SPIRITBOX – Tsunami Sea

Titolo: Tsunami Sea
Autore: Spiritbox
Nazione: Canada
Genere: Metalcore
Anno: 2025
Etichetta: Rise Records/Pale Chord

Formazione:
  • Courtney LaPlante – voce
  • Mike Stringer – chitarra
  • Josh Gilbert – basso
  • Zev Rosenber – batteria

Tracce:
  1. Fata Morgana
  2. Black Rainbow
  3. Perfect Soul
  4. Keep Sweet
  5. Soft Spine
  6. Tsunami Sea
  7. A Haven with Two Faces
  8. No Loss, No Love
  9. Crystal Roses
  10. Ride the Wave
  11. Deep End

Voto del redattore HMW: 8/10

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Nel 2025, com’è giusto che sia, le band metal capitanate dal gentil sesso spuntano come funghi.
Funghi anche in primavera.
Le doti canore richieste (implicitamente) da una ricerca qualitativa che vuole impressionare per non cadere nell’oblio, ormai ci mettono davanti a cantanti che fanno con le loro corde vocali davvero qualsiasi cosa.
Surclassato da tempo il duetto lui/lei molto caro ai fan del gothic metal, nemmeno la grinta di una Angela Gossow ci basta più.
Una voce che faccia cinque o sei cose diverse, e anche molto bene, massimizza la possibilità di fare cinque o sei generi tutti assieme, per incontrare il gusto sempre più moderno della fluidità di genere (musicale, ovviamente!) e del bisogno di stare al passo con l’evoluzione dell’essere umano.
Con lo stesso spirito rivolto all’avanguardia e un orecchio goloso di sonorità fresche e poco battute, mi metto all’ascolto di Tsunami Sea degli Spiritbox, uscito il 7 Marzo di quest’anno con Rise Records e Pale Chord.
Il primo ascolto mi ha subito portato ad un discernimento, tra ciò che avevo già sentito, e quindi ripescato dal caotico cassettone del mio bagaglio musicale, e vibrazioni nuove, o per lo meno con quella tensione al futuro e poca vena nostalgica.
Ciò che si odora in quest’album sono i sentori di quello che sarà il panorama della musica del domani: assenza di confini, generi annacquati, licenze artistiche che fanno decadere i muri innalzati dalla vecchia cultura, che voleva distinzioni nette, non solo nel campo musicale ma anche come concetto tribale.
E come uno specchio d’acqua, la flessibile voce di Courtney LaPlante riflette il desiderio di mettere in gioco uno stile eterogeneo che nel punto più lontano tocca sonorità estremamente pop. Si muove, poi, lungo il raggio della sua indubbia tecnica, su un cantato pulito e conforme al mondo “core” e colpire nel segno con uno scream giovane, affamato d’aria e fomentante. La sua capacità di rotolare su un sound grasso che si colloca abilmente nel metalcore, ci introduce alla prima traccia, “Fata Morgana”, scapocciabile nel suo groove sincopato, serrato e greve, per poi sganciarsi totalmente nel ritornello, a mio avviso di una bellezza toccante, liberatoria come un tuffo nell’acqua che scioglie la densità dei colori.
Colori o no, quelli di “Black Rainbow”, a dipingere la base di un pezzo elettronico, con una sintetizzazione della voce in formato robotico. È distopica, è la difficoltà a vedere lo spettro luminoso quando si è annichiliti interiormente. La sua pesantezza si interrompe bruscamente per lasciare il terreno alla morbidezza eterea di “Perfect Soul”, pezzo che onestamente ritengo un po’ banale, melodicamente appetibile anche per gli animi più semplici, dal sapore emo di ultima generazione e un cantato dream pop.
Sulla stessa riga si apre “Keep Sweet”, dove la comunione tra sofficità e durezza rendono il pezzo molto fruibile, facilmente digeribile e dall’atmosfera rilassata, a differenza di “Soft Spine”, una bomba energetica dall’inizio alla fine, un ritornello corale che strizza l’occhio a quella musica impegnata che vuole scuotere gli animi davanti alla mollezza e all’indifferenza di una società corrotta.
Meno convincente la title track “Tsunami Sea”, dal ritornello eccessivamente sdolcinato in una declinazione j-pop e dall’emotività più superficiale rispetto ad altri titoli. La successiva è “A Heaven With Two Faces”, sirenica e magnetica, con un ponte in cui la voce di LaPlante cresce come un’onda anomala che si infrange sul suo stesso scream aprendo un solco negli abissi.
In corsa arriva “No Loss No Love”, tagliente come un bisturi, genera in una spirale discendente un rimestio caotico delle nostre acque più profonde, mentre si ripulisce nello spazio bianco degli interludi, trascinandoci poi dentro la bocca dello squalo, pronto a divorare qualcosa che in noi è già a brandelli, perché “C’è un deterioramento, non c’è sentimento, nessuna perdita, nessun amore”. E se ci fermassimo qui, tutto sarebbe innovativo quanto basta. Ma è “Crystal Roses” nella sua incoerenza a far storcere il naso a chi non è pronto. Pronto a cosa? Ad un pezzo interamente EDM, molto “chill”. Nell’arco dei suoi tre minuti e mezzo, si può dimenticare tutto ciò che è successo prima. Si può dimenticare di aver lottato duro, di aver toccato il fondo, di essere stati presi a schiaffi dai breakdown. Si entra in un sogno acquatico, luminoso, con qualche striatura di malinconia. Uno di quei sogni nemmeno troppo profondi che possiamo vivere abbandonandoci prima del tramonto ad un sonno sul bagnasciuga. Il risveglio lento ma deciso giunge con la bellissima “Ride The Wave”, una semi-ballad il cui testo viene ritrovato nel celebre messaggio in bottiglia, abbandonato alle onde del mare, da un marinaio che non si è lasciato intimidire, continuando a tenere la prua verso l’orizzonte. Questo orizzonte è rappresentato da “Deep End”, la fine del disco, la linea d’arresto dello tsunami emotivo che ci ha travolto. Ripescando dal bacino pop-punk, i nostri ci lasciano con un brano enigmatico, dove le percezioni si alterano come guardando attraverso un liquido in un recipiente. Un mondo chiuso in una sfera di vetro in cui l’acqua è troppa, in cui il solo soffio delle nostre labbra è in grado di increspare la superficie, in cui la terraferma esiste, ma non sappiamo se ricercare la sua stabilità.
Dal punto più alto del muro d’acqua, la visione paradossalmente non si allarga, ma si restringe davanti alle paure.
Ci si lascia andare alle nostre onde, persi. Si galleggia, non è dato sapere se con la faccia all’insù o rivolta verso il basso, annegata, avvolti da un suono che si propaga come un’onda, una sinusoide, come quella nell’artwork di copertina. Le molte forme del mare ci hanno attraversato gli occhi, scompigliato i capelli, incrostato di salsedine la pelle e screpolato le mani. I timonieri, capaci, ci hanno portato a destinazione sani e salvi, ma con un’esperienza da raccontare. E sarebbe giusto chiudere questo nostro racconto ricordando come questi Spiritbox non siano per niente marinai d’acqua dolce.

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