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Pillole d’Acciaio, edizione 2025. La redazione di Heavy Metal Webzine continua nella missione di aumentare il numero di recensioni!!!
Premessa: negli ultimi anni sono aumentate in modo esagerato le pubblicazioni musicali (in ogni settore). Solo nel genere heavy, che include una miriade di sottogeneri ed un quantità esagerata di gruppi underground, sono decine di migliaia i demo, gli EP, gli album…Impossibile seguire tutto? Certo, soprattutto se ci si allontana dai gruppi TOP e si scende verso l’oscurità. Ci sono artisti validi che passano in secondo piano e potevamo noi forse dimenticarli? NO!
Da qui la necessità di creare una serie di articoli/pubblicazioni oltre la classica recensione, che prevede ascolti e tempi di realizzazione più lunghi. Una sorta di breve presentazione di artisti ed uscite, come una volta si poteva trovare sulle riviste di settore.
Ricordatevi di ascoltare il nostro Dottore. Benvenuti a Pillole D’Acciaio!!!
Thræds – Impermanence (Octopus Rising/Argonauta Records)
Berlino è così, evocativamente triste. Ai miei occhi è vestita in questo modo, con una decadenza soffice, poetica e riconoscibile nei suoi muri, dove il sound urbano e il suo orizzonte si prestano a questo post rock cittadino che si imperla di sudore in punti dal groove e dallo scream più tirati. Indefinibili, ogni pezzo ha un suo carattere che fa onore alla biodiversità, gioca con più emozioni e contatta la nostra parte meno razionale, con un tappeto comune che possiamo chiamare malinconia. La voce pulita è molto “parlante”, sa destreggiarsi nella vasta landa dell’espressività. È la musica della perdita, dello scorrere delle cose, dell’impermanenza, appunto. Dalla tranquillità al caos, dalla superficie al fondo, avanti e indietro, ma sempre avanti, possiamo imparare il valore del movimento, non certamente lineare, che è alla base della vita. Come Kandinskij associava la pittura ai numeri e alla musica, tre entità estremamente legate tra loro, in questo album troviamo una tavolozza con tutti i colori, ma sempre un po’ sfumati come se i pigmenti volessero mescolarsi al vento, o con quella assenza di confini concessa dalla nebbia in un panorama industriale cosparso di fumi e qualche lacrima di amara dolcezza. O dolce amarezza. Da ascoltare, da sentire col corpo, da farsi trasportare con curiosità dove ancora non riusciamo a guardare. (Bka)
Quadvium – Tetradōm (Agonia Records)
Quadvium è il duo formato nel 2019 dagli innovatori del basso fretless Steve Di Giorgio (Death, Testament) e Jeroen Paul Thesseling (Obscura, Pestilence). Il progetto si è sviluppato tra la California e i Paesi Bassi e ha preso concretamente forma solo quest’anno con l’uscita del debutto Tetradōm. I due musicisti si sono concessi questo lungo periodo a causa dei cospicui impegni, ma soprattutto alla ricerca di un giusto equilibrio stilistico – considerando che parliamo di due artisti eclettici – e allo stesso tempo per trovare le figure adatte a supportare il loro disegno. Il percorso li ha condotti in primis alla scelta di Yuma Van Eekelen (Our Oceans, Pestilence) alla batteria, figura predisposta a comprendere e valorizzare le necessità esecutive di Di Giorgio-Thesseling. Più complessa, da quanto dichiarato, è stata la ricerca dell’ultimo membro fino a quando i due non si sono imbattuti su Instagram sul profilo di Eve, virtuoso non solo della chitarra ma anche del basso, un incontro fortuito anche per il suo contributo non solo nella composizione, ma anche nella produzione e nel mixing. Il risultato è un album strumentale di progressive metal fusion dove il protagonista principale è chiaramente il basso fretless: il suono lungo i brani è articolato e pungente, non risulta predominare lo stile di uno sull’altro (era questo l’obiettivo di Di Giorgio-Thesseling), mentre a mio avviso l’apporto di Van Eekelen e di Eve si concentra principalmente a servizio dei brani. Tetradōm è un disco dall’ascolto non immediato, ideale per gli intenditori di musica strumentale ma soprattutto per gli amanti del basso fretless e per i sostenitori di due leggende del genere come Di Giorgio e Thesseling. (Michela Olivieri)
Antetenebras – Excitus Lucis (Metal Reservation)
Vede la luce ad inizio 2025, con un EP di quattro brani, quest’ultima creatura del chitarrista campano Bruno Masulli. Un ennesimo, nuovo progetto che lo vede accompagnato da vecchi compagni d’avventura come Marcello D’Anna al basso e Luigi Martino alla voce. Da metà anni novanta ai giorni nostri Masulli ha fondato e partecipato a non meno di una decina di progetti che spaziano dal Thrash degli Annihilationmancer, al Doom degli Et Signvm Erat, all’Heavy metal epico cantato in italiano/latino de I miti eterni. Ma lasciamo da parte il rispettabile passato per concentrarci sul CD che sta girando nel mio lettore. I pezzi, in generale, sono solidi e compatti, costruiti su ritmiche di chitarra taglienti e su melodie vocali che mi hanno subito richiamato alla mente i texani Solitude Aeturnus. I tempi cadenzati e la scrittura cristallina favoriscono una rapida assimilazione dei brani che scorrono fluidi e senza intoppi come un fiume di pece nera. Heavy, Power e Doom si fondono plasmando quattro brani ben calibrati ed esaltati da veloci assoli di chitarra. Estremamente positivo il fatto che passati i quasi 17 minuti della registrazione si avverta la curiosità di riascoltare per intero il “dischetto”. Non è da tutti! Anzi, a dire il vero, la curiosità sarebbe quella di sentire un intero album degli Antetenebras, con una produzione un poco più professionale magari; quantomeno con una batteria suonata e non campionata. Speriamo che ciò si avveri a breve. (Azzi)
Dramanduhr – Vertuhn (Broken Bones Promotion)
Vertuhn è il secondo capitolo del viaggio sonoro di Dramanduhr, un’esperienza musicale che prosegue il percorso iniziato con Tramohr, primo album del 2022. Mentre Tramohr si concentrava sulla terra e sulla carne, Vertuhn guarda verso l’alto, alla ricerca di una connessione profonda con l’universo. Già la copertina, sapientemente creata con l’intelligenza artificiale generativa, suggerisce quelle che saranno le direttive mistiche ed esoteriche sulle quali l’album è costruito. Ogni traccia è una tappa di un rituale collettivo, dove le percussioni riecheggiano il battito ancestrale della terra e le parti vocali ci guidano verso la trance e la connessione spirituale. Fanno breccia dall’atmosfera densa e cupa della liturgia anche diversi riff afferenti alla scena Black metal anni ‘90. Godibilissimi. Come sprazzi di luce e simbolici ritorni alla normalità chitarre acustiche fanno da sfondo a melodie create da intrecci di chitarre elettriche e voci di soprano femminile. Risulta chiaro che le ambizioni dell’autore siano state quelle di creare più di un progetto musicale: si tratta di un rito, un viaggio, un invito a esplorare le profonde radici mediterranee che ci congiungono al resto del pianeta ed al tutto cosmico. Estremamente singolare è l’utilizzo, in tutto l’album, di un linguaggio altro: il Dahrmonium. Si tratta di una lingua inesistente, del tutto inventata da Eliamo, che dà importanza alla sonorità e che fa parte dell’arrangiamento più che svolgere il ruolo che un idioma dovrebbe adempiere: comunicare qualcosa in termini di significato razionale. Un linguaggio evocativo in cui il suono della parola, mescolato al tappeto sonoro dovrebbe richiamare alla mente per suggestione della memoria, della fantasia o del sentimento, un’idea confinata in un mondo ultraterreno. E se questo ha una sua logica, mi sorge spontanea una domanda: perché condividere gli incomprensibili testi nel booklet dell’album? (Azzi)