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Voglia di thrash, quello vecchio, quello americano, quello bello! I Damnation da Torino hanno scelto questa via, quella delle emozioni che questo genere suscita ancora nelle viscere di tutti coloro che sono nati quando, in California, dei gruppi di giovincelli senza nulla da perdere “inventavano”, sviluppavano, miglioravano ed espandevano quello che sarebbe stato un nuovo tipo di metal che si distaccava dalla tradizione classica proveniente dal Regno Unito.
Lo fanno con Scream all My Hate, un album che rende omaggio a tutto ciò, cercando di rimanere sui binari delle sensazioni anni ottanta e “gridando tutto il loro odio” in poco più di quaranta minuti di violenza selvaggia che premia la loro dedizione a questo tipo di musica.
Dopo il primo Ep omonimo dell’anno scorso, quest’anno i Damnation decidono di fare il grande salto e pubblicano per Punishment 18 Records il loro debutto, come direbbe un giornalista sportivo, sulla grande distanza; il tutto con la collaborazione di Davide Donvito alla produzione e di Alan Douches alla masterizzazione. Il risultato finale è di livello e si sente.
La copertina è molto suggestiva. Una delle cinquanta illustrazioni del Paradiso Perduto, ad opera di Gustave Dorè, in originale in bianco e nero e qui riportata con dei forti toni di rosso . Si sa, il colore rosso trasmette aggressività, e se in questo caso danno al dipinto un’impronta più infernale, per quanto riguarda i testi, per scriverli, devono aver usato una biro di quel colore, perché violenza, ostilità e ferocia sono l’ingrediente principale dei loro temi. A quanto pare, mi sembrano alquanto nervosetti.
Un rumore bianco con l’ingresso improvviso di un riff in pieno stile slayeriano è “Under The Cross”, l’intro che ci introduce nel mondo dannato della band. “Scream All My Hate” è un pezzo con i controattributi. Riff avvolgente, assoli urlati di chitarra con scale a salire fino ad asfissiare le orecchie dell’ascoltatore, il basso dominante di Dave e la batteria di Alex in versione tritacarne per dare il via alle danze, un ottimo inizio.
“Bloody Eyes” parte subito in quinta e il ritornello ripetuto dal coro rimane subito in testa. Un intermezzo centrale con i suoni pesanti delle chitarre accompagnate dalle grida di Pi Kebrah. Riaccelerata con un bell’assolo pulito e finale con un’ultima impennata verso il traguardo.
Anche nella successiva “Damned” i cori sono coinvolgenti e vi posso assicurare, avendoli visti dal vivo più volte, che live rendono veramente parecchio. Mi piace assai questo uso “maschio” che fanno dei cori, molto thrash californiano.
Ed a proposito di resa dal vivo, arriviamo a quello che considero il pezzo migliore, “The Master, The Priest And The Death”. Ero curioso di sentire se sull’album rendesse allo stesso modo che sul palco. Eccome se rende. Assolo di Paolo veloce e preciso, soprattutto funzionale e non fine a sé stesso, e riff di Domenico bello pesante e thrash “che più thrash non si può”. Che pezzo ragazzi, nient’altro da aggiungere.
L’ultimo brano, “Dead Again”, è la rappresentazione della Second Wave Of Bay Area Thrash Metal mischiata al New York Thrash con all’interno un solo di chitarra che definirei il migliore dell’album. Si sente che Paolo ama il power. Un richiamo melodico, comunque, c’è sempre ed è dal sottoscritto sempre gradito.
L’influenza di Slayer, Testament, Exodus, ed altri vari ed eventuali si sente e non dà assolutamente fastidio. Non credo che i Damnation si siano proposti di rivoluzionare il thrash, quindi, se le varie “ascendenze” sono percettibili, ma rielaborate in chiave personale, vanno benissimo così. Il timbro “nervoso” e “aggressivo” del cantante è molto efficace, sul disco rende bene. L’unico appunto che mi sento di muovere è quello, magari, di variare maggiormente le linee vocali. Alla lunga tendono ad assomigliarsi.
Terminato l’ascolto si ritorna ai giorni nostri. Troppo legati al passato? Forse, ma il risultato finale è ottimo. Scream all My Hate è un disco che si ascolta godendo, che ti carica e ti fa gustare un sapore retrò che, per me che ormai sono abbastanza âgè, è un toccasana nelle giornate no. E’ il classico cd da sei operazioni: uno, inserire nel lettore, due, scaricare la tensione con uno scapocciamento continuo, tre, urlare nei cori insieme alla band, quattro, suonare air guitar durante gli assoli, cinque, disinserire il cd dal lettore e, sei, riporre il suddetto nello scaffale rigorosamente in ordine alfabetico altrimenti non si ritrova più niente. Semplice no?
Alle volte le cose semplici sono le migliori. I Damnation hanno capito tutto.




…ma in fondo è questo che ci piace,no? Una band che segue gli stilemi dettati dai mostri sacri ma aggiunge un pizzico di personalità, con rispetto. Grandi