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Devo confessare che la mia avventura nelle fonderie del metallo più pesante è azzardata… Non ho la storia alle spalle, la conoscenza, l’autorevolezza per recensire e convincere voi, puristi di Death e Black. Ma mi attira qualcosa, mi accomuna quella voglia di non stare nei parametri, nelle estetiche, di cercare rapporti diversi, più da umani che pur di riconoscersi si mascherano da Male, si segnano per sempre la pelle.
E allora me la rischio e mi butto dentro al Frantic Fest 2025, purtroppo solo per i primi due dei tre giorni, per fare un bagno nella lava infernale (in realtà, l’aria del pomeriggio era già abbastanza rovente) e vedere se ne esco vivo.
Vi anticipo il verdetto satanico. Adepti, fatevi una risata. Le mie orecchie hanno sofferto per la maggior parte del tempo, con splendide eccezioni quando i legami con il rock duro classico erano più forti o dove era spinta (raramente) la contaminazione. Purtroppo le parole grugnite ed incomprensibili non riescono a farmi appassionare e il rombo cacofonico di corde e pelli seviziate lo trovo troppo monotono. Però… che energia. Che dedizione. E spesso che talento.
E che meravigliosa organizzazione! Il più piccolo festival che abbia mai visto dopo la sagra di Sant’Eusebio ma tenace, amichevole (perfino nei prezzi), fluido, inclusivo, quasi viziante… d’altra parte, le tentazioni luciferine si esprimono in mille inattese forme. Vivat in morte in aeternum, o almeno fino ai prossimi anni, dove continuerà ad essere un faro di buio nella luce ingannevole della musichetta da strapazzo. L’alchimia di generi e stili è solidamente fedele alle tradizioni più pagane, con cabale molto blasonate. Però ci sono variazioni improvvise che rendono la pozione molto interessante, a partire dagli headliners più melodici fino a pierini goliardicamente festaioli. Questa qualità potrà solo attirare altra qualità nel futuro.
La vera meraviglia è però nella melma umana di spettatori e volontari, gli uni che trasudano barcollanti dalle tende del microcampeggio, gli altri che si annidano dietro le spine della birra o al banco della mercanzia, tutti pronti ad aggredire con una simpatia ed una allegria spiazzante. Non c’è dubbio, tra le grida di dolore dei dannati sul palco e la bolgia punitiva e spaccaossa del pogo, questo è il pubblico più bello (spesso solo dentro), amorevole e ben educato che ci sia. Il fascino per questa dicotomia non mi lascerà più.
Sarebbe ora di trascinarvi dentro grandi disquisizioni sulle tante notevolissime band che hanno calcato i due palchi ma, come avrete capito, è meglio che parli poco per evitare malefici. Per fortuna sono principalmente un fotografo, quindi mi sbilancerò sulle immagini.
GALLERIA FOTOGRAFICA COMPLETA, IN ALTA RISOLUZIONE
Die Sünde
Il malgiorno si vede dal crepuscolo e, nonostante, il solleone, i peccatori padovani partono fortissimo e portano il delirio con lente e oscure nenie ma forti, intense e psichedeliche. E’ bello che si apra con il verbo italico (pur se confuso nel canto straziato) e la nota più bella è che la tenda del palco secondario è già piena di un pubblico attento e coinvolto, chiaro e rispettoso segno di un “a noi ci frega di voi” rivolto ai musicisti. Che danno molto in cambio.
Amalekim
L’impressionante messa in scena non lascia dubbi, dietro al grande sigillo metallico si celano cultori del Black più avvolgente. I loro canti convincono, chitarre agili e irrequiete ma dal passo cadenzato che trasporta in altre dimensioni. Altro inizio positivo per l’attesa formazione italo-polacca, con 3 album alle spalle. Si percepisce molta intensità e, leggendo, scopro che è un gruppo eterogeneo, relativamente giovane ma molto creativo, che cura molto il messaggio e pretende attenzione. Esattamente questa è l’impressione.
TodoMal
No, non va tutto così male. Si calmano per un momento i dolori più acuti mentre la formazione spagnola, con una certa carica di simpatia latente, ci porta in un doom appena accennato, sempre a flirtare con ballate pinkfloydiane e suoni melliflui da Stoner Rock, identificabile anche con il loro aspetto senza pretese sceniche. Si comincia ad intuire che il Frantic osa accostare generi e sfidare le orecchie dei puristi.
Necrodeath
I primi a salire sul palco principale lo fanno con una enorme carica di emozione e passione. I Necrodeath compiono 40 anni di carriera e vogliono chiudere su questo numero tondo, sarà l’ultimo tour. E come chiudono! Quattordici LP, di cui l’ultimo, Arimortis, appena uscito, non hanno rallentato questi thrashers mortiferi che offrono una lezione magistrale di gestione del palco e di trazione musicale. Mi confidano che qualche settimana fa la scaletta era stata aggiustata per evitare eccessi di velocità. Oggi niente di tutto questo, questi Signori del Rock si rifanno ai suoni più classici, alle distorsioni con le quali abbiamo risonato fin da piccoli, ma mai scontati e, giustamente, amatissimi dal pubblico. Peso, il batterista, è membro fondatore, basso (GL) e chitarra (Pier Gonella) risalgono a questo millennio, Flegias, il cantante, ha preso il testimone nel ’98. Ma è ovvio come la tradizione sia stata tramandata. Flegias, prima del concerto, è incuriosito dal diavoletto che decora la mia macchina fotografica. Ho il piacere di donarglielo come portafortuna per i prossimi 40 anni di musica che Di…avolo gli possa concedere!
Replicant
Dal New Jersey ci arriva questa durissima formazione che del virtuosismo ha fatto bandiera. La dissonanza è l’ingrediente acido che coltiva un violento rito sonoro, qui siamo alla metamusica. Non c’è piacere puro nell’ascoltarla ma piuttosto nel capirne le ragioni del dissenso e nell’ammirare la perizia con cui ci è consegnata come una mazza ferrata sui denti. Corde e batteria che possono impazzire in qualsiasi momento, a velocità strepitose, ma sempre insieme, dialoganti o litiganti. Per un neofita come me è una sessione sadomaso ma sicuramente trasmette emozione. Bene, sono ancora vivo.
Brujeria
¡Vatos! Scherzare, per i Brujeros, è una cosa seria! Con questa superband ultratrentennale non sai mai chi ci troverai dietro le bandanas che coprono i volti. Oggi abbiamo trovato un tesoro di energia e brutalità. Per chi non lo sapesse, raccontano a tutti di essere una gang di trafficanti messicani e, sotto questo travestimento che gli permette tutta la cattiveria di ‘sto mondo e quell’altro, irridono i potenti (giusto un Trump… un Pablo Escobar…), i privilegiati, i classisti con un chiaro discorso politico nostalgico-rivoluzionario, spesso iperbolico e di protesta celata da adulazione. Hanno ironia da vendere ma non mollano mai l’aria da duri. Il suono spesso sfiora lo Skate Punk ma mantiene la rotta del Death, il dinamismo sul palco è altissimo. Basso pauroso. Non c’è traccia degli scherzi musicali che, qualche volta, stupiscono chi ascolta i loro dischi (ragazzi, “Don Quijote Marijuana” vi farà cascare la mutanda!). A parte la registrazione trasmessa in chiusura della “Macarena” rivisitata, anche questa al gusto di “ingredienti naturali”. El Sangron cerca il pubblico continuamente, come se fossero compratori del suo spaccio. Il suo è un ritorno al centro del palco e fa un ottimo lavoro nel riempire il vuoto lasciato da El Brujo, che è andato a spingere i papaveri da sotto da circa un anno e viene omaggiato con affetto. Ci siamo veramente divertiti. E ci hanno fatto pensare che essere peones è un problema di ingiustizia. ¡Que viva la brujeria!
Pyrrhon
C’è una connessione culturale e geografica con i Replicant. D’altra parte i due gruppi si guardano dalle sponde opposte del fiume Hudson e la voglia di sperimentare è la stessa. Pyrrhon, eredi di un filosofo che non giudica, rifugge il dogma e cerca sollievo nella neutralità intellettuale. E così questi americani ci stordiscono con una esibizione muscolare, eclettica e che di nuovo ci chiede di non giudicare con l’estetica ma di assorbire l’impeto, tratto dalla passione con cui è curata la tecnica strumentale.
Ihsahn
Sale in cattedra il Professore. Osannato per il suo passato con Emperor, attesissimo dal pubblico, a volte screditato o lodato per la tanta contaminazione. Ma è lui col suo stile unico, compassato nell’aspetto ma brillante nella resa musicale. Il Prog lo ha sicuramente conquistato e, mentre mantiene proprietà vocali nerissime, l’impeto musicale è fortemente orchestrale. Nel frattempo, con la sua indole calma e in netto contrasto con il suo messaggio musicale, Ihsahn ci lascia disquisire a vuoto sulla purezza mentre si diletta ad evolvere il genere con una perizia difficile da eguagliare. Nessuno è deluso, anche se qualcuno non lo ammette…
Sigh
Sigh
Ricercatissimi dal pubblico, tanto che la piccola tenda diventa una metropolitana di Tokyo nell’ora di punta (e fotografare è difficile), questi mitologici esseri escono dalle quinte vincendo immediatamente il premio per i migliori costumi. C’è tutto, tradizione e nobiltà, culto guerriero e horror nipponico, manga, spiritualismo e futurismo. Per non parlare delle due bellissime bambine che infestano il palco con la loro teatrale simpatia (e un pò d’impaccio). Musicalmente, sono sbarellatissimi come solo gli estremorientali sanno fare, ma non è una sorpresa perchè lo fanno da più di un quarto di secolo. Sperimentano con fiati, composizioni disciplinatamente anarchiche, ritmi sussultori, schizzi di reggae e vocalizzi logorroico-schizofrenici veramente d’impatto. Arigatō! (Nota un pò spocchiosa, perdonatemela… Vi prego, il nome si pronuncia “saih” e non “sig”).
Zeal & Ardor
Lo ammetto, sono venuto per loro. Le mie orecchie verginelle sono state adescate dal gospel di Frà Manuel Gagneux e “Götterdämmerung” è stato il mio diavolo tentatore verso i suoni più dannati. Perchè fuggire dal demonio se puoi abbracciarne le gioie? E allora mi lascio rapire dai sei incappucciati e dal loro rituale maledetto. Spettacolare l’intensità sul palco, specialmente del vocalist Denis Wagner e del chitarrista Tiziano Volante. Ma la coralità è il tarocco vincente di questa cabala, la ritmica è spietata e inesorabile, il trio di voci è calibrato perfettamente. Non sarà certo il gruppo tecnicamente più impressionante dell’evento, però che originalità! Puristi perdonatemi, io li metto nel gotha di quei musicisti che hanno osato l’impensabile e hanno tracciato il solco. Nirvana, Rage Against the Machine, azzardo i Led Zeppelin. Dopo queste bestie c’è l’evoluzione della specie o l’estinzione.
Tenebro
Hanno fatto esattamente quello che dice il titolo… Hanno portato un buio pesto pazzesco sul palco (difficilissimo fotografare), nei suoni e nell’aspetto da B-movie di qualche decennio fa. Hanno l’orrore nel sangue e lo spruzzano con riff pesanti sul pubblico stoico, rimasto invicto a qualsiasi fatica fisica, mentale, aurale. C’è una chitarra che scava le tombe per resuscitare i morti, una voce che travalica le dimensioni. Mi aspetto che si apra un portale che libera demoni ma invece procedo indenne verso il mio camper, ora invaso dagli incubi ma anche dalla voglia di vedere l’alba domani… perchè poi verrà il tramonto!