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Una proposta audace quella che ci propone il polistrumentista australiano Philip Brown, che con il progetto Waves Without Sound sforna il disco di debutto Escape, album che passa dal rock atmosferico ad un metal progressivo pieno di tecnica, con intermezzi folk acustici e sprazzi di black metal.
L’album, missato da Kevin Shirley (Dream Theater, Iron Maiden) e masterizzato da Brett Caldas-Lima (Ayreon, Devin Townsend), mostra tutto il lato artistico del buon Philip che si è occupato di voci chitarre e tastiere, dietro alle pelli da il suo apporto il batterista australiano Robin Stone.
Ora, come avevo detto qualche recensione fa, non sono un grande amante dei brani lunghi, a parte qualche rarissima eccezione, quindi quando mi è arrivata la promo e ho letto…cinque brani per 44 minuti… diciamo che ho avuto delle crisi isteriche ed evocazioni mistiche, per fortuna poi il buon senso ha prevalso e devo dire che ne è valsa la pena, ci sono talmente tante variazioni di atmosfera e ritmo che l’ascolto non risulta pesante, anzi, riesce ad essere fluido.
L’opener “Lost” è un brano che mischia melodia, sfuriate estreme e una buona dose di orchestrazioni e melodie che rimandano vagamente ai The Cure (con tutte le dovute proporzioni), la successiva “Bond” è un trip di 12 minuti, dove il black metal si mischia al prog con assoli alla Petrucci e intermezzi acustici e melodici, sicuramente il brano più rappresentativo. Con “Gone” i ritmi rallentano e ci troviamo davanti ad un brano con forti contaminazioni folk mentre con “Pure” si ricalcano quei sentieri creati dalle prime due tracce. “Away” chiude il lavoro e con i suoi 13 minuti è il brano tecnicamente più complesso, un’apprezzabile suite prog-estrema.
In conclusione, un disco consigliato a tutti gli amanti di Opeth, Dream Theater, Alcest, Anathema.