IN VAIN – Solemn

Titolo: Solemn
Autore: In Vain
Nazione: Norvegia
Genere: Progressive Death / Black Metal
Anno: 2024
Etichetta: Indie Recordings

Formazione:

Johnar Håland             Chitarra, Voce (backing)
Sindre Nedland            Voce (clean, solista)
Andreas Frigstad          Voce (harsh)
Kjetil D. Pedersen         Chitarra
Alexander Bøe               Basso
Tobias Øymo Solbakk  Batteria, Tastiere


Tracce:
  1. Shadows Flap Their Black Wings 07:13
  2. To the Gallows                         06:37
  3. Season of Unrest                         07:38
  4. At the Going Down of the Sun 07:55
  5. Where the Winds Meet             06:06
  6. Beyond the Pale                         06:19
  7. Blood Makes the Grass Grow 05:43
  8. Eternal Waves                         06:30
  9. Watch for Me on the Mountain 06:56

Voto del redattore HMW: 7,5/10

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Oh quanto è bello risentire gli In Vain in azione.

Sono passati sette lunghi anni dal precedente Currents e, pur sapendo che i nostri non sono certo artisti prolifici, avvicinarsi al decennio di silenzio rischia di far perdere le tracce.
Probabilmente gli impegni come band live dei Solefald hanno preso più tempo del previsto.

Detto questo, musicalmente parlando, questi anni di silenzio hanno fatto sì che scorresse parecchia acqua sotto il ponte e che evolvesse ulteriormente la proposta dei norvegesi.

Li seguo dal lontano 2010, quando, capitatomi in mano il loro secondo lavoro Mantra, lo ascoltai senza particolari aspettative e rimasi piacevolmente colpito dal mix di progressive death che erano riusciti a condensare. Con un pelo di amaro in bocca dovuto al fatto che quel lavoro soffriva ancora di un po’ di probabili difetti di giovinezza e una composizione un po’ acerba, con qualche lungaggine di troppo.
E’ con AEnigma (al fatidico scoglio del terzo disco) che il gruppo esplose in tutta la sua bellezza.

Questo e il già nominato seguito, furono lavori in grado di proporre un death progressivo molto, ma molto melodico, dove la melodia e le voci giocavano un ruolo preponderante, inframmezzate da passaggi molto violenti, ad altri cervellotici, ad altri ancora epici ed evocativi. Dove AEnigma sfoggiava tutte le qualità esecutive e compositive al loro meglio, Currents deviava un po’ più verso sferzate quasi thrash e con qualche arzigogolo in più.

Arriviamo quindi a questo, tanto atteso, Solemn.

Ebbene, gli anni di silenzio e lavoro dietro le quinte, hanno portato il risultato di evolvere ancora un po’ la musica degli In Vain.
Questa evoluzione è però andata nella direzione dello snellimento e della fruizione piuttosto che nell’inasprire i tratti più prog e spigolosi.

Sin dalla traccia d’apertura (che trovate qui in calce), ritroviamo melodie molto forti, potenti e memorizzabili, epiche, immediate. Non mancano nemmeno i momenti cattivi, dove le voci, sporche e pulite, giocano nelle loro variazioni e nelle opzioni che offrono, troviamo anche tante soluzioni di arrangiamento molto valide, momenti puramente strumentali e di sfoggio esecutivo, ma sempre al servizio della canzone (diversamente da quanto poteva succedere prima), e con l’utilizzo, non di contorno, di strumenti diversi e vari, cambi di tempo e di atmosfere.

C’è tutto quello che gli In Vain sono stati fino ad oggi e che sanno proporre al meglio. E sono stati in grado di farlo togliendosi di dosso gli eccessi inutilmente prolissi o non utili all’economia del pezzo. Il singolo “Season Of Unrest”, uscito per altro lo scorso dicembre, è il manifesto perfetto di questo disco, il compendio migliore.

Rimane un disco prog, inteso come un disco pieno, dove ogni traccia riempie le orecchie di note, di passaggi, assoli, atmosfere, tutto e fa godere l’ascoltatore a pieno di un lavoro molto ricco e sfaccettato, pur nella sua semplicità, sempre ammantato della malinconia rabbiosa che li caratterizza da sempre. Inutile entrare nel dettaglio di ogni singola traccia, il livello è molto elevato e costante.

Composto quasi totalmente dal chitarrista Johnar Haland, sicuramente coadiuvato dagli altri componenti, e missato ai Fascination Street da Jens Bogren, questo lavoro segna un ritorno che definire gradito è decisamente poco.
Una sicurezza. Peccato per la lunga attesa.

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