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Gli Intrepid sono un gruppo estone proveniente da Tallin ed è il primo gruppo di quelle parti che sento nominare non conoscendo assolutamente la scena metallica di quelle zone. Scopro che hanno fatto un tour nel 2024 con i Nile e i nostrani Hideous Divinity, suonano death e quindi parto curioso e ben predisposto.
Si sono formati nel 2016, quando i membri avevano solo quindici anni, e Juxtaposition è il loro secondo album e che viene pubblicato in modo indipendente. Passione e voglia ne hanno parecchia visto che continuano a produrre dischi senza un’etichetta di supporto. E questo per quanto riguarda i dischi. Per quanto riguarda i due Ep prodotti, invece, di etichette ne hanno avute addirittura due differenti. Boh.
Purtroppo il risultato finale di Juxtaposition è abbastanza scialbo e risulta un lavoro ordinario senza guizzi interessanti o spunti particolari che catturino l’attenzione dell’ascoltatore. Un disco death metal con una scrittura basilare, suonato abbastanza bene ma, purtroppo, prodotto abbastanza. anzi molto, male.
Il senso di normalità assoluta pervade l’ascolto dall’inizio alla fine senza riuscire a dare mai un sussulto. Un lavoro da ragionieri, alle prese con una montagna di scartoffie da timbrare in un ufficio senza finestre, penso che trasmetta la stessa adrenalina che prova un ascoltatore che riesca ad arrivare alla fine del disco. Death metal ce n’è tanto in giro, troppo, e difficilmente Juxtaposition riuscirà ad emergere in un mercato ipersaturo come quello di questo genere.
Poi, felice di essere smentito, ci mancherebbe.
In questa decina d’anni, degli Intrepid originali ne sono rimasti solamente due, Madis Kaljurand alla batteria e Simo Atso alla chitarra. Nel 2017 si è aggiunto l’attuale Siim Soodla al basso e soltanto l’anno dopo sono riusciti a trovare un cantante in pianta stabile, Raiko Rajalaane. Tre anni fa hanno completato la formazione con la seconda chitarra di Aldo Jakovlev.
La produzione è il vero tallone d’Achille. Monotona e piatta con suoni a tratti confusi. Proprio non male direi.
E la copertina è … rossa. Non aggiungo altro.
A livello compositivo mancano le idee e le ripetizioni sono tante. I cambi di tempo sono parecchi, ma sembrano messi lì, non dico a caso, ma quasi.
Il disco si apre in maniera violenta e aggressiva. “Blood Means Nothing” è un pezzo che, tutto sommato, lascia ben sperare. Verso la fine c’è un bell’assolo di chitarra e, pur non gridando al miracolo, l’attenzione e l’interesse vengono catturati.
Già dalla seconda, “Ciphered”, si inizia a rallentare. Brano più melodico e inizio di piattezza. “Nocturnal Tones Of Grey” continua a ritmi bassi e con “Sanctimonius” si comincia ad aver voglia di timbrare le scartoffie sopracitate. Da qui in poi, come direbbe una vittima di rapimento alieno: “non lo so, non mi ricordo più niente”. Eh sì che l’ho ascoltato più volte, ma da quel punto in poi, non mi rimane impresso nulla. Non che mi venga voglia di spegnere, è che non mi viene proprio voglia di niente. Mi spinge ad avere la stessa concentrazione di una mucca che guarda passare un treno.
“Sensationalized” ha un momento che ti fa alzare il sopracciglio e ricordare che stai ascoltando un disco. Ovviamente è il pezzo più corto con una durata di meno di due minuti e quindi rimani con il dubbio se l’hai sentita davvero o te la sei solo immaginata.
Non riesco a cogliere la direzione che voglia prendere questo disco, non ci riesco proprio.
Non è un album che si possa definire brutto. Ma è come mangiare del bollito senza pelle e salse di contorno. Non stai più mangiando e degustando, ma ti stai solamente nutrendo. Intrepid cominciate ad usare almeno il sale.
La sufficienza è perché comunque ci credono e continuano ad andare avanti con i loro mezzi. Certo sarebbe bello che andassero anche un po’ più avanti.