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Esordio per l’ennesima band proveniente da Helsinki in Finlandia chiamata Luponero, che prende il suo appellativo proprio dal nome del suo leader Marco Luponero (Terrorwheel, Altaria). Agli inizi il gruppo usa il moniker Luponero & The Loud Ones, ma il buon senso porta, l’anno scorso, ad una intelligente abbreviazione in modo da essere facilmente ricordati da un pubblico più ampio. I finnici, composti dal già citato cantante e bassista Marco Luponero, dal chitarrista Jim Heikkinen e dal batterista Simon Grundvall, offrono un sound molto variegato e a tratti difficile da inquadrare, che spazia dal punk rock al classic rock, dall’hard rock al metal fino al pop, con inserimenti di molti sintetizzatori e con tanti momenti melodici altamente significativi. In effetti le prime tracce del disco sono forti e ritmate, catapultando l’ascoltatore nell’elettrizzante muro di suono eretto dal combo finnico che usa temi profondi… senza però esagerare e mantenendo anche un profilo ironico! Basti ascoltare il singolo e apripista, “Everything Nothing”, pezzo intenso e galoppante, dove la voce arrabbiata e urlante di Marco trascina inevitabilmente la possente batteria e la spigolosa sei corde elettrica di Jim Heikkinen verso il caos della moderna quotidianità. Le nostre società sono allo sbando per via di egoismi, di guerre e di notizie sempre inquietanti che conducono ad un pessimismo sull’esistenza dell’essere umano cui tutti ormai abbiamo fatto il callo e che ci porta ad accettare qualunque cosa. Qui la band è una vera e propria esplosione di grezze e ribelli armonie, ingarbugliate in atmosfere sinistre ed inquietanti.
A proposito del nuovo album, Marco Luponero afferma: “Everything / Nothing” segue il singolo di debutto di Luponero, assurdamente intitolato Dad Bod Rok God. Traccia umoristica ma anche inno, dove si ode lo stile vocale dei Def Leppard e lo stile del rock classico, che hanno contribuito ad attirare l’attenzione di Icons Creating Evil Art.”
La situazione si placa in parte nella seconda, scanzonata e americaneggiante, “Bipolaroids”, in cui il terzetto scandinavo rallenta un po’ il ritmo rendendolo più cadenzato e martellante, grazie alla spigolosa e a tratti distorta chitarra elettrica, che si esibisce in assoli al fulmicotone partecipando anche ad interessanti cambi di tempo insieme ad una ossessiva e precisa sezione ritmica. Bello e ultra-melodico è il ritornello, così come pure la melodiosa e pulita voce di Marco e i bei cori profusi dal resto dei ragazzi, che sembrano orientarsi sullo stile degli statunitensi Queens Of The Stone Age.
“In un’epoca in cui pubblicare singoli in continuazione è la nuova norma, siamo abbastanza old school da essere profondamente appassionati di album. C’è una sostanza enorme a cui dedicarsi quando si ascolta un disco dall’inizio alla fine, qualcosa che le playlist non saranno mai in grado di dare”, continua a dire Marco Luponero.
Dolci synth invece introducono la mordente e tellurica “Killing Time”, che dopo pochi secondi parte in quarta con una veloce e grintosa linea di basso, in grado di far esplodere la possente batteria e la rauca ugola del vocalist nordico (di origine italiana) a sua volta accompagnato da rapidi e potenti giri di chitarra elettrica. Il tutto è avvolto dai soliti alternati cori e da un refrain melodico innescato dai consueti campionatori, che si fanno da parte solo nel prolungato e micidiale assolo elettrico del chitarrista Heikkinen. Quello che colpisce della band è l’imprevedibilità, perché non sai mai cosa proporranno nei successivi brani come accade, per esempio, nella morbida e palpitante “Running On Empty”. Si tratta di una traccia malinconica e dall’armonia quasi western, ma dal cuore infarcito di eufonie synth-wave tipicamente ottantiane. L’opera non è un concept, ma in molte song gli artisti prendono in esame il nichilismo positivo, corrente filosofica che trova nel nulla della finalità della vita non un’accezione negativa, ma al contrario il raggiungimento di uno stato mentale per cui se nulla conta niente e significa nulla, non c’è niente di cui veramente preoccuparsi. In effetti, la turbolenta “Helsinki Intersection Mindfuck” rispecchia con il suo suono hardcore questa rassegnazione e questa indifferenza, gridata a pieni polmoni dalle rauche e a tratti gutturali corde vocali dell’incazzato Marco. I Luponero sembrano non fermarsi o arrendersi nel guardare il nostro disastrato pianeta, perché sfornano successivamente l’adrenalinica e ritmatissima “Sapiens”, traccia di puro classic rock melodico di stampo californiano e con sonorità anche qua molto legate al vecchio e polveroso western americano, mischiato sempre con il tradizionale hard rock a stelle e strisce. I deliziosi assoli di chitarra e l’incessante ritmo dato dal basso e dalla batteria uniti alla chitarra, dimostrano come i tre vichinghi si muovano benissimo tra i meandri del puro rock fino a quelli del classico metal con grande abilità. Il frontman poi entra nella sfera personale, quando omaggia il padre italiano con una malinconica e sdolcinata ballata a lui intitolata, “Angelo”, curiosamente introdotta da un brevissimo accenno di “Mamma Son Tanto Felice” di Beniamino Gigli cantata proprio dal padre scomparso dieci anni fa. La traccia sembra una specie di mielosa ninna nanna sostenuta da una leggera e vibrante tastiera e cantata quasi sottovoce dal singer finnico, come se non volesse disturbare i suoi ricordi infantili. Tranquilli, non c’è il pericolo di addormentarsi o di annoiarsi, perché i soffici accordi del pianoforte e della chitarra riescono ad emozionare e a farci riflettere sul nostro passato. Con la successiva e seducente, “Pickup Artist”, i Luponero offrono un pezzo allegro e vigoroso molto vicino al suono hair metal degli anni ‘80 e con un ritornello super orecchiabile, da canticchiare in qualunque momento della giornata. La penultima “Burden” è un altro lento cantato dolcemente per i primi secondi, e guidato dai fini e squillanti tocchi della chitarra di Jim, per poi aumentare d’intensità e di melodia con l’inserimento degli abituali e indovinati cori del gruppo. Idem per l’ultima “The End”, che parte piano per poi aumentare il ritmo e l’armonia con un ritornello travolgente e accattivante. Anche qui il coro melodioso e coinvolgente trascina una canzone che nel finale riesce anche, con la tirata chitarra elettrica di Jim, a farsi amare e a stamparsi direttamente in testa, lasciando un bel ricordo di un album molto variegato e dalle tante sfaccettature. Già l’umoristico singolo “Dad Bod Rok God”, uscito in precedenza e non inserito in questo debutto, faceva intravedere l’indirizzo sonoro dei finlandesi, ma sinceramente questa prima dei Luponero sorprende per il miscuglio, per fortuna ben bilanciato, di generi proposti che potrebbero portare a un po’ di confusione. Il contratto firmato con la Icons Creating Evil Art segna un nuovo capitolo per una band ribelle, briosa e strafottente, ma che è allo stesso tempo pure romantica e riflessiva creando uno scenario sonoro particolare che attira sia le nuove e sia le vecchie generazioni. Consigliato!