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Rieccomi al Metalitalia Festival, poche ore dopo aver assistito all’abbuffata del day one. Ieri è stata una giornata memorabile. Difficile che si ripeta. Diciamo che tra le due date, quella di ieri era più nelle mie corde, ma quella odierna dedita al power, prevalentemente italiano con ben sei gruppi nostrani in cartellone, mi attira comunque. Giungo con un’ora d’anticipo davanti ai cancelli e vedo una scena surreale. Quattro ragazzi a cavallo di draghi e pony gonfiabili muniti di spade di plastica e spugna, videocamera e microfono per delle interviste. Divertente preludio a quella che si preannuncia una dodici ore senza sosta di fantasy e affini.
Gli Stratovarius sono gli headliner, e sono un po’ come i Blind Guardian. Dove li metti, stanno. Vanno bene dappertutto e loro dappertutto ci vanno davvero. Soprattutto in Italia. Un mese fa erano al Wondergate. Evidente che in Italia, come si usa dire, si mangi bene.
Insieme a loro troviamo i Rhapsody Of Fire, i divertenti Twilight Force, i Vision Divine con il divino Michele Luppi (fortunatamente non c’era mia moglie, che lo adora, altrimenti sarebbe stata cacciata per molestie verso il povero Michele). E ancora, i grandi Elvenking, il ritorno degli Ancient Bards, i Moonlight Haze e gli SkeleToon.
Consapevole che un’altra giornata campale di festival distruggerà la schiena mia e pure quella del mio compagno di concerto Marco, ci siamo premuniti di effettuare esercizi di stretching atti a preparare le nostre articolazioni a reggere il peso della fatica. O li abbiamo fatti male, o abbiamo sbagliato esercizi, fatto sta che non sono serviti a nulla. A metà giornata eravamo di nuovo doloranti e quasi deliranti. Conclusione: lo stretching è sopravvalutato!
Con un leggero ritardo aprono le porte e prendiamo posto con calma. Oggi non ci sono meet and greet fino alle sedici. Ma è anche vero che il primo gruppo inizia alle tredici e trenta, quindi calma sì, ma non troppa.
E difatti è già ora. Tredici e trenta spaccate, si spengono le luci e comincia il secondo e ultimo giorno del Metalitalia Festival.
Power a catinelle.
Iniziamo presto e iniziamo bene. Sono contento di rivedere a distanza di un mese Tomi Fooler e Simone Martinelli. Avevo avuto modo di assistere, alla Festa Bikers, al loro concerto con i 7Th Guild e l’ottima impressione che mi avevano lasciato ad agosto si è ripetuta quest’oggi.
Gli SkeleToon sono una band formatasi nel 2011 e con cinque album all’attivo. L’ultimo è di quattro anni fa, quindi direi che sia ora di darsi una sveglia e di farne uscire un altro.
L’ora è inusuale, oserei dire che sia un po’ prestino, ma i cinque impavidi non si lasciano intimidire da questo particolare e, con già un nutrito numero di persone presenti in sala, ci regalano una mezz’ora energica e coinvolgente.
La voce di Tomi non la scopro io, la si conosce e… cos’altro vogliamo aggiungere? Lui, come altri quest’oggi, rappresentano l’eccellenza dell’ugola in Italia. Vogliamo discuterne? No, è così e basta.
Cinque i brani in scaletta e ottima la loro esibizione. Tre dall’ultimo disco, The 1.21 Gigawatts Club, mentre dai primi due lavori non è stato proposto niente (d’altronde il tempo quello era). E che dire, “Nemesis” è sempre “Nemesis”, il pezzo perfetto per chiudere. Ed è quello che preferisco, quindi bene così.
Simone è un bravo solista, assoli ben eseguiti e precisi. Un plauso anche a Henry alla batteria, Fabrizio alla ritmica e Francesco al basso.
Tempo a disposizione poco, qualità tanta. Bravi SkeleToon, ci si rivede, spero, anche in qualche altro concerto. Possibilmente con più tempo a disposizione e anche, direi, più verso sera.
Scaletta SkeleToon
01. Holding On
02. 2204
03. We Don’t Need Roads (The Great Scott Madness)
04. The Truffle Shuffle Army: Bizardly Bizarre
05. Nemesis
Back To The Future
Formazione SkeleToon
Tomi Fooler – Voce
Fabrizio “Fabbro” Taricco – Chitarra
Simone Martinelli – Chitarra
Francesco Ferraro – Basso
Henry “Sydoz” Sidoti – Batteria
I Moonlight Haze hanno dieci minuti in più a disposizione rispetto al gruppo precedente. E la band ne approfitta con una bella scaletta di nove pezzi per metà dedicati all’ultima loro uscita, Beyond.
Ho fatto l’errore di mettermi praticamente in transenna. I suoni come al solito erano impastati. Spostatomi verso il centro sono migliorati, anche se purtroppo la qualità non era ancora ottimale. Anche oggi abbiamo dovuto aspettare gli ultimi gruppi per arrivare ad avere un suono accettabile.
Comunque, tornando ai Moonlight Haze, è proprio con il brano che dà il titolo al disco che iniziano il loro viaggio in versione symphonic/power metal che ci accompagnerà nel loro metallico paesaggio lunare.
Grande la prova di Chiara che ha ringraziato a più riprese il pubblico e che ha voluto sottolineare la sua emozione, per lei che è di casa, di suonare a questo evento.
E quanta grinta ed energia per Alessandro che, incurante del fatto che più tardi dovrà tornare sul palco con gli Elvenking, non si risparmia un secondo attraversando in lungo e in largo il palco. Ottimo affiatamento per i due chitarristi Alberto e Marco e altrettanto ottimo l’apporto per quest’oggi di Luca Setti alla batteria.
Classico il finale con i due pezzi da novanta “The Rabbit Of The Moon” e “We’ll Be Free”.
Hanno scaldato a dovere un pubblico già carico dall’esibizione precedente e mantenuto alto il livello di adrenalina che era già in circolo. Compito non facile, ma portato magistralmente a termine con successo.
Una chiusura coi fiocchi che impacchetta deliziosamente il regalo del bellissimo live che i Moonlight Haze ci hanno donato.
Scaletta Moonlight Haze
01. Beyond
02. Tame The Storm
03. Chase The Light
04. Till The End
05. N.A. (Do Not Apologize)
06. Ad Astra
07. Awakening
08. The Rabbit Of The Moon
09. We’ll Be Free
Formazione Moonlight Haze
Chiara Tricarico – Voce
Marco Falanga – Chitarra
Alberto Melinato – Chitarra
Alessandro Jacobi – Basso
Luca Setti – Batteria
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Dopo sei lunghi anni tornano gli Ancient Bards. E meno male, e che ritorno! Finalmente assistiamo nuovamente ad un concerto di una band storica con alle spalle quasi vent’anni di attività. Il nuovo album ha visto la luce ad aprile di quest’anno. Il titolo è Artifex ed è un gran bel disco. Poche storie e poche chiacchiere, la band fa sul serio.
E qui hanno una voglia pazzesca di dimostrare che gli antichi bardi non si sono dimenticati di come far emozionare ancora il proprio pubblico con il loro symphonic power metal.
La tensione è subito sciolta con “Through My Veins”, un pezzo ad alto contenuto ricostituente che serve a far passare la paura e a mettere le carte in tavola. Si inizia con questa, chiaro a tutti? Oggi si picchia e si suda, è passato troppo tempo e dobbiamo recuperare quello perduto.
E allora non ci si ferma. “Soulbound Symphony” fa scattare e ballare tutti i presenti. Sara, Simone, Federico e Daniele non hanno nessuna intenzione di mollare un centimetro.
I ritmi continuano ad essere vorticosi. “Impious Dystopia” è un’altra cavalcata solenne caratterizzata dai momenti malefici di Simone e dalla soavità di Sara. Due voci, un cuore. Pazzeschi.
“Across This Life” ci mostra, se mai ce ne fosse bisogno, che l’epicità dei loro pezzi riesce a trasportarci in cima ad una montagna, per sentire fieramente il vento sulla faccia ascoltando ad occhi chiusi i loro cori e la loro musicalità. Si sogna. I ragazzi ci fanno sognare.
E dopo i ringraziamenti a Danilo Arisi al basso (degli Avelion… a proposito, li ho ascoltati al warm up e sono molto bravi) e Luca Venturelli dei Trick Or Treat alla chitarra (non credo ci sia bisogno di aggiungere altro, chi non lo conosce cambi canale, il power non fa per lui) ci salutano con l’ultimo pezzo, “Unending”.
Ed è quello che ci auguriamo, che storia degli Ancient Bards sia senza fine.
E speriamo anche senza altre lunghe pause. Così, solo per farlo presente.
Scaletta Ancient Bards
01. Through My Veins
02. Soulbound Symphony
03. Fantasy’s Wings
04. Impious Dystopia
05. The Birth Of Evil
06. Across This Life
07. Unending
Suite Of Requiem And Solace Artifex
Formazione Ancient Bards
Sara Squadrani – Voce
Simone Bertozzi – Chitarra
Luca Venturelli – Chitarra
Danilo Arisi – Basso
Federico Gatti – Batteria
Daniele Mazza – Tastiera
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Per me è sempre un piacere rivedere gli Elvenking. Reader Of The Rune – Luna è semplicemente un disco clamoroso. Li ho visti dal vivo e ascoltati su disco millemila volte. In fondo si sono formati nel 1997 e di tempo ne è passato. Oggi sono curioso di vedere se, per qualche strana congiunzione astrale, riescono a sbagliarne uno, così, tanto per fare statistica. E niente, anche questa volta concerto da paura e statistica ferma a zero. Si potrebbe dire che sarà per la prossima volta, ma non ci conto, e soprattutto non ci spero, sia chiaro. Questi non ne sbagliano una. La prima volta che li vidi ero giovane e sbarbato, che ricordi.
Ma tornando al presente e alla loro esibizione, non posso che rinnovare i miei complimenti e la mia stima per un gruppo che non risente del passare del tempo. Purtroppo, anche per loro i suoni non erano ottimali, con momenti dove il violino ti trapanava il cervello per il suono talmente alto che aveva, ma che ci possiamo fare? In questo posto funziona così. Da sempre.
Damna non avrà l’estensione vocale degli altri cantanti di oggi, ma il suo carisma, la sua personalità e il suo modo di interpretare i brani non è secondo a nessuno. Tiene il palco magnificamente e altrettanto lo fanno i suoi compagni di “scorribande”. A proposito, riecco Alessandro, in versione Jakob, a macinare nuovamente chilometri e a giocarsi il suo secondo tempo.
La partenza è affidata a “Throes Of Atomement” ed è subito festa. Si salta e si canta senza sosta.
Pezzi come “Pagan Revolution” e “Silverseal” non permettono di riposarti nemmeno un secondo. Non si può stare fermi ad un loro live. Quando partono i ritornelli il corpo inizia a muoversi da solo.
Quando inizia “Draugen’s Maelstrom” sappiamo tutti che siamo alla fine. E allora, con gli ultimi residui di forza rimasta, alziamo le corna al cielo e partecipiamo all’ultimo rito musicale di questo gruppo di musicisti che ci ha riunito un’altra volta intorno ad un falò, a vivere i loro racconti in versione folk metal di una rara e brillante bellezza. Arrivano da Pordenone, io sono piemontese, ma le mie origini paterne sono friulane (il mio cognome è tipico di quelle parti) e mi sorge un dubbio sul report: non è che per caso si avverte la mia assoluta mancanza di imparzialità verso di loro? Nel caso, fate finta di niente.
Ora, per colpa degli Elvenking sono a pezzi e mancano ancora quattro gruppi. Siamo appena a metà. Ho saltato talmente tanto che neanche quando in gioventù giocavo a pallavolo riuscivo a tenere questi ritmi. La prossima volta che vi incontro ad un concerto, mi dovete una fascia elastica lombare del Dr. Gibaud. Una di quelle buone.
Scaletta Elvenking
01. Throes Of Atonement
02. Pagan Revolution
03. Silverseal
04. Moonbeam Stone Circle
05. The Ghosting
06. Neverending Nights
07. The divided Heart
08. Elvenlegions
09. Draugen’s Maelstrom
She Lives At Dawn
Formazione Elvenking
Damnagoras – Voce
Aydan – Chitarra
HeadMatt – Chitarra
Jakob – Basso
Symohn – Batteria
Lethien – Violino
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Oggi mia moglie non è potuta venire e mi sembra un miracolo i Vision Divine siano riusciti ad esibirsi. Il perché è molto semplice. Quando la mia dolce consorte ha saputo della sua assenza per motivi lavorativi e della contemporanea presenza di Michele Luppi, ha iniziato a lanciare improperi e maledizioni irripetibili. Queste hanno risvegliato divinità occulte che temevo avrebbero agito contro la band pur di assopire la collera incontrollata e furiosa di quella che ho sempre considerato una tranquilla ed equilibrata persona. Dopo aver scoperto, dopo trent’anni, questo lato oscuro, ho capito che la prossima volta che passeranno nel raggio di duecento chilometri da casa nostra, cascasse il mondo, dovrò assolutamente portarla ad un loro concerto.
Ma dopo questa personale e lunga disquisizione, veniamo al dunque, alla prova offerta dal gruppo toscano.
Partenza in ritardo per problemi tecnici che costringeranno la band a ridurre la scaletta. Peccato. E peccato che, tra tutti i gruppi di queste due giornate, loro siano stati quelli con i maggiori problemi di suono. Le chitarre si sentivano poco e male, a volte non si sentivano proprio e il basso andava e veniva. Non è colpa loro, da questo punto di vista, sono stati indubbiamente sfortunati.
Quindi faccio a fatica a giudicare la prova. Sicuramente i musicisti ci hanno messo l’anima, la voce di Michele era l’unica che si sentisse bene, e come sempre è stato impeccabile, ma purtroppo la bassa qualità del suono degli altri ha, in generale, inficiato negativamente sulla prova. Mi sono spostato prima a destra, poi a sinistra, poi sono andato dietro, davanti era inutile andare, alla fine mi sono messo nella balconata in alto, e da lì sono riuscito a godermeli un po’ meglio. Intanto più di metà concerto era andato. Un plauso sempre e comunque alla band, che non ha mollato un attimo cercando di dare il meglio di sé, riuscendoci, e ha tenuto comunque il palco con una forza e una grinta encomiabile.
Che dire, questo inconveniente mi ha innervosito. Non è che la divinità occulta…
Ma forse riesco a trovare comunque qualcosa di positivo. Anche se li ho già visti tante volte, con la scusa che questa non è stata perfetta come al solito, mi tocca andare a rivederli . E quindi ci andrò sicuramente. E non da solo…
Scaletta Vision Divine
01. The Perfect Machine
02. Colours Of My World
03. Alpha & Omega
04. The Secret Of Life
05. Heaven Calling
06. The 25th Hour
07. Out Of A Distant Night (Voices)
08. God Is Dead
09. La Vita Fugge
Formazione Vision Divine
Michele Luppi – Voce
Olaf Thorsen – Chitarra
Federico Puleri – Chitarra
Andrea “Tower” Torricini – Basso
Matt Peruzzi – Batteria
Oleg Smirnoff – Tastiera
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Ed è subito festa. I Twilight Force sono questo, un concentrato festaiolo di musica divertente. Premetto che, come dicevo all’inizio, ascolto quasi tutti i tipi di metal, tra cui il power, di cui riconosco la sua validità. Non è il mio preferito ma, se fatto bene, mi piace. I Twilight Force non li ho mai visti dal vivo, questa è la prima volta. Tutta la loro discografia l’ho ascoltata, ma il loro guardaroba fantasioso mi ha sempre destato forti dubbi sulla resa live, pur conoscendo il valore assoluto di Alessandro Conti.
I forti dubbi sulla resa dal vivo sono stati spazzati via. Mi sono divertito veramente tanto. Oltre ad essere tecnicamente preparati, il loro show è un concentrato di musica allegra, epica, power e quant’altro. Un’ora volata letteralmente.
I vari siparietti con la pizza all’ananas e i cannellini, ci stavano benissimo. Poi, ragazzi, questi sanno suonare e cantare.
I suoni iniziano ad essere buoni, anche sotto il palco. Finalmente hanno trovato la quadra.
Unico inconveniente è che ad un certo punto, per dieci secondi circa, la musica è sparita. Niente panico, la band ha continuato con professionalità e senza fermarsi e scomporsi. Fortunatamente i suoni sono ritornati in fretta. Probabilmente qualcuno avrà schiacciato il pulsante rosso con sopra scritto “non premere assolutamente”.
I due cantanti , Allyon e Krysthara, si alternano e si completano in modo ottimale. Molto bravo Galyn alla chitarra solista e De’Azsh alla batteria che, nonostante il vestito di scena ingombrante, non sbaglia un colpo martellando incessantemente sotto il suo cappuccio monacale.
A fianco a me avevo un gruppo di giovani che hanno cantato a squarciagola praticamente tutti i pezzi a memoria. Encomiabili e, lo ammetto, a vedere il loro sano entusiasmo e la loro sana gioia mista a dei sorrisi solari e contagiosi, mi sono quasi commosso. Se i Twilight Zone riescono ad avvicinare al metal dei ragazzi sotto i vent’anni, beh, ben vengano.
I brani sono quasi tutti presentati dalla voce cavernosa di Blackwald, nelle vesti di narratore e ci introducono al racconto rendendoci personaggi attivi della storia. “Dawn Of The Dragonstar” è il loro solito inizio e va bene così. Brano azzeccato per far andare su di giri fin da subito i fan devoti assiepati sotto al palco. “Dragonborn” e “Thundersword” continuano a far saltare il pubblico lasciandolo sfiancato alla fine di ogni canzone. Quando inizia “Flight Of The Sapphire Dragon” compare un drago gonfiabile che fa il giro del pubblico ritornando ai loro legittimi proprietari non prima di essere stato utilizzato da un avventuriero per uno spettacolare crowd surfing.
Si chiude con la potenza evocativa di “The Power Of The Ancient Force”, cantata, udite, udite, anche dal sottoscritto, ormai completamente contagiato dall’entusiasmo dei miei giovani vicini. Stupito e contento. Ecco com’ero alla fine del concerto…
Avessi avuto arco e freccia, mi sarei alzato il cappuccio della felpa, e sarei partito eroicamente alla conquista della qualunque.
Scaletta Twilight Force
01. Dawn Of The Dragonstar
02. Twilight Force
03. Dragonborn
04. Thundersword
05. Flight Of The Sapphire Dragon
06. Twilight Horizon
07. Valley Of The Vale
08. To The Stars
09. Battle Of Arcane Might
10. The Power Of The Ancient Force
Knights Of Twilight’s Might
Formazione Twilight Force
Allyon – Voce
Galyn – Chitarra
Bramley Underhall – Chitarra
Xandor – Basso
De’Azsh – Batteria
Blackwald – Tastiera
Krysthara – Voce
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È l’ora dei Rhapsody Of Fire e si comincia a stare veramente stretti. I guerrieri sono pronti, l’aria è impregnata di tensione, l’epicità del momento è palpabile e gli sguardi sono tutti verso il palco. Le luci iniziano a spegnersi. Si sta scatenando l’inferno…
L’imponenza di Alex Staropoli dietro al suo strumento lo erge a divinità metallica che infonde i suoi voleri e i suoi comandi attraverso le note della sua arma a tastiera melodiosa. Il suo fido compagno alle retrovie, Paolo Marchesich, cavalca il suo destriero di tamburi ritmando la galoppata cavalleresca che l’armata rapsodiana intraprende per ricongiungersi ai propri fedeli soldati. Sguainata la propria chitarra tagliente da parte di Roberto De Micheli, Alessandro Sala lo segue a ruota e brandisce anch’esso la sua scure adornata da quattro spesse corde. Entrambi si schierano a protezione del combattente più avanzato, Giacomo Voli. Colui che guida l’armata con la sua celestiale e carismatica voce durante il suo inesorabile incedere. E finalmente giunge il momento.
Alle prime note di “The Dark Secret” un’orda barbarica si riversa all’interno del locale e il popolo power metal italiano ha i suoi beniamini tricolori a pochi metri da loro. Il ricongiungimento è completato, ora non resta che farci guidare da questi cinque eroi verso terre di conquista e avventure senza fine.
“Unholy Warcry”, “Rain Of Fury” e poi “I’ll Be Your Hero”. Siamo pronti a seguirli in capo al mondo, nulla potrà fermare l’avanzata dei Rhapsody Of Fire. L’affascinante e incredibilmente tenebrosa voce di Cristopher Lee ci accompagna su sentieri oscuri e tortuosi. Un momento semplicemente da brividi.
“Challenge The Wind”, dall’ultimo album omonimo, viene recitata come un mantra da tutti. E quando le prime note di “Dawn Of Victory” riecheggiano nell’aria, è l’apoteosi.
Ma il cammino è ancora lungo. “Triumph For My Magic Steel” vede il nostro impavido condottiero impugnare al cielo la spade sacra. “The Village Of Dwarves”, “Dargor, Shadowlord Of The Black Mountain” e “Holy Thunderforce” preparano il terreno per quello che sarà l’assalto finale, “Emerald Sword”.
Ora la lunga marcia verso la gloria è compiuta. Ci hanno sedotti, ci hanno convinti e ci hanno portato con loro lassù, dove le epiche vette del metal toccano il cielo.
Chissà cosa avranno pensato i Rhapsody Of Fire davanti a questo sold-out e a questa appassionata partecipazione al loro show da parte di tutti i presenti.
Credo che le parole finali di Giacomo siano abbastanza esplicative: “oh, s****zi, mi avete fatto piangere”. Poco romantiche, ma chiariscono il concetto.
Scaletta Rhapsody Of Fire
01. The Dark Secret
02. Unholy Warcry
03. Rain Of Fury
04. I’ll Be Your Hero
05. Chains Of Destinity
06. The Magic Of The Wizard’s Dream
07. Challenge The Wind
08. Kreel’s Magic Staff
Lux Triumphans
09. Dawn Of Victory
10. Triumph For My Magic Steel
11. The Village Of Dwarves
12. Dargor, Shadowlord Of The Black Mountain
13. Holy Thunderforce
14. Emerald Sword
Formazione Rhapsody Of Fire
Giacomo Voli – Voce
Roberto De Micheli – Chitarra
Alessandro Sala– Basso
Paolo Marchesich – Batteria
Alex Staropoli – Tastiera
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Ora non ci si muove proprio più. Siamo tutti dentro per gli Stratovarius, e non poteva che essere altrimenti. Come si fa a non voler bene a questa band finlandese che non manca mai di passare dalle nostre parti anche due volte l’anno?
Lo spettacolo ha inizio con “Forever Free” e “Eaglehearth”, un uno-due che ci lascia in estasi e fa passare in secondo piano la stanchezza e i dolori che nel corso di queste due giornate si sono accumulati. Non c’è tempo di riposarsi o di distrarsi e “The Kiss Of The Judas” è già partita. Lauri con il suo basso inizia a tenere il ritmo aspettando l’arrivo arrembante dei suoi colleghi.
“World On Fire” strappa un boato alla folla che si catapulta verso le transenne, quasi a voler formare un tutt’uno con la band. I finlandesi non hanno nessuna pietà di noi, non vogliono farci rilassare un attimo e quindi ci sparano una doppietta come “Paradise” e “Eternity”. Vogliono ricordarci che dobbiamo fare ancora un piccolo sforzo e poi possiamo per qualche attimo riprendere fiato.
Eh sì, perché dopo questi due classiconi, Timo introduce l’assolo di quello che lui, e molti altri, considera il miglior tastierista del pianeta. E così Jens ci mostra ancora una volta che per lui suonare la tastiera è naturale come per noi battere le mani alla fine del suo assolo.
La magia e la quiete del momento vengono interrotte con la presentazione del brano successivo, “Black Diamond”. E si scatena il delirio. Matias è un maestro con la chitarra. Mostra una scioltezza e una naturalezza inaudite mentre esegue assoli di difficoltà tecnica altissima. Anche Rolf ha il suo momento di gloria, con un breve assolo che ci ricorda che il cuore pulsante degli Stratovarius non smette mai di battere. Chitarra classica, dita incrociate e sì, la fanno. “Forever”, una canzone che… no, non sto piangendo, mi è entrata della povere nell’occhio.
E con gli ultimi residui di forza rimasti, ci scateniamo in un assalto finale con il trittico che da sempre chiude i loro concerti e che stenderebbe un cavallo in corsa: “Speed Of Light”, “Unbreakable” e “Hunting High And Low”. Braccia la cielo, urla incontrollate a scandire il loro nome e a fargli ricordare che ogni volta che torneranno, da noi riceveranno sempre questo trattamento. Timo ci ringrazia per l’affetto dimostrato, per aver contribuito a chiudere in maniera trionfale la tournée dei festival con questa magnifica data, di aver esposto sulle balconate la bandiera finlandese e di essere come siamo, i migliori.
Questi sono gli Stratovarius, un gruppo a cui darei la cittadinanza ad honorem.
Scaletta Stratovarius
Intro To Stratovarius
01. Forever Free
02. Eagleheart
03. The Kiss Of Judas
04. World On Fire
05. Holy Light
06. Paradise
07. Eternity
08. Keyboards Solo
09. Black Diamond
10. Survive
11. Destiny
12. Forever
13. Speed Of Light
14. Unbreakable
15. Hunting High And Low
Formazione Stratovarius
Timo Kotipelto – Voce
Matias Kupiainen – Chitarra
Lauri Porra – Basso
Rolf Pilve – Batteria
Jens Johansson – Tastiera
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“Difficile che si ripeta”. Le mie parole nell’introduzione, e direi le ultime parole famose. Ovviamente vengo smentito da una seconda giornata liscia che ha viaggiato sui binari della perfezione. Tutto è andato secondo copione, tutto è andato a meraviglia (ma sì, faccio finta di soprassedere sui problemi dei suoni). Si sono ripetuti. Applausi e ancora applausi.
Non sono un grande ascoltatore di power metal, non mi posso definire, come amo scherzosamente definire chi ascolta questo genere, un poweraccio, ma oggi l’atmosfera che c’era dentro al Live ha fatto quasi diventare un poweraccio pure me. Tranquillizzo chi mi conosce, da domani di nuovo Cattle Decapitation, Coroner e Voivod come se piovesse.
Forse non dovrei incensare in questo modo la webzine “nemica” (si scherza), ma la professionalità che questo evento ha raggiunto è veramente di livello assoluto.
Poche storie, in Italia ci prendiamo delle grandi fregature (o usate voi l’altro termine, sappiamo tutti quale, sicuramente più consono) per “grandi” eventi dove di grande c’è solo il costo esorbitante del biglietto, della birra, del cibo e del merchandise (non che qui il merch fosse regalato).
Questo festival è a misura di fan. Punto.
Attendo con ansia le notizie per il prossimo anno. Qui c’è un pezzo del mio cuore e mi auguro che dopo questo clamoroso risultato ottenuto, ci sia la possibilità di continuare e migliorare quello che, come ho detto in apertura di report del primo giorno, io considero il miglior festival metal italiano.
Il ritorno al b&b è una sofferenza come ieri. I dolori sono insistenti. Ah, se proprio devo consigliare qualcosa all’organizzazione, mettete qualche panca in più per sedersi. C’è gente di una certa come me, che ha bisogno di sedersi anche quando va a guardare i cantieri.