Visualizzazioni post:474
Ebbene sì, anche in Norvegia si suona il thrash.
I Maltuka, provenienti da Bergen, esordiscono con un EP dal titolo Black Rite che rimanda ad un altro tipo di sonorità. Giusto per ricordarsi che la loro patria è comunque nota per un altro genere di metal.
E qui siamo di fronte a un lavoro di thrash metal con influenze black e punk che lasciano a bocca aperta.. Come affermato da loro, questo è solo il preludio all’uscita di un album e sinceramente non vedo l’ora. Perché questo EP è semplicemente strepitoso.
Ispirandosi ai maestri americani, tra i quali ci sento anche i mai troppo osannati Nuclear Assault, e la scuola tedesca, Sodom su tutti, i norvegesi si approcciano in modo diretto, nudo e crudo, con pochi ghirigori e tanti, tantissimi riff, batteria pulsante e una voce tipicamente, solamente e innegabilmente thrash.
Avrò ascoltato venti volte questi quattro pezzi prima di iniziare a recensire l’EP per non farmi trascinare come al mio solito dall’entusiasmo dei lavori che reputo buoni. Ma qui siamo su livelli alti che mi fanno nuovamente cadere nell’entusiasmo che mi annebbia l’obiettività. E va beh.
Pure la copertina è azzeccata. Basata su un dipinto di Kim Diaz Holm esprime efficacemente l’anima nera e brutale dei pezzi presenti nell’EP.
Scavando nell’underground quando si trovano questi gioielli bisogna farli splendere alla luce del sole, agli occhi e soprattutto alle orecchie di tutti.
I riff e gli assoli di chitarra sono praticamente il sunto di come dovrebbero suonare in questo genere che più d’uno continua a sostenere che sia morto. Ma che fortunatamente vengono smentiti quando ci si trova a questi lavori di fattura così eccelsa.
I Maltuka hanno già uno stile loro ben preciso e ben riconoscibile, e se non si sono giocati tutte le cartucce in questi cinque pezzi, uno meglio dell’altro, non oso immaginare cosa possa venire fuori.
I pezzi sono in un crescendo di intensità e violenza. Merito soprattutto della voce di Viljar, il vero valore aggiunto della formazione, di valore già di suo.
Dopo l’intro che sinceramente si poteva anche evitare, l’atmosfera si surriscalda immediatamente con “Blood Sacrifice” e veniamo travolti dalla tecnica mista ad echi black che ti scuotono da dentro e ti fanno uscire una voglia di iniziare a pogare con chiunque ti sia intorno.
Voglia che ti resta, e anzi aumenta, con la successiva “Condemnation”, con la batteria di Mats protagonista di un ritmo tiratissimo per tutto il pezzo e con dei richiami ai primi Voivod ed una spruzzata di Celtic Frost a dimostrazione che con gli strumenti ci sanno decisamente fare.
“Xolotl” è il titolo della terza traccia e rappresenta il dio azteco dei tuoni e fulmini. Questo dovrebbe bastare per descrivere il tenore della canzone, ma in più aggiungo che il basso di Johannes si diverte a duettare con la batteria in attesa degli assoli dei due chitarristi.
E “Black Rite” suggella la fatica dei quattro norvegesi con una chiusura di impatto, violenza e cattiveria degna delle migliori uscite degli anni ottanta.
Purtroppo un bel gioco dura poco e diciassette minuti passano troppo in fretta. Riavvolgere e riascoltare, si diceva una volta.
L’unico rischio che ora corrono è quello di avere creato delle aspettative molto alte. Ma ora che perfezioneranno il loro stile e avranno tempo per comporre altri brani, sono sicuro che ne verrà fuori una bomba.
Ragazzi non metteteci troppo. La pazienza è la virtù dei forti e in questo caso … sono un debole, anzi un debolissimo.



