THRASH OF THE TITANS – 18/10/2025 – Live Music Club Trezzo sull’Adda (MI)


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THRASH OF THE TITANS
TESTAMENT + Obituary + Destruction + Nervosa
Live Music Club, Trezzo sull’Adda (MI)
18 ottobre 2025

Thrash Of The Titans. Testament, Obituary, Destruction e Nervosa. Non serve aggiungere altro, perchè è sufficiente leggere I nomi sopracitati per capire che quello a cui abbiamo assistito sia stato  un evento incredibile al quale il sottoscritto, grazie al fondamentale aiuto di Max di Heavy Metal Webzine (non ti ringrazierò mai abbastanza e tu sai il perché), ha avuto il privilegio di assistere. Eh sì, perché la comunicazione del sold-out avvenuta un mese abbondante prima della data del live ha colto di sorpresa parecchie persone che si sono trovate così senza biglietto e in maniera, forse, inaspettata. E non per il concerto in sé, sia chiaro, ma per l’infausta tempistica di un sold-out tanto precoce. Credo che gli organizzatori si siano mangiati le mani, perché vista la richiesta non indifferente per questo evento e la qualità del bill proposto, una location più grande sarebbe stata a mio parere preventivabile. Ma, visto che non sono un promoter, non aggiungo altro.

L’orario di apertura è fissato per le diciassette e trenta, ed essendo un sabato, la folla presente in coda davanti al locale in attesa dell’apertura è già notevole. Faccio conoscenza con dei ragazzi (non so se proprio ragazzi, ma sicuramente più giovani di me) modenesi, sento parlare in romano davanti a me, c’è un gruppo di veneti che chiacchiera più indietro… oggi a Trezzo sull’Adda c’è l’Italia metallara.

Le procedure di ingresso sono veloci e in men che non si dica, io e il mio compagno d’armi di giornata, Piero, siamo dentro.

Approfittando del supermercato posto di fronte al Live Music Club, preso d’assalto dai metallari presenti, parcheggiamo la macchina e ci rifocilliamo prima di entrare, in modo da prendere posto vicino al palco e non mollarlo più per nessun motivo al mondo. Quindi si fa tutto prima, bisogni corporei compresi. Volevo proporre una bottiglietta da tenere per le emergenze, ma mi è sembrato eccessivo.

Conquistata la posizione in trincea osservo con piacere che intorno a me non ci sono solo vecchiacci della mia età, ma anche parecchi ragazzi e ragazzini. Giovani leve ad un concerto thrash metal old school, non mi sembra vero.

Oggi sono carico, forse troppo vista l’età. Ammetto di essere qui principalmente per gli Obituary, uno dei gruppi con cui sono cresciuto, e mi ricordo l’invida giovanile che avevo per i capelli di John Tardy. A vent’anni aveva già i capelli così lunghi che ho sempre pensato che non se li fosse mai tagliati dalla nascita. E ce li ha ancora così, a quasi sessant’anni. Come il chitarrista Trevor Peres. Boh, il sole della Florida fa miracoli a livello di cuoio capelluto.

Siamo impazienti, abbiamo troppa voglia di thrash. Gli amici che incontro e che saluto stanno fremendo come me. Ci si scambia quattro parole, ma non si vede l’ora che le luci si spengano e che si cominci. Da quando è stata comunicata la data, stiamo facendo il conto alla rovescia. Mesi, settimane, giorni, ore e finalmente siamo ai minuti. Manca pochissimo. Il “Thrash Of the Titans” sta per avere finalmente inizio.

Luci spente. Diciotto e trenta in punto. Si comincia.

Si parte dal Brasile e dal thrash metal delle Nervosa, chiamate a sostituire gli americani Goatwhore per questo epico tour. Devo dire che ero curioso di vederle all’opera e che dire, hanno fatto il loro dovere.

Grande impegno e partecipazione, ottima la risposta del pubblico già presente in maniera molto importante per l’esibizione del gruppo d’apertura. Suoni purtroppo pessimi, con le chitarre bassissime per quasi tutta la mezz’ora a loro disposizione e, nonostante l’ottima attitudine che hanno dimostrato sul palco, il paragone con le altre tre band è abbastanza impietoso. Un po’ su tutti i livelli. È troppo grande il divario tra loro e i tre mostri sacri che seguiranno. Quando sono state sul palco tutto sommato l’impressione è stata positiva. Anche perché fino a quel momento abbiamo visto solo loro, ma alla fine della serata, dopo aver visto tutti, ti rendi conto che le altre tre band facciano un altro sport.

Ma come dico sempre, hanno buttato l’anima e va bene così. Iniziano subito belle toste con “Seed Of Death” dall’ultimo album e subito notiamo la quasi assenza delle chitarre. Ci accontentiamo, fiduciosi che il problema venga risolto in fretta. Macchè.

“Behind The Wall” e “Kill The Silence” continuano sulla stessa falsariga. Almeno la voce si sente bene e, in qualche modo riusciamo a capire cosa stiano suonando. Gabriela è una brava batterista e Emmelie al basso non è da meno. Loro le sentiamo decentemente e possiamo perlomeno giudicare il loro operato.

Prika è Prika. Le Nervosa sono lei, poche storie. Sguardo cattivo, poche parole e grande energia. Potrà non risultare simpaticissima, ma sul palco, e questo è ciò che interessa, la pagnotta se la suda alla grande. Poi possiamo parlare dei qualità dei pezzi e della tecnica, ma questo è un altro discorso.

In “Jailbreak” finalmente si cominciano a sentire le chitarre in modo serio, e gli assoli di Helena si riescono a distinguere dall’impasto generale che fino a questo momento ha purtroppo caratterizzato la loro prova. E con “Endless Ambition” concludono degnamente un live con qualche problema tecnico di troppo e con qualche “leggerezza” nell’esecuzione tecnica, sottolineate anche da più d’uno dei presenti, ma che perdoniamo visto comunque l’impegno profuso. Quando ho incontrato le Nervosa fuori dal locale e ho scambiato qualche battuta con loro, mi sono sembrate molto affabili e disponibili. L’unica con cui non ho avuto il piacere di parlare è stata Prika. Mi è parso avesse fretta. Pazienza, sarà per un’altra volta. Forse.

Scaletta Nervosa
01. Seed Of Death
02. Behind The Wall
03. Kill The Silence
04. Perpetual Chaos
05. Venomous
06. Jailbreak
07. Endless Ambition

Formazione Nervosa
Prika Amaral – Voce, Chitarra
Helena Kotina – Chitarra
Gabriela abud – Batteria
Emmelie Herwegh – Basso

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Dopo un quarto d’ora esatto, e necessario per il cambio palco, arrivano i Destruction. Da sempre a questi quattro ragazzotti non si chiede altro che salire sul palco e “distruggere” tutto. E questo fanno, sempre.

Vecchia scuola e, sarà che questo tour mette a confronto band di un certo spessore, credo che la sana competizione spinga un po’ tutti a dare il meglio per non sfigurare rispetto gli altri. E tutto ciò a giovamento del pubblico che si gode tre ore e mezza di grande musica.

Live mi sono sempre piaciuti, su disco meno, troppi alti e bassi. Ma quando attaccano a suonare dal vivo, sono sempre una garanzia. “Curse The God” e “Nailed To The Cross” fanno da apripista per questo spettacolo tritacarne della band tedesca. Suoni leggermente impastati, ma già meglio di prima.

“Scumbag Human Race” e la violenza del macellaio pazzo “Mad Butcher” creano il devasto tra il pubblico che, ormai, si è già sufficientemente scaldato e, con i motori a pieni giri, inizia a pogare in maniera devastante. Il locale è praticamente pieno, si inneggia al gruppo, e Schmier sorride visibilmente soddisfatto ringraziando i presenti per il sold-out. Poche chiacchiere e poi subito sotto con “No Kings No Master” e “Thrash ‘Til Death”. E allora ditelo che volete spaccarci le ossa per bene. Damir viaggia che è una meraviglia con i suoi assoli e Martin è l’apoteosi dell’headbanging. Alla batteria c’è Randy Black, anzi, sua maestà Randy Black, non credo sia necessario aggiungere altro.

I suoni da “Mad Butcher” in poi sono praticamente al top (almeno dove sono io, e sono molto vicino al palco verso sinistra) e questo ci fa apprezzare al meglio la devastante esibizione in atto. Non si rallenta un attimo, il gruppo ci tiene a fare bella figura, Schmier chiama a gran voce i nomi delle band che seguiranno e poi, per chiudere in bellezza, ci sparano nelle orecchie due brani che sanno di mossa finale alla Mortal Kombat, “Bestial Invasion” e “Destruction”. Credo che non ci sia modo migliore per chiudere un concerto thrash “ignorante”.

Anche i Destruction fanno parte di quei gruppi che non vengono considerati dei mostri di simpatia, ma se le sensazioni caratteriali sono soggettive, le sensazioni di puro coinvolgimento che trasmettono nei loro live sono oggettive. Se continuare a fare album (che a me ormai non dicono più molto) serve comunque a farli continuare ad andare in giro per il mondo a suonare dal vivo…che continuino pure!

Scaletta Destruction
01. Curse The Gods
02. Nailed To The Cross
03. Scumbag Human Race
04. Mad Butcher
05. No Kings No Masters
06. Thrash ‘Til Death
07. Bestial Invasion
08. Destruction

Formazione Destruction
Marcel “Schmier” Schirmer – Voce, Basso
Randy Black – Batteria
Damir Eskic – Chitarra
Martin Furia – Chitarra

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Succede una cosa strana. Solitamente al termine di un’esibizione e durante la preparazione del palco per quella successiva, la gente o si reca al bar a bere o in bagno. Stavolta ho visto pochissime persone muoversi e lasciare la postazione conquistata. D’altronde stanno arrivando loro, gli Obituary.

C’è emozione nell’aria, in tanti li stanno aspettando e in tanti li stanno aspettando con un’ansia e una tensione da ritiro di un referto medico.

E anche loro, puntuali come una cambiale, salgono sul palco all’orario prestabilito, venti e quindici. Come al solito ce la mettono tutta per far sì che un poveraccio come me non riesca a fare una foto decente. Fumo praticamente dall’inizio alla fine e luci rosse e blu a mascherare le sagome. Ma, sinceramente, chissene. Ho gli Obituary davanti a me e la loro musica dal vivo nelle orecchie. Tutto il resto è noia.

Ragazzi, sarà che sono di parte, sarà che loro sono stati mostruosi, ma questi cinque signori hanno tirato su uno show che ho trovato praticamente perfetto. Poi, su questa affermazione si può discutere, ma non con me, perché, come già detto, sono di parte.

La strumentale “Redneck Stomp” prepara il terreno per la successiva “Sentence Day”, dove l’ingresso di John Tardy crea quello che si può definire “inizio della fine della civiltà”. Ci siamo tutti trasformati in uomini primitivi dediti al culto del pogo e all’inneggiamento attraverso suoni gutturali non ben definiti.

John con la sua classica tenuta in felpa nera e bermuda militari e il suo andamento dinoccolato che non è cambiato di una virgola da quando era giovanissimo, è un catalizzatore per i nostri occhi. Il carisma ce l’hai o non ce l’hai. E lui ne ha a tonnellate. Non salta, non corre, non si agita, ma si muove come sempre e tiene tutti per le p… arti basse. Tra una canzone e l’altra non dice una parola, è così, da sempre, non ne ha bisogno. E meno male, perché talmente lo idolatriamo, che se dovesse dirci di prenderci a schiaffi, lo faremmo senza pensarci un attimo.

“Infected”, “Body Bag” o “Cause Of Death”, non saprei quale scegliere. Trevor e Kenny sciabolano senza sosta, velocità, tempi rallentati, tutto perfetto. Donald e Terry a picchiare a testa bassa. Loro sono in forma, la musica si sente bene, tutto sta filando liscio. Non chiedo di meglio.

Eppure alla fine, ci danno ancora qualcosa. Quello che per me è “il meglio”. Dopo “I’m In Pain” mi aspetto che facciano quella canzone che nel 1989 ascoltai per la prima volta e che mi fece innamorare di loro. Sì signori, parliamo proprio di “Slowly We Rot”. La fanno, loro sono di un altro livello, io ho raggiunto il livello estasi. Amen.

Rapidi ringraziamenti al pubblico e poi via, dietro le quinte, mentre Donald si è ferma ancora un po’ da solo per salutarci e a prendersi la meritata ovazione.

Sarei andato avanti altre dieci ore ad ascoltarli.

I due fratelli Tardy, con i loro compagni d’avventura, quarant’anni fa hanno creato qualcosa di meraviglioso che continua ancora oggi. Senza cedimenti, senza compromessi, semplicemente gli Obituary.

Scaletta Obituary
01. Redneck Stomp
02.Sentence Day
03. A Lesson In Vengeance
04. The Wrong Time
05. Infected
06. Body Bag
07. Dying
08. Cause Of Death
09. Chopped In Half / Turned Inside Out
10. I’m In Pain
11. Slowly We Rot

Formazione Obituary
John Tardy – Voce
Donald Tardy – Batteria
Trevor Peres – Chitarra
Kenny Andrews – Chitarra
Terry Butler – Basso

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I Testament hanno un compito ingrato. Riuscire a mantenere alto il livello di adrenalina che gli Obituary ci hanno iniettato direttamente in vena.

Lo dico subito, ci sono riusciti. E sono contento di poter dire che dopo averli visti svariate volte, questa è la prima in cui riesco a sentire un loro concerto con dei suoni decenti. Finalmente qualcuno, chiunque sia non lo so, sia lodato. Due anni fa, con i Voivod sempre qui al Live Music Club, credo che avessero raggiunto l’apice dell’impastatura sonora. Oggi invece ho goduto.

Ovviamente nessuno si è spostato e tutti hanno mantenuto le posizioni per poter assistere al meglio alla prova dei cinque americani e, come se l’atmosfera non fosse già abbastanza “croccante”, per aumentare la curiosità e il livello di tensione, un enorme telone è stato calato davanti al palco in modo che nessuno vedesse la preparazione del palco. Sì, così mi piace.

Ormai siamo prossimi, ventuno e quarantacinque, buio in sala, si accendono le luci dietro il telone, si intravedono i musicisti e via, si parte. Calato il “sipario” si palesano i nostri beniamini con un pezzo come “D.N.R. (Do Not Resuscitate)” come apertura. Da questo momento in poi non sono riuscito a fare una foto che fosse una fino a circa metà concerto. Perché? Semplice, talmente il pogo si è allargato che è stato impossibile rimanere fermi in una posizione, con un cellulare in mano poi… (a proposito di cellulari, è il secondo concerto di fila qui a Trezzo sull’Adda dove sento le lamentele di ragazzi a cui hanno fregato lo smartphone, per cui, quando andate, occhio).

Parte “Practice What You Preach” e il carichissimo cintura nera di air guitar Chuck Billy incita la folla a scatenarsi. È il delirio.

Alex viaggia sui suoi assoli sorridendo e ammiccando verso la gente, con una facilità e disinvoltura come se stesse sorseggiando una bella birra ghiacciata e Steve si prende il suo momento con un breve discorso in italiano farcito di parole blasfeme irripetibili.

“Native Tongue”, “Trails Of Tears” e “Low” sono un trittico che avrebbe piegato la volontà di chiunque, ma non la nostra che, anche se stanchi, non ci tiriamo indietro e continuiamo a dimostrare la nostra devozione con estremo agonismo.

Sul palco non si fermano un attimo, sono indemoniati. Salgono sulle scale della scenografia e si piazzano vicino a Chris, saltano, corrono, si ergono come divinità sulle pedane a bordo platea, insomma, ci fanno sentire la loro carica, il loro voler sudare insieme a noi.

Ad un certo punto i più anziani si riposano un attimo e prendono fiato mentre il povero Chris (è giovane, ce la fa ancora a tirare senza fermarsi) dopo aver picchiato duro tutto il tempo, ci regala un assolo di batteria così, giusto per non raffreddarsi.

E poi si riparte a razzo. “First Strike Is Deadly”, “Infanticide A.I.” e “Shadow People” continuano a prosciugare le nostre ormai remote energie. Non mi sono dimenticato di Eric. Eric è l’anima e il motore, Eric è Eric, Eric è i Testament.

Ma non poteva mancare la chiusura con “Into The Pit” che certifica, casomai ce ne fosse bisogno, che band come i Testament possono continuare a fare quello che vogliono. Sono nell’Olimpo e ci staranno per sempre. Unico neo, mi è mancata “Souls Of Black”.

Il thrash non lo hanno inventato loro, ma loro ce lo hanno fatto amare.

Scaletta Testament
Intro – Fight For Your Rights (Beastie Boys)
01. D.N.R. (Do Not Resuscitate)
02. WWIII
03. Practice What You Preach
04. Sins Of Omission
05. Native Blood
06. Trail Of Tears
07. Low
08. More Than Meets The Eye
09. Drum Solo
10. First Strike Is Deadly
11. Infanticide A.I.
12. Shadow People
13. Return To Serenity
14. Electric Crown
15. Into The Pit

Formazione Testament
Chuck Billy – Voce
Eric Peterson – Chitarra
Alex Skolnick – Chitarra
Chris Dovas – Batteria
Steve DiGiorgio – Basso

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È finita e come avrebbe detto il sergente Roger Murtaugh di “Arma Letale”: “sono troppo vecchio per queste str****te”. Scusate la citazione colta, ma mi è venuta in mente solo questa.

Ribadisco il concetto già espresso, è stato un massacro dall’inizio alla fine. Un pogo collettivo senza sosta. Complimenti alle band, ma soprattutto, fatemelo dire, complimenti al pubblico che è stato semplicemente meraviglioso. Uno spettacolo nello spettacolo. E se noi ci siamo resi conto dell’impegno di tutti i gruppi, a giudicare dalle facce compiaciute degli artisti, anche loro si sono resi conto dell’impegno e della dedizione che ci abbiamo messo noi spettatori per rendere questa serata unica e indimenticabile.

Le Nervosa hanno dato tutto, i Destruction hanno azionato il carro armato e sono partiti, gli Obituary si sono limitati a fare la cosa che tutti noi pregavamo che facessero, cioè gli Obituary, e sono stati grandiosi, e i Testament, per quanto possibile, mi hanno stupito un’altra volta. L’ennesima.

Mi dirigo sul retro, nella zona dei tour bus, per cercare di “accalappiare” qualche musicista per qualche foto e autografo. Qualcosa porto a casa. Scambio ancora due parole con i “ragazzi” modenesi trovati in coda all’ingresso e quando mi comunicano le tre ore necessarie per ritornare a Modena, mi convinco che forse sia ora anche per me di tornare a Torino.

Così io e Piero ci dirigiamo verso casa. Lungo il tragitto si chiacchiera di “cultura generale” (proprio), ma l’unica costante dei nostri dialoghi è il fatto che ogni dieci minuti si interrompa quel che si sta dicendo per esclamare con fare compiaciuto: “Che concerto!!!”.

Le foto sono quelle che sono, le ho fatte in mezzo alla battaglia con uno smartphone che è ormai anch’esso da battaglia. Ringrazio il mio compagno di concerto Piero, che mi ha aiutato facendo qualche scatto anche lui. Le migliori sono ovviamente le sue.

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