di sempre, quelli sempre forti che sfidano e abbracciano il pubblico. C’è la nostalgia, per un amore, un amico, un ideale che c’era, una infanzia ed un mondo che non ci sono più. Ma c’è l’energia di un’immagine da idealisti tristi di un mondo nuovo, diverso, di pace e amore. A raccontarlo così sembra la favola di Heidi ma loro lo raccontano con ben altre note.

L’apertura ci straccia già le vesti, rombano “Vita Mia”, “Dio Mio”, “E Lei Venne!”. E così capiamo che “possiamo finalmente bere quanto cazzo ci pare!”. Bere da questa fonte che ha bagnato vite di piccole persone con grandi sogni proletari, che non vanno sempre bene ma vanno. Tom, l’amico fraterno tedesco, se n’è andato e la eulogia è struggente. “Direzioni Diverse” potrebbe devastarmi profondamente in questa fase dove le abbiamo prese io e la mia compagna da decenni, ma bisogna ascoltare ed ascoltare bene perché c’è ancora un sole, un mare, un amore che manca tanto. Ma c’è e si sente.

Lo sente Capovilla che, nonostante le pose teatrali e la recitazione musicata, è onestamente soverchiato dal nostro affetto rumorosissimo, e poi religiosamente silente quando si deve riflettere. Lo sente quando si abbandona in un crowdsurf lunghissimo. E’ una maschera veneziana ieratica in bianco e nero, poi un giullare beffardo, ma sappiamo stare al suo gioco, e gli piace. E’ proprio in volo sopra di me quando qualcuno anticipa la prossima strofa e lui, con un sornione e ironico omaggio, risponde che sì, grazie, lo ricorda il testo! A breve lo seguirà nel nuoto assistito dalla folla di Francesco Valente, una batteria che domina la porzione musicale e pareggia in dialettica con le strofe taglienti, sagaci o struggenti.

Continuiamo, sempre in ordine emotivamente sparso. Per il Teatro degli Orrori la politica è quella della pace che non vuole regnare, ma in fondo “che ci vuole?”. E dichiara così Pierpaolo che, per un nato nel ’68, “E’ Colpa Mia” e diventa la colpa di tutti noi, un monito che “bisogna essere attenti e scegliersi la parte”, come direbbero i C.S.I. di qualche tempo fa. “Il lungo sonno”, alias “Lettera aperta al Partito Democratico”, si spiega da sé, ma continua a chiedersi, in una versione nostrana, perché le grandi idee dell’umanità soccombono ora più che mai. E passa a trovarci anche la “Compagna Teresa”, forse una Partigiana? Di certo la madre portatrice di ideali ormai sfuocati.
E ancora la pace invocata più volte, Gaza, il mondo sofferente in generale, una preghiera per il caos, perché “Don” Paolo è figlio di una ex suora, così ci fa sapere il nostro, spirituale e materico come i grandi predicatori della storia.

Poi ci sono i versi di uomini barcollanti ma galvanizzati, in una notte di delusioni amorose e ripensamenti radicali sulla qualità della loro vita. Come barcolla il Capovilla, o come incede a ritmi spezzati, nella sua rappresentazione attoriale di quei momenti a volte fatali, a volte salvifici per tutti noi. “Due” e “Io Cerco Te” sono di questa parte, mentre confermano la maestria della chitarra di Gionata Mirai, ora spasmodica e frenetica nel cercare, ora melliflua nel riflettere. Ci scappa il richiamo a “Roma Capitale sei ripugnante” e tutti siamo d’accordo, ma la sopportiamo ancora bene.

“Non vedo l’ora” è l’insieme, un arcobaleno un poco ingrigito, di tutti questi temi enormi, visti però ad altezza d’uomo. Di un uomo che sa tradurli in questa arte ibrida e unica tra la recitazione e il canto. Il pezzo ci permette anche di apprezzare al massimo il basso di Giulio Ragno Favero, purtroppo severamente penalizzato (e penalizzante) dall’acustica per la maggior parte del concerto. Ma tanto sapevamo tutti bene di cosa è capace e adesso, finalmente, si sente meglio.

Ci sono altri pezzi, ma ne nomino solo altri due di potenza inaudita. “A sangue freddo” mi mette di fronte alla storia di un gigante, “un uomo vero (che) muore davvero”. Oltre al riff irresistibile (il pogo è ormai inevitabile), la storia di Ken Saro-Wiwa e la sua resa in musica mi rendono sempre iperattivo ed umilissimo allo stesso tempo, davanti ad uno spirito di tale caratura nobile. Se Ettore Petrolini si fosse materializzato in mezzo a noi, ieri sera, non avrebbe esitato un attimo a duettarla col Capovilla, l’avrebbero nasalmente condivisa come moderni Nerone, per dare fuoco alle nostre coscienze sopite nella bambagia.

E si chiude con una vera opera rock, “Maria Maddalena”. L’atmosfera è ormai di totale rapimento, la divisione tra band e pubblico è da lungo tempo annullata. I loro passati sfregiati, i loro difficili sogni futuri, sono già i nostri.

Usciamo dalla sala ma da questo concerto, da questa esperienza, non usciremo mai. Mai senza disperazione, mai senza una speranza (Pasolini, o quasi…).

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.