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Un trio. Nessuna voce. Ispirazione? I suoni della Jimi Hendrix Experience e dei classici della fine degli anni sessanta.
Aggiungeteci una forte inclinazione verso il jam psichedelico heavy blues ed allora avrete un’idea di quello che vi aspetta ascoltando Soundtrack Of A Silent Land, ultimo album dei Rainbow Bridge, uscito il 27 giugno per Argonauta Records.
Le premesse sono intriganti o no?
Se avete voglia di vivere il tipo di emozioni chitarristiche e sonore di quell’epoca pioneristica del rock, tuffatevi nel loro universo e troverete pane per i vostri denti.
Feedback schiaccianti e riff incalzanti si alternano a dinamiche sinuose, in cui basso e batteria si inseriscono con grande intelligenza per quasi nove minuti. Sembrano più pezzi legati insieme, ma in realtà è “Gaba”, traccia numero 2 dell’album.
A questo punto la band ci propone di “abbracciare il cactus” (è una metafora che indica la necessità di affrontare situazioni difficili o scomode per favorire la crescita personale o professionale, ndr) – “Hugh The Cactus” – con un effetto chorus/pitch-detune (spero di averci azzeccato) spettacolare che insieme alla scala melodica della canzone, creano un ritmo dissonante ed incerto, da cui prende forma un ritornello quasi grunge. Nel mezzo scivoliamo nel vuoto. Rimane la chitarra sola con il suo crunch quasi a clippare, ma poi tutto riprende e si scatena il solo. Basso e batteria corrono (guardate il video: mooooolto bellino e caratteristico del disco intero).
Da notare la qualità sonora dell’acustica “Shoreline”, un delicato tratto di matita in grado di disegnare uno scenario marino in cui la sua costa, ben illuminata e affrontata dai cristalli del mare, affonda sotto il peso della luce lunare. In lontananza qualche attività umana.
La sua sorella gemella è probabilmente “Sunrise Moon” – perché non è stata messa accanto? – dove l’atmosfera è meno nostalgica ma più “alticcia”. Dobbiamo dimenticarci di qualcosa che non ci fa stare bene, o quanto meno anestetizzarlo. Un drink, forse più d’uno, ma soprattutto l’emozione di suonare insieme: solo questo è il lenitivo giusto all’affacciarsi dell’oscurità.
Un giro semplice su cui continuamente improvvisare e poi ritornare più volte.
Il risveglio è dolce ma stanco. Occorre un po’ di tempo per capire che è mattina, dove siamo, cosa è capitato: “A Loving Sun” è lì ad indicarcelo.
Un ritmo incalzante ci traghetta verso la vita del giorno.
Siamo ancora vivi. Siamo ancora viventi.
Una bella giornata trascorsa, in viaggio insieme ai Rambow Bridge, molto più di una semplice silent band, che arricchisce la scena rock-psichedelica dell’underground italiano.
Ascoltateli.



