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Quattro. Come il numero di uscite pubblicate e come gli anni che intercorrono dalla precedente. Quattro, come le battute della misura più semplice da interpretare per l’orecchio e l’istinto umano. Se ci aggiungiamo anche il Quattro al denominatore troviamo la corretta definizione della precedente proposizione: Quattro quarti.
Non ho certo la competenza né l’ardire sufficiente per mettermi a contare se il fatidico 4/4 sia effettivamente il metro meno impiegato nelle composizioni che animano il nuovo The Great Filters dei francesi Fractal Universe però posso dire con buona certezza che di pane per i vostri denti amanti della musica Progressiva qui se ne trova parecchio!
Già con i primi due dischi, i Fractal Universe ci avevano abituato ad un certo orientamento di stampo Prog Death di stampo moderno e con il terzo The Impassable Horizon avevano centrato la definitiva maturazione artistica rendendosi la vita complicata nel momento in cui si sarebbero dovuti sedere nuovamente al tavolo della composizione, data l’alta qualità e originalità concentrate nell’album tinto di verde (QUI recensito).
La sfida di partenza quindi non si può certo considerare semplice ma sotto molti punti di vista viene fronteggiata quantomeno con risultati consoni a decretare la buona riuscita dell’album ora tinto di arancione e rosso. Gli elementi che caratterizzano la proposta del quartetto rimangono ben presenti lungo il fluire delle canzoni e nei casi di “Casuality’s Grip” e “The Seed of Singularity” coi loro riff portanti che uniscono complesse parti ritmiche alla dinamica della batteria creando complessi affreschi di efficacia sonora di grande impatto per poi andare a ricamare attorno con l’ausilio della seconda chitarra e basso.
L’interpretazione vocale di Vince Wilquin continua a spaziare tra più fasi canore anche se l’orientamento si è spostato maggiormente nella direzione del cantato in pulito benché senza eliminare del tutto il growl incarognito che rimane sempre in grado di emettere a sostegno degli stacchi più poderosi. La performance canora aggiunge un afflato jazzistico precedente al passato laddove sovente si può udire la voce cambiare tonalità insieme al frenetico cambio di accordi o seguendo strettamente le linee melodiche della seconda chitarra. Scelta funzionante e funzionale nonostante un po’ troppo ripetuta e ritrovabile nei brani che a volte sembrano mancare leggermente di mordente sul lungo termine.
Gli elementi che pervengono a donare freschezza sono l’ormai fisso Sassofono di Wilqin e l’introduzione di più parti di pianoforte come nella lunga conclusione di “Specific Obsolescence” anteposta di quella “Dissecting the Real” che tra tutte spicca per via del suo ritmo frenetico e per la “dissezione” delle sue parti. Come da tradizione, anche “The Great Filters” adotta un argomento specifico e lo eviscera nei suoi testi. Nello specifico questa volta viene affrontata la tematica del Grande Filtro, teoria presentata a fine dello scorso millennio dall’economista Robin Hanson come una sorta di barriera che inibisce lo sviluppo di civiltà extraterrestri durevoli nel tempo.
In buona sostanza. I Fractal Universe realizzano una buona prova che pone un punto dal quale ripartire a livello compositivo anche se la sfida a questo punto inizia a risultare ostica, soprattutto se vogliamo cedere all’idea che un qualcosa di già sentito rispetto al passato sia qui già presente. Il rischio per i francesi è quello di arrivare a produrre musica troppo complessa e stratificata sacrificando la componente comunque importante dell’immediatezza, riscontrabile nei precedenti lavori. Detto ciò, The Great Filters è ascrivibile alla lista dei bei dischi dell’anno 2025 e saprà soddisfare la vostra sete di tempi dispari, esagerazioni tecniche e ricerca di nuovi stati della conoscenza!