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Starspawn Of Cthulhu, ovvero la progenie spaziale di Cthulhu, è il nome di un interessante progetto sorto nel 2019 a Vicenza, dalle sconquassate e impazzite menti di due artisti che, uniti dallo stesso amore per il maestro Lovecraft, si ritrovano oggi alla pubblicazione del terzo disco. Utilizzo il termine generico del supporto fisico perché tutte le produzioni del duo vicentino sono caratterizzate da una forma a metà tra l’EP e l’album, fattore che ha consentito loro di rivolgersi in maniera piuttosto prolifica al pubblico in questi anni.
The Cursed Vision riprende le amate tematiche orrorifiche del Solitario di Providence e le condisce di crudezza e desolazione, elementi tanto cari al doom metal scelto da Roberto Biasin e Domenico Groppo per esprimere la propria devozione alle cosmiche oscenità che popolano il nostro mondo, il nostro universo e i nostri incubi più arditi.
Le cinque tracce che compongono The Cursed Vision brillano di oscurità tanto malefica quanto malinconica, tanto da ricordare alcuni degli stilemi di un sottogenere del doom, ovvero il funeral, decisamente particolare ma sicuramente azzeccato per quanto concerne lo spirito che pervade le canzoni composte per l’occasione. “Iranon” apre l’opera sull’aria di un arpeggio oscuro e vizioso che si trasforma poi in un deciso riff distorto sul quale si stagliano le parole a presentazione del primo dei racconti scelti per l’occasione, « La ricerca di Iranon », giovane poeta deciso a fare ritorno nella sua città madre, Aira, al fin della ricerca posto davanti alla verità che lo vuole esule a vita poiché la sua felicità esiste soltanto nei sogni e nella propria fanciullezza e mai potrà essere raggiunta.
L’ascolto prosegue con “The Last Raft”, probabilmente ambientata nelle nere acque che costeggiano l’oscura isola del blasfemo monolito sul quale il potente dio Dagon trionfa dominando la propria ibrida specie di uomini-pesce. Qui l’atmosfera rimane lugubre e melmosa mentre una chitarra si eleva ad armonizzare e “cantare” l’addio alla terra ferma che mai il naufrago della storia riuscirà a rivedere. Perlomeno con il proprio cervello ancora funzionante!
Se “Black Lotus” con i suoi otto minuti di durata è al contempo la più lunga e migliore canzone del lotto, grazie anche ad una bella evoluzione confortata da una serie di assoli molto melodici e che ancora regalano un senso di amarezza malinconica nel quale crogiolarsi, la successiva “Blind God” è certamente la più aggressiva e cupa. Difatti, troviamo ora anche le voci decisamente sporche e un incedere pesante e arricchito da chitarre che fungono da stordimento per il dio cieco e idiota presentato dal titolo del brano, Azathoth, colui che risiede al centro del cosmo e intontito dal suono discordante di migliaia di flauti blasfemi.
La conclusiva “But Now I’m Suffering”, ispirata al racconto « The Tomb », meno demoniaca ma dagli inquietanti tratti necrofili, presenta un giro di basso come principale spunto compositivo dal quale si origina il brano, ma anche qui non troviamo concessioni a leggerezze di sorta in quanto a espressività e intensità. La nostra mente ha abbandonato ormai il nostro corpo e la sofferenza è l’unica cosa che possiamo provare ormai.
The Cursed Vision è un prodotto valido, partorito dalla passione di due artisti che potrebbero acquisire un riconoscimento nell’ambito del metal underground tricolore continuando a pubblicare prodotti piacevoli come quello presentato in questa recensione. La commistione tra i racconti dello scrittore horror per antonomasia e la musica metal è un binomio consolidato da decenni, ma ancora oggi non perde di attrattività, soprattutto per chi, come il sottoscritto, ritrova in Howard Phillips Lovecraft non solo fonte di divertimento ma anche di riflessione sulla fragilità della condizione umana dinnanzi l’oscurità immensa dei mari, degli abissi, del cosmo.
Dell’ignoranza.
“that is not dead which can eternal lie,
and with strange aeons even death may die”