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AFFLICTA, IGNOBLETH, SPOILED, ADE e GAME OVER, questo l’ordine d’apparizione all’incrocio delle strade che hanno portato tutte queste band a Roma. Ne è uscito un arcobaleno a 5 toni di nero (musicale, non politico). Per voi, ecco un essenziale commento alle immagini perché c’era troppa pressione nei cilindri per non condividerla.
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AFFLICTA
Arrivati da Imperia, li sento preoccupati perché al fronte del palco ci sono sì e no due file di spettatori, ma non si lasciano scoraggiare. Aprono la sequenza di inneggi al deicidio con una intensità inattesa, forse per il look che vira all’urban mi aspettavo un cross over… No, questo è Death, poi viene il Death Core. Poi scopro da Daniele (voce) e Pasquale (chitarra e sguardi fulminanti) che provengono dal prog, mantenendone l’amore per i virtuosismi.
Purtroppo, questo amore era scaturito da Artemis, la loro giovane bassista che si è tolta la vita. Da qui, l’origine della tristezza che ha segnato la loro svolta rabbiosa e, molto probabilmente, il titolo del loro ultimo album. Possenti, con un growl quasi morbido ed avvolgente, sicuri sul palco ed entusiasti. Con una certa commozione dedicano la loro rabbia anche ai morti di tutte le guerre, un segno di come questa generazione sente il mondo attorno. Musicalmente qualche imprecisione iniziale va perdonata perché sono giovanissimi, osano e, soprattutto, perché Akira è la prima volta che porta la sua chitarra sul palco con loro. Questa sera la prima strada è segnata, nonostante la tragedia che l’ha originata, o forse ne è un frutto amarissimo. Intanto, i pochi presenti aumentano rapidamente ed iniziano a vorticare…
IGNOBLETH
Con loro è guerra. Il tuono dell’artiglieria è costante, cupo ed incessante. Con il growl la terra trema dal profondo. Non concedono umanità, il pubblico lo tengono distante ma, a giudicare dalle teste mosse all’unisono violentemente, la cadenza della marcia si sente nell’oscurità che invocano. Velocissimi a tratti, poi di nuovo nei ranghi, marziali. E anche la Via Emilia è arrivata fin qui.
SPOILED
Cambio radicale di stile. A giudicare dall’accento simpatico e spaccone “de borgata” del frontman Danny Boy, questa è la band che fisicamente ha fatto meno strada per arrivare qui, ma che dimostra di avere convinto molti seguaci lungo il cammino. Si aprono le rapidissime danze con un gesto molto generoso, l’invito sul palco ad un giovanissimo chitarrista che compie gli anni stasera. Alessio è carichissimo e non sfigura, con la splendida chitarra infuocata ceduta in prestito dai suoi idoli. A seguire, il resto è l’anima del Thrashcore impersonificata. L’aria è punk, scanzonata ma carica di messaggi importanti di insoddisfazione verso i motivi di chi ci governa (“Fratello d’Italia”) e di rabbia verso la situazione in Palestina (“Filastin”). Coinvolgono spesso il pubblico, lo agitano (e si agita parecchio) a riconoscere la propria identità al di fuori degli inglobanti social network (“Identity”), ci scuotono la mente con più di 200 bpm. Quasi alla fine, “Arabian Tower” ci riconnette con tutti quelli che hanno condiviso con affetto la strada con noi ma ora non ci sono più.
ADE
Questa strada ci porta indietro nel tempo. Sembra di percorrere l’Appia Antica sotto un temporale mandato da Giove in persona. gli Ade escono da un buco temporale e atterrano con le caligae ben ferme su un palco che li attende da tempo. Muscolari e tecnicissimi, il loro death si distingue perché in sottofondo, a volte, serpeggia l’armonia. Sicuramente una nostalgia per tempi gloriosi e passati della Caput Mundi (oggi, mentre scrivo, è il 21 aprile, giorno della fondazione di Roma). Ma gli Ade ce ne ricordano la brutalità, i sacrifici, i tradimenti e le perversioni. Nihil mutatum, nihil mutabitur. Nicholas/Diocletianvs e Gabriele, originari dei territori dell’Etruria e dell’Agro Pontino, accennano ai loro quasi 20 anni di “legione” ed al nuovo e quinto LP, Supplicium, che li spinge sempre più ad una dimensione adatta all’ascolto. Effettivamente, i suoni sono pulitissimi e molto apprezzabili le variazioni, le virtù individuali e le peculiarità del loro stile, compresi suoni di strumenti di altri tempi.
GAME OVER
Zero compromessi e contaminazioni. Questa strada è la retta via del Metal. I ferraresi sono fedelissimi nell’immagine, nell’energia e nel suono a decenni di Thrash e loro stessi possono vantare quasi due decadi da protagonisti. C’è in particolare forte intesa tra le chitarre di Sanso e Ziro ed i cori, quasi da poodle rock (non è una offesa) che sorpassano i limiti di velocità. La voce e la presenza espressiva di Danny ammaliano il pubblico, forse ora più calmo ma molto attento (anche gli Afflicta mi dicono di aver notato questa particolarità in area romana). Basso e batteria sono virtuosi e seguono strutture complesse, curve e rallentamenti improvvisi. C’è varietà sicuramente. La seriosità di “Veil of Insanity”, con il bellissimo assolo di chitarra-cento-all’ora e sgommate, è stemperata dal tormentone oscuro di “Song of the Siren”.
E per stasera arriviamo alla meta capitolina, parcheggiamo spossati ma con l’adrenalina di una corsa folle che ancora ci fa stringere il volante. Forse non siamo così pronti a fermarci!
Grazie al Traffic Live!