DISTANT PAST – Solaris

Titolo: Solaris
Autore: Distant Past
Nazione: Svizzera
Genere: Heavy metal classic
Anno: 2024
Etichetta: Art Gates Records

Formazione:

Ben Sollberger – chitarra
Remo Herrmann – batteria
Lorenz Laderach – chitarra
Adriano Troiano – basso, voce
Jvo Julmy – voce


Tracce:
  1. End Of Life (Intro)
  2. No Way Out
  3. Warriors Of The Wasteland
  4. Sacrifice
  5. Rise Above Fear
  6. Island Of The Lost Souls
  7. Fugitive Of Tomorrow
  8. Speed Dealer
  9. The Watchers
  10. Realm Of The Gods
  11. Fire & Ice

Voto del redattore HMW: 7.5/10

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Heavy metal classico per questo album degli svizzeri Distant Past.

Attivo dal 2002, dopo un paio di demo all’esordio,  il quintetto è giunto al suo quinto album, Solaris,. Come si intuisce già dal titolo, è ispirato all’omonimo romanzo fantascientifico del 1961 ad opera dello scrittore polacco Stanislaw Lem. Uno che di fantascienza ne sapeva, parecchio.

I testi seguono fedelmente la narrazione del libro e, anche se non siamo in presenza di un vero e proprio concept, comunque ci avviciniamo molto.

Della formazione originale è rimasto il solo bassista Adriano Troiano, al quale si è aggiunto nel 2013 il cantante Jvo Julmy e in seguito Remo, Lorenz e Ben.

Atteggiamento intransigente e tradizionale verso il metal, i Distant Past non stanno a guardare la moda del momento. Dritti per la loro strada e fedeli alla linea tracciata, la band fa solamente bene a proseguire per questa via.

Questo è un lavoro che trasmette la passione per il metal e lo trovo tremendamente sincero. Mi piace questa devozione alle origini e questo tentativo ben riuscito di intrattenere in modo spontaneo e schietto. E, ovviamente, in modo professionale, non dimentichiamolo.

La voce di Jvo è particolare, bisogna abituarcisi, ma una volta fatto la si ama incondizionatamente.

Dopo l’intro di “End Of Life” si parte con le classiche sciabolate di chitarra a ritmo accelerato con le seguenti “No Way Out” e “Warriors Of The Wasteland”, il brano più heavy del disco. La travolgente galoppata metal continua e aumenta di ritmo con “Sacrifice” per poi trasformarsi  nella successiva “Rise Above Fear” in una gioiosa e giocosa (happy metal si può dire?) canzone. E qui il melodic metal entra in azione per un attimo e i due chitarristì si alternano quasi prendendosi in giro uno con l’altro.

E, se per un attimo il ritmo si è fatto più frivolo, con “Island Of The Lost Souls” si ritorna subito alla classicità e si ricomincia a pestare. Bellissime le atmosfere anni ottanta ricreate in “Speed Dealer” e altrettanto notevole la ballad vecchio stile di “The Watcher”.

Ma sì, un po’ di sentimentalismo non guasta mai. Ma quando pensi di rilassarti un attimo e tenere la mano della tua ragazza per sussurrarle dolcemente qualcosa di carino nell’orecchio, scherzetto, a metà canzone il pezzo cambia totalmente tono e ritorna ferocemente alla frenesia iniziale. E addio momento intimo, mannaggia a loro! E va beh, vorrà dire che ci si lascia la mano e si ritorna tutti e due a pogare.

“Fire & Ice” chiude questo album così come è iniziato, per la gioia degli scapocciatori e di chi indossa ancora il bracciale con le borchie.

Bella anche la copertina che ricorda, non so se volutamente, la trasposizione cinematografica del libro con la raffigurazione di un volto femminile immerso in un cosmo in subbuglio. Un plauso al creatore e artista Tomasz Moranski.

Solaris è un album heavy metal senza compromessi. Coinvolgente, da ascoltare al massimo del volume senza porsi troppe domande e senza farsi troppe cose mentali. Alle volte abbiamo bisogno anche di questo.

Non li conoscevo prima, ma credo proprio che andrò a recuperare la loro discografia. Un’immersione musical-fantascientifica che sono sicuro non mi deluderà.

E’ suonato bene, prodotto bene e mentre lo ascolti ti fa immaginare in versione da duro che indossa un giubbotto di pelle con i due pollici infilati nelle tasche dei jeans.

Per una volta godiamocela e basta. E cosa vogliamo di più, una birra? E allora prendiamoci anche quella!

Per restare in tema fantascientifico volevo terminare la recensione augurando a tutti e ai Distant Past “lunga vita e prosperità”, ma forse risulta po’ pacchiano ed è meglio lasciar perdere.

Sì, è meglio lasciar perdere.

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