GHOST – Skeletà

Titolo: Skeletà
Autore: Ghost
Nazione: Svezia
Genere: Hard Rock/AOR
Anno: 2025
Etichetta: Lorna Vista Recordings

Formazione:

Papa V Perpetua (alias Tobias Forge): Principale compositore

I ghouls: strumentisti vari in studio e dal vivo


Tracce:

01. Peacefield
02. Lachryma
03. Satanized
04. Guiding Lights
05. De Profundis Borealis
06. Cenotaph
07. Missilia Amori
08. Marks of the Evil One
09. Umbra
10. Excelsis

Durata Totale: 46:39


Voto del redattore HMW: 7,5/10
Voto dei lettori: 8.5/10
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Non è certo un mistero redazionale che tra i miei grandi amori rientrino i Ghost sin dal momento in cui li scoprii soltanto tre anni fa in occasione dell’uscita dell’ottimo Impera. Per citare la mia stessa recensione dell’epoca: “Ghost. So che è gente che si traveste da prete e fa una sorta di rock con tematiche a sfondo satanico, null’altro. WOW, che originali! va beh…”. Bene. I Ghost continuano ad essere guidati da un tipo vestito da prete – o meglio da Papa – e continuano a fare una sorta di Rock con tematiche a sfondo sata… beh su questo inizio a ritrovarmi vagamente meno in accordo con il me passato.

Skeletà è un taglio con la tradizione precedente. Si allontana, se non del tutto quantomeno di molto, dalla volontà di infarcire di riferimenti diabolici i testi dei brani. Dividerà i fan più vecchi, più nuovi e più “medi” perché riesce ad introdurre una nuova maniera di concepire la musica dei Ghost. L’umorismo nero svanisce, subentrano una profonda malinconia e delicatezza, si disgrega l’anima Pop dell’ultima uscita e si ricompone in una più ricercata e che molto riprende dal rock di classe che spopolava negli anni’80, ripieno di soluzioni affatto scontate e condite da maestria compositiva mai fine ai barocchismi quanto all’efficacia di ascolto, sebbene mai troppo “facilona”.

Di fatto, poco si àncora allo stile Ghost che li ha resi celebri e quel poco è ritrovabile in momenti quali il singolo “Satanized” e in “Marks of the Evil Ones” con il suo “There, There” da urlare in mezzo alla folla durante le esibizioni dal vivo, brano che mi fa un po’ pensare ad una “Witch Image” bombardata di sintetizzatori. Sintetizzatori e tastiere che si rendono oltremodo protagoniste adombrando le chitarre in maniera importante nelle fasi principali di molti dei pezzi del disco con le 6 corde chiamate ad eseguire un lavoro di raccordo e arricchimento con parti melodiche e soliste imprescindibili ma più “accennate” che protagoniste.

L’impronta AOR si percepisce sin dall’apertura di “Peacefield” soprattutto grazie a quel ritornello che molto deve alla lezione dei Journey che se dapprima spiazza per la somiglianza immediata, riesce con gli ascolti a identificarsi come a sé stante. “Guiding Lights” si inserisce come commovente intermezzo legato tramite un filo rosso stilistico alla conclusiva “Excelsis”, sviluppando con essa il dittico di canzoni più malinconiche e da sottofondo per le tristi notti spese in solitudine che a molti restano nei cuori proprio per le colonne sonore uniche compagne della propria mestizia.

“De Profundis Borealis” e “Cenotaph” si allineano per la tendenza ad alzare i ritmi, altrimenti molto rilassati dell’opera, e dimostrarsi come ballabili e cantabili al contempo. Una menzione d’onore spetta poi ad “Umbra”: nei cinque minuti e oltre troviamo forse il picco dell’album sia per la tendenza Hard Rock che lo pervade sia per il riuscito ritornello che la anima il quale sfocia in una divertente sezione di battaglia solista per chitarra e tastiera in grado di evocare le colonne sonore da “inseguimento” tipiche dei polizieschi americani anni’70. Super canzone!

Il sesto disco del progetto musicale svedese riesce a vivere di una propria identità rispetto alla discografia della band anche se non possiamo considerarlo rientrante nella top 3 delle uscite finora consegnateci. Qualche incertezza complessiva si avverte così come un sentore di minor freschezza filtra dall’amalgama complessiva che dà vita ai brani. Non è certo un delitto anche in virtù degli impegnativi tour in giro per il mondo che hanno costretto Forge a rilasciare alcune dichiarazioni in merito ad una possibile pausa che gli consentirà nel prossimo futuro di tirare il fiato e ritirarsi alla ricerca dell’ispirazione per un nuovo colpo da novanta.

Forse il personaggio e la sua storia hanno iniziato a prendere troppo il sopravvento sull’aspetto musicale e la stessa percezione del buon Tobias è che il rischio di diventare un semplice fenomeno di massa goliardico e iconografico piuttosto che un artista e musicista di valore sia sempre più concreto. Nell’attesa delle prossime mosse di questo indiscutibile protagonista della vita recente del Rock, tiriamo le somme: Skeletà è un buon disco e troverà tanti consensi quanti saranno i suoi detrattori, ma d’altronde è la conseguenza naturale dell’essere artisti. Non è possibile piacere a tutti e per fortuna non si deve piacere a tutti!

 

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