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Otto anni dopo la pubblicazione di Thin Red Line, i Soul Demise tornano con un nuovo album. Di tempo ne hanno avuto abbastanza, quindi le aspettative per questa uscita erano alte. Detto ciò, onestamente si poteva fare meglio.
Against The Abyss è un disco melodic death metal che di melodic ha ben poco. La band evidentemente ha deciso di spingere maggiormente sulla parte death. Non che sia un errore, per carità, ma se proprio decidi di farlo, lo devi fare al meglio. Il ritorno al melodeath di Goteborg si avverte, ma non si “sente”.
Questo è il loro sesto album e comunque già il precedente non mi aveva entusiasmato. Le varie contaminazioni che avevano introdotto, che poco avevano a che fare con il loro essere e che alla fine non avevano apportato nulla di che al suono del gruppo, mi avevano fatto storcere il naso e riporre nel cassetto i loro lavori.
I primi quattro li avevo trovati molto belli e ben scritti, al punto che consideravo i Soul Demise la possibile melodic death metal band di punta del nuovo millennio. Come non detto, hanno bruscamente rallentato la loro produzione e sono calati in termini di qualità.
Mi sono avvicinato speranzoso, uno o due passi falsi li posso accettare, anche se l’ultimo buono è del 2009, e volendo essere generoso ora ho intravisto un passo in avanti rispetto agli ultimi due, ma proprio giusto un passo.
Da quando hanno cambiato etichetta hanno fatto un notevole miglioramento in termini di produzione, ma non altrettanto in termini di risultato complessivo finale.
La copertina non è affatto male, come d’altronde tutte quelle che hanno fatto. Non una grandissima fantasia, ma direi bene.
La band è in giro da parecchio, addirittura dal 1993 come Inhuman e dal 1998 come Soul Demise ed è sempre rimasta nel mondo underground.
Il solo Andreas Shuhmeier è presente sin dall’ EP d’esordio, ma tutto sommato, trattandosi appunto di un gruppo prettamente underground con le varie problematiche di sopravvivenza che si presentano in continuazione, non ci sono stati grandi stravolgimenti di organico.
Dodici brani per tre quarti d’ora di musica. Manca l’atmosfera che ti riporti ad una triste giornata piovosa e nebbiosa di novembre. Manca quello che per me è l’ingrediente principale per questo tipo di musica, la malinconia. Io quando ascolto melodic death metal devo avere lo sguardo fisso fuori dalla finestra e le mie sensazioni di mestizia devono venire tutte fuori. Qui non succede mai.
Pezzi aggressivi e pezzi rallentati, ma senza quella tristezza di fondo che dovrebbe essere sempre presente. Magari a qualcuno piace anche senza questa emozione, ma per come questo genere è nato e per dove si è sviluppato maggiormente, questa è una componente di base.
Poi che i musicisti sappiano il fatto loro è un altro discorso. Sono bravi con i loro strumenti e Roman ha una voce molto particolare e adatta al contesto. Questo non si discute.
Discutiamo piuttosto di quelli che sono forse i due pezzi che consiglierei a chi non vuole ascoltarsi tutto l’album dei Soul Demise. “Into The Abyss” è una buona apertura per il disco. Con la cupezza giusta e un senso di oppressione che viene trasmesso efficacemente e fa, all’inizio, ben sperare per il suo prosieguo, che purtroppo non si rivelerà alla sua altezza. E segnalerei anche l’ultima, “Veil Of Solitude”, più lunga delle altre e con dei cambi di tempo e delle soluzioni nei riff diversi dagli altri e più consoni a quello che vorrebbero proporre. È una chiusura che ti risveglia dal torpore della parte centrale.
Come detto in apertura, Against The Abyss è ascoltabile. Ma gli manca quel cambio di marcia, quel guizzo, quel qualcosa, insomma, che gli dia quell’accelerata che gli consenta di impennare ogni tanto per risultare meno monocorde.
La spinta aggressiva prevale troppo su quella melodica. Non credo abbiano voluto snaturarsi, piuttosto, forse, hanno preferito giocare sul sicuro puntando sulla parte che in questo momento sentivano più loro. Certo è che mi mancano tantissimo i passaggi improvvisi e sfumati dal death al melodic che erano presenti in In Vain e Blind, due album meravigliosi.
Otto anni di attesa sono tanti, sono lunghi quanto due mancate qualificazioni consecutive ai mondiali di calcio, e probabilmente quest’attesa ha aumentato la mia curiosità in maniera eccessiva.
Vedendo l’immutato modus operandi della nazionale, suggerirei di fare uscire prima il prossimo. Meno attesa uguale a meno aspettativa.



