Wine And Fog Fest IV – 04/10/2025 – Centrale Rock Pub, Erba (CO)


Visualizzazioni post:46

WINE AND FOG FEST IV
ARKONA + Black Altar + In Corpore Mortiis + Nictomorfo
Centrale, Erba
4 ottobre 2025

La sera del 4 ottobre arrivo al Centrale Rock Pub di Erba, in provincia di Como ma immerso in quello che a tutti gli effetti è l’hinterland milanese, guidando per provinciali semi-deserte e senza l’ombra, o meglio la luce, di un lampione. I fari della mia automobile illuminano fasci di goccioline sospese di quella nebbia che è appena troppo pesante per restare sospesa in aria, ma troppo leggera per essere già chiamata pioggia.
È lo scenario perfetto per la serata del Wine and Fog Festival, che oggi propone una selezione black metal che culminerà con il piatto forte, motivo per cui sono qui: gli Arkona.

Attenzione, non confondeteli con i russi della sfera folk. Questi Arkona sono polacchi e fanno un ottimo black dal lontano ’93, anno in cui probabilmente ho mosso i primi passi della mia vita.

Arrivo tardi, come mio solito e per aver goduto del viaggio su strade dai toni industriali, decadenti, oscuri.
Arrivo tardi e mi perdo i Nictomorfo… Non vogliatemene.
Sono giusto in tempo per l’ultimo paio di pezzi dei torinesi In Corpore Mortiis: black metal energico ed ancorato a quella prima ondata degli anni ’90.
Not my cup of tea, come ormai si sente dire fin troppo spesso in giro.
Di sicuro un ottimo modo per scaldare il pubblico, che vedo man mano agitarsi e fomentarsi sempre di più, come si addice ad un magma di blackster (anche se per la verità saremo una cinquantina ma riempiamo quasi del tutto il piccolo locale) che inizia a ribollire.
Non fa per me, ma non ho alcuna intenzione di discutere i gusti di chi apprezza il passato, anzi… probabilmente costoro sono una salvezza in un mondo sempre più abbandonato ad un flusso disordinato e, a volte, turbolento.

Cambio di palco e compaiono teschi, candele, incensi, mantelli decorati da simboli e sigilli dal sapore fatale ed arcano. È il momento dei Black Altar, che dalla Polonia e dall’Inghilterra sono arrivati con uno scopo ben preciso: farsi messaggeri del mondo infernale.
Pretoriani emissari di un impero demoniaco il cui territorio si espande dalle crepe nella crosta terrestre fino agli abissi più profondi, parlano una lingua, suonano una musica, usano le parole che a noi non possono arrivare ma che saturano l’aria del respiro di spiriti antichi.
Per un’ora un vapore sulfureo pervade ogni angolo del locale mentre riverberi incessanti percuotono gli astanti, sempre più catturati dal rituale pagano officiato sul palco.
A onor del vero sono un po’ sparuti gli applausi che arrivano alla fine di ogni brano, ma non per mancanza di apprezzamento. Semplicemente la loro musica è talmente affascinante nella sua oscurità che coloro che ascoltano rimangono inebetiti e con lo sguardo affondato nella voragine che si spalanca davanti al palco proiettando immagini di un’inferno che, in qualche modo, è diverso da come ognuno se lo immagina.
Ultimo pezzo, ultima nota, ultima eco assordante e senza una parola questi soldati dell’armata del maligno raccolgono le loro armi e se ne vanno. Solamente un cenno di saluto. Quasi fosse un monito, un “arrivederci, a quando verrà il momento…”

Esco. La nebbia fradicia si è trasformata in pioggia, di quelle piogge di ottobre che ancora non si insinuano nelle ossa ma fanno apprezzare un tetto sotto cui ripararsi.
E sento salire la voglia di ascoltare questi Arkona che ho conosciuto poco fa ma che immediatamente hanno avuto un piglio su di me che onestamente non mi aspettavo.
È il momento di rientrare.
Giusto in tempo per vederli ultimare il sound check e voltarsi, spalle al pubblico.

Inizia lentamente.
Come una massa grigia lontana sul mare mentre stai impotente a riva, osservandola avvicinarsi, ammirando il blu delle onde farsi prima cobalto, poi piombo e infine nero.
Si voltano. Si piantano sul limitare del palco a gambe larghe, testa bassa e sguardo truce.
E quella massa mi si scaraventa addosso, scaricando la potenza dei venti insieme alla perfetta delicatezza dell’acqua mentre loro rimangono inchiodati al loro posto, come cunei d’acciaio conficcati nel cemento.
Svuotano serbatoi di tecnica ed arte senza fermarsi più.
Titanici ed impeccabili, nonostante si stiano esibendo, diciamocelo, su un palco minore, anche se forse questo dà quel fascino in più.
Attingono dagli ultimi 2 album, Stella Pandora e The Age Of Capricorn.
L’amalgama è perfetta tra di loro e con ogni singolo astante.
La forza di una batteria totalitaria e dannatamente bella nella sua precisione e nel suo gusto (signori, Zaala mangia pane e dinamite a colazione, credetemi… sentito dal vivo è spaventosamente bravo) sostiene le melodie di Khorzon e Kaamos alle due chitarre, che si danno ossessivamente il cambio tra ritmi incalzanti e melodie sognanti, tristi, evocative, solitarie, incazzate.
La voce di Drac non molla mai. Non ti molla mai. Lo guardi avvicinarsi al microfono e sai già che cosa ti aspetta, che non ti deluderà. Lo guardi allontanarsi e chinarsi sul basso e dare ulteriore corpo alla tempesta che ti sta scuotendo.
Nessuno resta fermo.
Nessuno riesce ad ascoltare e basta. Chiunque è trascinato…
E voglio dirvi la verità: su “Elysium” ho sentito uno strano sapore in bocca. Mi ci è voluto un attimo per realizzare che avevo i denti leggermente troppo serrati sul labbro inferiore mentre mi abbandonavo all’headbanging e qualche piccola goccia di sangue mi stava macchiando la lingua.

Il mondo a volte è poco giusto.
Ed è poco giusto che la Stella Pandora di questi signori non brilli come dovrebbe, oscurata da astri del calibro di Behemoth, Mgla e Batushka/Partiarch, loro connazionali noti ed identificabili come la cintura di Orione nei cieli del black polacco.
No, credetemi, questo astro arde e splende e ci dà quello che oggi, almeno per la mia modesta opinione, dovrebbe essere il black: senza dimenticare quali sono le sue origini e il suo passato, un genere che più di ogni altro si è evoluto e ci conduce attraverso orizzonti di emozioni che trent’anni fa nemmeno pensava di poter raggiungere.
Vedere ed ascoltare tutto questo dal vivo è stato un onore.

Un unico saluto al pubblico: Thank you so much!

Sono io a ringraziarvi…

Esco e mi dirigo all’automobile per rientrare verso casa.
La pioggia è cessata. Il vento inizia a soffiare, diradando le nubi.
Si vedono le stelle.
Forse anche Pandora.

E dentro di me, mentre guido verso casa, saluto gli Arkona con un verso ascoltato poco prima: “Mi hanno detto di seguire i fiumi fino alle sorgenti incontrarsi di nuovo negli Elisi“.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.