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Gli svizzeri Rock – Out ritornano con il loro terzo album in studio, ma stavolta per l’etichetta italiana Frontiers Records, in cerca di più visibilità e popolarità rispetto a quella del proprio Paese natio. Formatisi nel 2012, i Rock-Out debuttano nel 2018 con Loud, Hard And Dirty, per poi continuare, due anni dopo, con Stand Together. L’attuale Let’s Call It Rock ‘N’ Roll rispecchia ancora l’attitudine e la grinta di una band capace di suonare con sincera passione un classico e crudo hard rock di stampo americano e con una produzione ultra moderna. Insomma, un sound fumoso e scalciante che si ascoltava ogni sera nei tipici locali californiani, dove negli anni ’80 trionfava l’hard rock melodico, l’hair metal e il glam metal in mezzo a fiumi di alcool e di belle donne. Questo è proprio il mondo dei grezzi ma melodici Rock-Out, che dalla Svizzera promuovono una musica ormai rilegata nell’ombra dalle mode del momento e in un certo senso posizionata nel dimenticatoio di molti nostalgici.
Nelle loro armonie si ode principalmente l’influenza di mostri sacri come gli australiani AC/DC e i connazionali Krokus dai quali hanno anche preso l’energia e la determinazione negli spettacoli dal vivo. Florian Badetscher alla chitarra e alla voce, Luca Gfeller al basso, David Bärtschi alla batteria e Severin Held alla chitarra, senza artifizi e con tanta energia partono subito in quarta con la potente e lamentosa: “The Boys Are Back” in cui gli acuti lamentosi di Florian sono la ciliegina sulla torta in un maleducato e melodico refrain guidato dalle due taglienti chitarre elettriche e da una battente sezione ritmica. Gli ottantiani cori e gli assoli chitarristici sono comunque al centro delle composizioni come nel proseguo della “track list” dell’album in cui si ode un diretto e coinvolgente hard rock, per un pezzo senza fronzoli e senza contaminazioni da parte di altri generi. Il tutto è poi insaporito da efficaci assoli di chitarra elettrica e da un ritornello piacevole e canticchiabile in ogni momento della giornata. L’adrenalina sale a mano a mano che si va avanti, come nel caso del ritmato pop rock di “American Way”, dove l’approccio è più melodico e commerciale del solito. Quasi alla Green Day per portare un esempio calzante ma per fortuna la set list migliora man mano che si va avanti. In “Pump It Up” la voce ancora ubriacante e menefreghista di Florian “Flopsi” Badertscher trascina il super orecchiabile ritornello sostenuto pure da alternati e incisivi cori.
Le chitarre elettriche imitano il sound degli australiani Airbourne mentre nella successiva “Dynamite” siamo di fronte ad un brano che sembra uscito dalla mente dei connazionali Krokus e soprattutto dalla scuola degli AC/DC. Il quartetto riesce ad unire degli incandescenti giri di chitarra elettrica ad un ritmo melodico e galoppante che difficilmente lascerà inermi. Nonostante l’eccessiva familiarità sonora con i gruppi appena citati, i Rock-Out mantengono vivo lo spirito del rock e lo rendono più forte che mai. Addirittura, in “Hcrnrsm” si catapultano in un veloce rock and blues tipicamente a stelle e strisce mentre con la successiva “Tears Are The Rain” offrono all’ascoltatore la classica ballata rock che non deve mai mancare in un gruppo di strafottenti e sporchi rockers come loro. Qui, in questa canzone accompagnata dal pianoforte e dalla chitarra elettirca, i ragazzi mettono in mostra il loro lato più sentimentale e melanconico. Il contesto è semplice ma l’ugola pulita, acutissima e passionale del vocalist svizzero è convincente ed emozionante tanto da far venire la pelle d’oca. Nel continuo l’hard rock melodico di “Hit Me” conferma la loro armonica schiettezza e la loro fedeltà ai canoni del glam metal ottantiano fatto di spensieratezza e libertà senza compromessi. Colpisce ancora la variegata e camaleontica timbrica vocale di Florian che aggiunge un tocco unico e accattivante al tonante suono del gruppo perché capace di ammorbidirsi e irrobustirsi nel giro di pochi secondi. A parte questo dono naturale del singer occorre dire che neppure Held scherza alla chitarra nonostante una normale tecnica esecutiva. Severin è un chitarrista concreto e rapido e amante di prolungati assoli pirotecnici sostenuti da una martellante e incisiva sezione ritmica, a mio avviso penalizzata da una produzione troppo piatta e smacchiata. Lo si sente soprattutto nell’ultima e grandiosa, “Don’t Call Me Honey”, brano insolente e massiccio dove le chitarre sono registrate al massimo volume e a discapito degli altri strumenti che meriterebbero di essere sentiti in modo più sporco e naturale. Solo il cantato e le grida di Badetscher riescono a tenere il passo di questo impressionante e travolgente muro sonoro infarcito di robuste e melodiose note musicali.
I sorprendenti Rock – Out sono l’ennesima dimostrazione che l’hard rock settantiano e ottantiano non sono morti e anzi continuano ad ardere sotto le ceneri di un grande e indimenticabile passato fatto non solo di ricordi ma anche di giovani band capaci di riaccendere l’entusiasmo ai vecchi e giovani amanti di questo meraviglioso e immortale genere. L’energia e la forza delle canzoni catturano l’ascoltatore in quasi tutti i brani facendo mettere in secondo piano l’originalità delle composizioni ma evidenziando il vero stile di vita di un vero e coraggioso rocchettaro.