Visualizzazioni post:356
Mi ha sempre colpito il fatto che le due band power dal suono più ‘tastierato’ provengano dalla Francia: gli Heavenly di Ben Sotto e i Fairyland di Philippe Giordana rappresentano, per gli appassionati, una sorta di ‘non plus ultra’ nella direzione di un sound sognante ed etereo, perfetto per le ambientazioni fantasy ma mai incline alla presa in giro o all’autocompiacimento.
I primi, però, sono di fatto fermi da 15 anni (anche se, qualche tempo fa, ho appreso che erano tornati almeno a tenere qualche concerto); i secondi… beh, i secondi hanno dovuto affrontare, nell’Ottobre 2022, l’improvvisa scomparsa di Philippe, sulla quale, per quanto ne sappia, non sono mai state date informazioni precise. L’altro membro storico Willdric Levin ha comunque inteso portare avanti la band e, circondato in buona parte da nuovi musicisti (le keys sono ora di Gideon Ricardo, che si è fatto notare – forse non benissimo – con i Woods Of Wonders, mentre dietro al microfono c’è l’inglese Archie Caine), è tornato in pista con questo nuovo disco, dall’evocativo titolo The Story Remains, che riprende quello di una delle loro composizioni più significative, ma ha anche un evidente significato simbolico.
Che dire: il timore che il sound ne uscisse completamente stravolto, e che si perdesse la magia dei precedenti dischi (fra i quali ci sono almeno due capolavori, The Fall Of An Empire e Score To A New Beginning), era concreto; del resto Philippe era il principale compositore della musica dei francesi. Ma già l’opener “To Stars And beyond” ci dimostra che i Fairyland sono tornati davvero, e che sono come ce li ricordavamo. Come dicevo in apertura, la meravigliosa ariosità delle tastiere e del sound è il vero trademark di questa band, che ritengo molto più ‘sinfonica’ di tante altre formazioni che puntano su orchestrazioni più ‘pompate’, ma banali e ortodosse. Il refrain non è forse il migliore del disco, ma ricordo che questa curiosa caratteristica era propria anche di “The Fall Of An Empire”, opener dell’omonimo album, quindi diciamo che i nostri rispettano una tradizione…
“Karma”, invece, è splendida senza se e senza ma: veramente una canzone che fa sognare, con il tappeto di keys che ci trascina lontano. “A New Dawn” opera uno spostamento minimo nei suoni che ci porta talora su lidi orientali, mentre in “Samsara” gli arrangiamenti sono una vera e propria rete di bellezza e melodia: senza mai esagerare in velocità, senza mai strafare, i Fairyland sono forse la band che meglio esprime la dimensione sinfonica del power metal, anche se stavolta con un uso decisamente contenuto del violino.
Briosa quasi fino ai Freedom Call (quasi, eh!) “Unity”, forse l’unico brano che, se non si può definire ‘guitar oriented’, ha almeno una presenza più corposa delle chitarre. La suite in questo tipo di dischi non è rinunciabile, e “Unbreakable” svolge bene il proprio compito: non è forse all’altezza della già citata “The Story Remains” o di “Score To A New Beginning”, ma attorno al sesto/settimo minuto ci sono dei fraseggi strumentali, potenziati da bellissimi cori epici, che valgono il prezzo del biglietto.
Le vere sorprese sono però alla fine del disco. “Postscript” è una rilettura strumentale dei temi musicali più belli composti da Philippe, e insomma, per chi conosca tutta la situazione c’è davvero da emozionarsi; la conclusiva “Suffering Ages”, molto più aggressiva rispetto agli altri brani, vede la partecipazione di Elisa C. Martin, già cantante nel debut della band, una delle voci più rappresentative della golden age of power metal a cavallo dei due millenni.
Per non fare un peana sperticato, comunico che “The Chosen Ones” è una canzone noiosetta e poco strutturata. Quindi i difetti nel disco ci sono. Ma non si può che salutare con partecipazione e una lacrimuccia “The Story Remains”, sperando che la band continui su questa strada, nel nome di Philippe e del symphonic power metal.