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Mi sono imbattuto in band che hanno fatto uscire il secondo disco dopo trentanove anni, altre che sono puntuali come una cambiale e ne sfornano uno ogni tre anni precisi e poi ci sono i Furnace: sei album, il primo del 2019. Addirittura nel 2019 ne hanno prodotti due, non si sa mai. Solo il covid nel 2021 li ha fermati. O hanno talmente tante idee che non riescono a stare fermi più di un anno, o forse sarebbe meglio che fermassero la produzione per più di un anno. La seconda.
Che i Furnace abbiano paura di essere dimenticati? Sarà questo che li spinge a essere così super-performanti? Non lo so, ma il rischio grosso che corrono è quello di diventare “dimenticabili”. Ho ascoltato varie volte il disco e sinceramente non mi ricordo quasi nulla e soprattutto faccio confusione con i precedenti.
Il gruppo svedese si è ritagliato, soprattutto in patria, un pubblico di nicchia che li segue costantemente ed entusiasticamente, ma questo tripudio numerico di album non aumenta quello che può essere il consenso al di fuori della Svezia. Calma ragazzi, meno, ma fatto meglio. Il meglio da ogni lavoro messo su soli tre dischi e ora sarei qui a parlare di una band di tutt’altra levatura.
Questa mania incontrollata di fare musica si evince immediatamente dal curriculum di Rogga Johansson, il cantante chitarrista, che se avete voglia di andare a controllare sul famoso sito-archivio da cui tutti noi prendiamo le informazioni sul mondo del metal, noterete che fa parte di una quarantina di progetti (contati uno per uno) ed è un ex di un’altra ventina. Un caso da studiare.
La proposta melodic death metal del trio risponde ai classici canoni richiesti. Non ho notato miglioramenti sostanziali dal lontanissimo 2019 e onestamente Eternally Enthroned mi pare il più debole della loro produzione.
I brani sono omogenei con elementi heavy metal tradizionale e rallentamenti gothic/doom su dei testi fantasy che sono forse la parte più originale. Melodic death e racconti mitologici sono un abbinamento interessante. Su questo punto i Furnace hanno fatto centro.
L’album si può considerare a tutti gli effetti un concept. La storia di un re tirannico che rende la vita difficile al suo popolo. Il prescelto dal re tra vari giovani guerrieri parte per una missione ben precisa: incontrare la Dea della morte e convincerla a risparmiare il proprio re dalla sua inevitabile morte. Attraverso varie prove e difficoltà riesce a trovare un’arma capace di uccidere le divinità. Gli dei donano al re l’agognata immortalità. Ma quando questo dono si materializza, viene rivelato il rovescio della medaglia. Egli sarà immortale solo finchè sarà seduto sul suo trono. Egli sarà abbandonato da tutti e destinato a questa maledizione per l’eternità.: a rimanere letteralmente ed eternamente seduto sul suo trono, Eternally Enthroned. Ed ecco anche spiegata la copertina ad opera di Julián Felipe Mora Ibáñez. Il re in versione “intronato”.
La storia è abbastanza avvincente, forse un po’ standard, ma comunque interessante. La musica meno. E’ un melodi death metal con molte parti melodic e molto simile dall’inizio alla fine. Non saprei che brano segnalare. Mi sento come Papillon quando, nel film, viene interrogato su chi gli abbia procurato il cibo: “Non ricordo. Non ricordo niente. Ci provo, ma …”. Non un album da buttare via, ma neanche da ascoltare a tutti i costi.
E’ che dovrebbe essere come una colonna sonora, ma trovo una certa slegatura tra testi e musica. Come detto sopra, alla fine rimane impresso ben poco. La durata è poco meno di quaranta minuti e, considerando che il quarto disco, The Casca Trilogy, è di poco superiore alle due ore, tutto sommato meglio così.
Premio la passione e la voglia che indubbiamente il gruppo riversa nei suoi lavori. La sufficienza, come si diceva a scuola, è per l’impegno. E sicuramente i Furnace si impegnano parecchio. Forse anche troppo!



